E’ la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. E ritrovarsi a guardare e riguardare l’Episodio 18 di Falsissimo, intitolato Violenza e Potere, lascia quella sensazione lì di quando dovevi fare una cosa, ma poi vuoi farne un’altra. Sì, c’era un pezzo da scrivere. E l’accordo preso nella solita riunione di redazione era uno: scriviamo quello che si dice nei due video, quello gratuito da un’ora e dodici, e quello riservato agli abbondati da 33 minuti. Il punto, però, è che dopo quasi due ore di ascolto, tra l’altro tornando indietro, interrompendo, provando a capire meglio e ricominciando, ci sta che vorresti scrivere altro. A MOW, per fortuna, si può fare. E lo faccio. Ok, raccontare di Genovese, il famoso imprenditore di terrazza Sentimento, che s’è beccato meno di sei anni di condanna vissuta più da turista forzato che da carcerato potrebbe fare gioco. Come potrebbe fare gioco raccontando della oggettiva disparità riservata al figlio di Beppe Grillo, dopo l’accusa di stupro da parte di una ragazza, e quella riservata, invece, al figlio di Ignazio La Russa, dopo la stessa accusa, ma da parte di un’altra ragazza.
Storie già note. E storie, tra l’altro, raccontate ancora da Fabrizio Corona proprio col suo lavoro. Quello che resta in sospeso, invece, è il giudizio e una conclusione: la Giustizia in Italia è ormai prigioniera di leggi fatte sull’emotività e dinamiche ormai non più svincolate dal potere. Nel primo caso – sarà pure cinico da dire, ma è quello che emerge – perché si finisce per non tenere conto del buon senso, della realtà delle cose o, come nel caso specifico, del fatto che tra tante vittime c’è pure chi, purtroppo, a fare la vittima ci gioca. O ci prova. Soprattutto dentro mondi – quei mondi che Corona chiama “circolini” – alimentati a denaro e sballo e che non saprebbero muoversi con carburanti differenti. E poi c’è il secondo punto. Quello spiegato con la freddezza di un padre ferito, proprio dal babbo della ragazza che ha denunciato la violenza subita dal figlio di La Russa e da un suo amico. “La madre non voleva denunciare, sono stato io che l’ho spinta – spiega – non dico, e non voglio dire, che il padre di questo ragazzo abbia fatto qualcosa per arrivare all’archiviazione, anzi. Magari lui non ha fatto niente. Ma potrebbe essere bastato il suo nome”.
Ecco, in questo passaggio c’è praticamente tutto di quasi due ore di puntata. Il crudo realismo di un uomo che si rende conto di tutto: della figlia che ha sbagliato, di altri ragazzi che hanno sbagliato ma dovrebbero imparare a non toccare una ragazza che non è cosciente, ma pure di un Paese che preferisce “lasciare perdere” quando il rischio è quello di sbattersi – o di sbattere – sui muri del potere. Un potere che, paradossalmente, non ha più bisogno neanche di farsi sentire o intervenire. Si va dove conviene. Si va per quello che conviene. E ci si ritrova, se e quando si pensa di essere vittime di qualcosa, a pensare di rivolgersi fuori dall’Italia, magari direttamente alla Corte dei Diritti, a Strasburgo.
Attenzione, il potere non è solo quello di un presidente del Senato con un figlio uscito storto: significherebbe guardare al grosso per non vedere tutto quello che è sotto il naso ogni giorno. Tutti i circolini che ci sono. E a cui, purtroppo, in qualche modo e in una qualche misura, apparteniamo tutti. O di cui, in qualche modo e in qualche misura, tutti ci serviamo. Per sentirsi parte o, magari, anche per chiedere protezione. E’ impattante? Sì, ma il problema sono i circolini prima degli stupri. O dei presunti stupri. E a Fabrizio Corona, questa volta, va riconosciuto il merito di averlo fatto spiegare direttamente a un padre nella posizione più scomoda.