Massimiliano Fuksas dice che sarebbe stata la mossa perfetta in quanto simbolo del potenziale rinnovamento green che dovrebbe avvolgere tutto l'Occidente: l'ex Ilva riconvertita da mostro fatiscente e mortale ad azienda ripulita alimentata con idrogeno verde, ai Tamburi (il quartiere attaccato alla fabbrica, preesistente rispetto alla realizzazione dello stabilimento) tutte case a zero impatto ecologico, tutto a pompa con energie rinnovabili e quant'altro. Bello, belle parole, ma Fuksas è un archistar. Non un legislatore. Non un politico. E probabilmente nemmeno un tecnico dell'energia, visto che sulla questione idrogeno ci sono moltissime polemiche di fattibilità: per stoccaggio, utilizzo nell’industria pesante, capacità di produzione (produrre idrogeno green significa avere una rete infrastrutturale di rinnovabili di cui l’Italia non gode al momento). Ma al di là di questa sfaccettatura, il punto è che da queste parti, a Taranto, non siamo abituati a considerare l’idea di un futuro migliore. Ci immaginiamo ricoperti di minerale, alla meglio. Fuksas ha avuto una bella intuizione, ma la macchina del potere se ne sbatte di Taranto. Dalle aule romane dei decisori sono arrivate principalmente bastonate per ‘sta città. Lacrime e sangue, niente di più e niente di meno. Così come pulviscolare e atomizzata è l'incisività della politica locale tarantina nelle dinamiche più decisive per la nostra città. Dunque è difficile immaginarsi un vero interesse risolutivo dello Stato per Taranto. Perché siamo, e sempre saremo, Zona di Sacrificio. Nessuno ha interesse a riscattare davvero le sorti di questa città. Siamo un casino troppo gigante e ingarbugliato, come le fascette dei pugili dopo un lavaggio a 900 giri in lavatrice. Siamo un groviglio di scelte sbagliate e diossina.
Sempre sul Fatto di ieri c'è una bella ricostruzione cronologica che narra come è nata l'acciaieria a ciclo integrale più grande e nota d'Europa. Dalla sua fondazione nel 1965, quando la denominazione era la statale Italsider, ad oggi che è un meticcio malato alla catena degli indiani ArcelorMittal che aspetta solo il colpo di grazia, l'abbattimento senza clamore. Oggi l'ex Ilva è un ibrido in cancrena, un po' privata, un po' statalizzata attraverso Invitalia, che si fa pisciare in testa dagli indiani di ArcelorMittal. In città, nei bar, nei biliardi, nelle assemblee politiche, lo si dice da sempre: faranno morire la fabbrica in silenzio. Manco accamperanno giustificazioni o programmeranno uno smantellamento alla decente. L'ex Ilva Diventerà l'ennesimo rottame italiano. Gli operai che ci lavorano ancora saranno cassintegrati, rioccupati, alcuni moriranno, altri chissà che cosa faranno. Oppure, oppure... Chissà, magari Fuksas ci ha visto giusto, ma non ci sarà niente di virtuoso come se lo immagina lui. Magari Taranto resterà ancora fulcro industriale. Perché che fai, se già hai un immondezzaio abituato a ingollare merda ne apri un altro? Ma va! Siamo Zona di Sacrificio noi, mica siamo un terreno fertile per costruirci su qualcosa di veramente bello e pulito. Per questo forse si parla di Hydrogen Valley a Taranto, per questo si decide di stravolgere l'ecosistema di un fiume come il Tara, un corso d'acqua che lambisce le campagne periferiche del nordovest tarantino, per impiantarci un Desalinizzatore che fornirà acqua a tutta la Puglia. Acqua che potrebbe essere usata per sintetizzare idrogeno, visto che l'idrogeno non è un combustibile ma un vettore energetico? Acqua che, desalinizzata, rilascerà una scoria nociva nota come salamoia che distruggerà ancora di più le acque di quel pezzo di territorio di Taranto, che già può vantare una cicatrice come il primo parco eolico offshore, uno spettacolo incredibile.
Fatevi un giro sulla statale 106 direzione Calabria, fatevelo. Invece di andare in Salento, in Valle d'Itria, a Polignano a Mare o nel Gargano, fatevi un giro a Taranto Zona Industriale. Ammirate l'ipocrisia dell'Eni che di notte spara sulle sue cisterne con un mega riflettore delle diapositive che mostrano alcune bellezze di Taranto come il ponte girevole o reperti archeologici del MarTa, il Museo Archeologico Tarantino, mentre contestualmente ci inonda di gas a rotta di collo. Andate a Punta Rondinella, a Lido Azzurro, davanti alle pale eoliche. Fatevi un bagno vicino alle conche di mare dove l'ex Ilva succhia via l'acqua per raffreddare la lavorazione dell'acciaio. Rimirate gli scarti di lavorazione che arrossano i guard-rail e colorano le strade. Respirate a pieni polmoni gli idrocarburi e il fizzo di capitalismo novecentesco in tutto il suo massimo splendore. Magari tra qualche anno qua ci troviamo pure una centrale nucleare. Chiariamoci: l'indipendenza energetica è fondamentale per ogni nazione che si rispetti. Altrimenti, come si dice a Taranto, fascime pizz'. Facciamo pizza. Non combiniamo niente. Quindi sarebbe anche l'ora che in Italia si pensasse davvero all'emergenza energia, sia in termini di sussistenza che di impatto ambientale, cercando strategie di ampliamento della produzione e, al tempo stesso, riducendo le emissioni nocive. Ma perché continuare a prenderci in giro? È da anni che ci dite che a Taranto ci sarà una rinascita, che le cose cambieranno, che avremo una vita migliore. Ma non cambia mai niente. Non è con un palazzo nuovo nel borgo antico o una regata di barche a vela che si può rivoltare il paradigma industriale che questa città vive da sessant'anni. Sessanta cazz* di anni. Sono tanti. Abbastanza per modificare il codice genetico di una terra che era dolce, incontaminata, generosa nei frutti di terra e di mare e che adesso ancora ha lampi di bellezza (quella è come il talento: non puoi costruirla, o ce l'hai o non ce l'hai) ma è tanto, tanto deformata. Sarebbe davvero bello se Taranto diventasse un simbolo di rinascita ecologica. Ma non accadrà. Non conviene a nessuno. Meglio che le cose restino come sono. E poi, te l’immagini l’hydrogen valley a Lecce? Ma va!