Ma qualcuno sta parlando della dermatite nodulare bovina in Sardegna. Qualche giornale locale e, settimane fa, l’Ansa, ma niente di più. I primi casi sono stati registrati a fine giugno in provincia di Nuoro e, nel giro di poche settimane, i focolai hanno superato le due dozzine. La malattia, conosciuta come Lumpy Skin Disease, è di origine virale e si trasmette soprattutto attraverso insetti ematofagi. Colpisce i bovini provocando febbre, noduli cutanei, calo della produzione di latte e, nei casi più gravi, anche infertilità o morte. La Regione, viene riportato, ha reagito con una serie di misure straordinarie. È stata avviata una campagna di vaccinazione massiccia, sostenuta dall’arrivo di 300 mila dosi fornite dal Sudafrica, e sono stati imposti due mesi di stop alla movimentazione del bestiame. Per contenere i danni economici è stato stanziato un pacchetto da quasi trenta milioni di euro, destinato a indennizzare gli allevatori, smaltire le carcasse e potenziare i servizi veterinari. La presidente Alessandra Todde ha anche ribadito che la Regione “rimarrà al fianco degli allevatori”, garantendo risorse rapide e trasparenza nella gestione dell’emergenza.
Non mancano però le polemiche. Alcune cooperative di produttori contestano la scelta degli abbattimenti obbligatori e della vaccinazione indiscriminata, ritenute misure eccessive e penalizzanti. Secondo queste realtà sarebbe preferibile adottare sistemi di quarantena vigilata e controlli più mirati, in modo da evitare ulteriori danni a un comparto già fragile. A Foresta Burgos, nell’allevamento sperimentale gestito da Agris, è stato avviato un monitoraggio sugli effetti della vaccinazione, che potrebbe fornire dati utili per calibrare la strategia di contenimento. Nel frattempo, il blocco delle movimentazioni continua a pesare sull’economia zootecnica regionale, mentre la diffusione della malattia sembra al momento contenuta ma non ancora sotto pieno controllo. A parlarne sui social è invece Elena P. (@el_onyria), cantante del gruppo Onyria, che dedica tre reel a questo caso attaccando direttamente un sistema, il “solito schema” che, per lei, ricalcherebbe quello di una “strategia coloniale”.
“La regione dichiara lo stato di emergenza. Il ministero invia 300.000 dosi di vaccino. Ma i pastori vengono lasciati soli, nella paura, nell'incertezza e con l'obbligo di abbattere anche i capi sani. E intanto cosa succede nei nostri pascoli? Succede che gli allevatori smettono di produrre, succede che le aziende familiari vacillano, succede che la nostra zootecnia, già ferita da anni di disinteresse, viene azzoppata, ancora”. Elena P. si chiede se sia “solo una malattia o è una strategia ben mirata […] e non si provi a spacciarla come una spinta a ridurre il consumo di carne e a promuovere piuttosto l'agricoltura. Perché se davvero fosse questo l'intento, non avrebbero anche disincentivato le coltivazioni come invece succede da qualche anno a questa parte”. E da qui la sua pista: “Come altrove, migliaia di ettari vengono ritirati dalla produzione in cambio di sussidi. L'obiettivo ufficiale è la tutela ambientale, ma il risultato è l'abbandono della terra. Terra liberata, che guarda caso potrebbe tornare utile per eventuali altri progetti, magari green. Ne consegue poi la perdita di sovranità alimentare, l'importazione di alimenti da altri paesi”.
La naturale conseguenza? “Così si smantella la pastorizia, si blocca l'agricoltura e si distrugge l'identità. E nel frattempo si spiana la strada agli interessi energetici e finanziari. alle multinazionali, ai fondi di investimento, ai burocrati che mettono giù mappe senza aver mai messo piede nel territorio. Ed ecco perché invece che proteggere e prevenire la malattia, si abbattono interi allevamenti, si immobilizzano le aziende con zone rosse e divieti e si semina il panico. Proprio ora, guarda caso, mentre la Sardegna viene invasa da progetti energetici miliardari, altro che virus, è l'ennesimo strumento per disintegrare quel poco di sovranità e colonizzare la terra. Oggi il pretesto è una malattia. Domani sarà una direttiva europea ancora più esplicita. Si segue la linea dell'emergenza permanente. Perché ancora una volta, autosostentamento e produzione è sovranità. E la sovranità non è ammessa”.
