Nel giro di qualche ora due giovani hanno accoltellato il proprio genitore al culmine di una lite in cui il padre, stando alla versione dei familiari, stava aggredendo e maltrattando la madre. Tragici epiloghi che accadono dopo un’escalation di episodi di abusi e maltrattamenti nell’ambito di violenze domestiche perpetrate nel tempo di cui a volte non esistono riscontri documentali perché mancano le denunce alle autorità competenti. E così è successo che Bojan Panic, un ragazzo di 19 anni di Mezzolombardo (Ttrento) ha ucciso il padre colpendolo con un coltello da cucina perché per l’ennesima volta stava maltrattando la madre per poi chiamare i carabinieri e raccontare del tentativo non riuscito di rianimarlo. La madre ha confermato agli inquirenti la versione del ragazzo che, dopo essere stato tratto in arresto, è già stato scarcerato perché secondo la Procura la detenzione sarebbe stata una misura dannosa sotto il profilo personale. E a qualche ora di distanza un’aggressione simile è avvenuta a Carini (Palermo) dove un ventunenne ha colpito alla schiena con un coltello il padre che ora si trova ricoverato in prognosi riservata. Anche in questo caso il fattore scatenante del tentato omicidio sarebbe stata la necessità di difendere la madre dall’ennesima violenza del genitore e il giovane è attualmente detenuto in carcere.

Questi episodi ci pongono necessariamente di fronte ad un interrogativo: è possibile che la recente assoluzione di Alex Pompa, oltre a costituire un eventuale precedente giuridico, possa far scaturire gesti di emulazione nei figli delle vittime di violenza e maltrattamenti domestici? Tutti ci ricordiamo ciò che è accaduto ad Alex che nell’aprile del 2020 a Collegno (Torino) uccise il padre con 34 coltellate al culmine di una lite familiare per difendere la madre, fu inizialmente assolto in primo grado per legittima difesa, condannato in appello a 6 anni e 2 mesi e ora nuovamente assolto nel processo ripetuto per volere della Cassazione che ha annullato la sentenza di condanna. La storia di Alex ha profondamente diviso l’opinione pubblica come spesso accade quando i tribunali emettono sentenze inaspettate. C’è chi ritiene che si sia trattato di un episodio di giustizia “fai da te” e che un’assoluzione piena sia una scelta sconsiderata che potrebbe causare un senso di impunità e una tendenza all’emulazione in chi commette questo genere di delitti ed effettivamente i reati che si sono consumati negli ultimi giorni sembrerebbero dare man forte a questa tesi. C’è poi chi ritiene che questi ragazzi, così come le proprie madri e gli altri membri della famiglia, spesso fratelli o sorelle minori, siano a loro volta vittime vessate e logorate da anni di episodi di violenza domestica, abusi e maltrattamenti ai quali sono stati costretti ad assistere impotenti senza potersi difendere e senza poter proteggere i soggetti più deboli del nucleo familiare. Il punto, a mio avviso, è un altro perchè dovrebbe essere compito della società, della politica e delle istituzioni dare risposte che possano creare una vera forma di protezione e un supporto concreto a chi vive quotidianamente l’inferno, il dolore e le conseguenze traumatiche del comportamento di un adulto violento ed abusante.

L’espressione “rivoluzione culturale” non è figlia di una retorica senza senso, al contrario è l’unica soluzione che può essere adottata in casi come questi insieme ad una reale e decisa opera di rafforzamento della rete sociale che attraverso i centri antiviolenza, i servizi sociali e le forze dell’ordine possano garantire un intervento immediato e risolutivo quando viene segnalato un caso di violenza domestica. La scuola serve per formare la nostra conoscenza ma non è più possibile trascurare aspetti pratici della vita quotidiana per i quali i ragazzi hanno necessità di apprendere come comportarsi. È assolutamente necessario insegnare ai bambini e ai ragazzi che se un genitore spesso torna a casa ubriaco, sotto effetto di sostanze stupefacenti o anche lucido e picchia la mamma, loro possono e devono telefonare ai carabinieri al numero di emergenza 112 oppure ai centri antiviolenza al numero istituzionale gratuito 1522 per mettere immediatamente fine a quell’incubo. Ma per farlo devono avere la certezza che dopo l’intervento delle forze dell’ordine, non verranno lasciati soli a gestire il vuoto e il trauma dell’allontanamento del genitore violento e il rischio che un divieto di avvicinamento o un altro provvedimento restrittivo possa non essere sufficiente. E queste sono risposte che le istituzioni e la politica sono tenute a dare senza ulteriori ritardi.
