«Per quanto possibile, voglio scegliere la realtà» scrive Fedez in una serie di storie su Instagram che hanno, in questi giorni, infiammato una grande parte del cicaleccio social. Della faida tra ex innamorati non m’interessa molto, ma queste ultime righe credo meritino un’attenzione particolare. Fedez vuole scegliere la “realtà”, lasciando sottintendere la realtà autentica, non spettacolare, non mediata. Eppure, anche lui non sembra esserne convinto fino in fondo: esiste una realtà immediata, a cui fare ritorno? O si tratta soltanto di una nostalgia restaurativa di qualcosa che non c'è mai stato - di una pericolosa superstizione che spaccia l'autenticità come un valore, quando invece si tratta soltanto dell'ennesimo – “falsissimo” - trucco? No: non c'è un “verissimo” cui fare ritorno. Realtà è forse lo specchio frantumato che continuamente ricomponiamo in forme sempre rinnovate, la trama di storie (o stories) che abitiamo, i diversi profili che mettiamo in gioco; ciò che conta non è l'immediatezza, ma la consapevolezza - l'iniziazione al regime favoloso e inquietante delle immagini, che anche quando non sono “vere”, agitano sempre una loro verità. Per questo l'autentico, più che un approdo, è una trappola mercantile: un'illusione venduta come liberazione. Fedez, costruttore di formidabili narrazioni che hanno ipnotizzato l'opinione pubblica per anni, dovrebbe saperlo. O forse è lui stesso catturato nel vortice - nella bolla narrativa - che ha generato, e di cui ora vorrebbe liberarsi.
Nella grande architettura dell'Ipnosi che abitiamo quotidianamente, e che il filosofo Jianwei Xun in un saggio recentemente pubblicato ha chiamato Ipnocrazia (Tlon Edizioni, 2025), il punto non è più sfuggire, come in una moderna fantasia alla Matrix. Nelle parole di Xun: «La questione non è come sfuggire all’Ipnocrazia - impresa impossibile nell’epoca della mediazione totale - ma come mantenere viva, all’interno del sistema stesso, la possibilità di una presenza diversa. Non una presenza puramente resistente, eternamente reattiva, ma una presenza creativa, capace di generare nuove forme di vita». Ecco ciò che di cui abbiamo davvero bisogno: non di stories autentiche, sincere, “naturali”, ma di nuove forme di vita, meno prevedibili, e più consapevoli.