Gli stupidi e le stupide, commentando il video di Giorgia Meloni che annuncia il suo “Sono tornata!”, forti appunto della loro stupidità coltivata nei social, dicono: “Si è rifatta gli zigomi!”. Stupidi, analfabeti, nutrie. Incapaci di comprendere la sostanza di un dispositivo narrativo che gioca sull'identificazione, come altrove Uomini e donne di Maria De Filippi. L’artista “ufficiale” di Napoleone Bonaparte (e famiglia) si chiamava Jacques-Louis David, a sua volta un politico. L’artista ufficiale di Giorgia Meloni è Giorgia Meloni stessa. Non usa i pennelli, tantomeno la tavolozza, le basta un cellulare, “tela” celebrativa del suo governo, così da secernere selfie su selfie, molti selfie, spray. Assai poco imperiali, preferibilmente, appunto, familiari, celebrativi della concordia tra consanguinei e parentela acquisita, cooptata, tra Colle Oppio e ogni altro trascorso rito del “Presente!”. Possibilmente selfie sorridenti, fiduciosi sempre verso sé stessi. In filigrana passivi-aggressivi. Il messaggio è semplice e immediato, e suggerisce una presunta invidia altrui: la vita è bella, se vista da Palazzo Chigi, ancora di più, ancora meglio, se vissuta dalla prospettiva infinita del governo della “Nazione”, siamo “patrioti” (espressione che non sentivamo dai giorni in cui collezionavamo le figurine del Risorgimento: Pietro Micca, Maroncelli, Luigi Rizzo con il suo Mas 15 e, ovviamente, Balilla che fa fischiare il sasso), abbiamo ricevuto da tutti Voi il mandato popolare, siamo come Voi, di più, siamo Voi… Siamo belli. Ci assomigliamo. E tutti gli altri “zecche”. Inframezzate tra i primi piani del presidente “Giorgia” altri scatti non meno celebrativi mostrano sportivi che hanno conseguito una vittoria, primi piani di poliziotti non meno sorridenti, lì a testimoniare sé stessi come “smile” securitari. E Chico Forti, vero eroe ai loro occhi, a sua volta uno di Noi. In ossequio al Made in Italy, orgoglio autarchico, anche la foto di Giorgio Armani, “icona di stile ed eleganza, senza tempo”, lì ad accompagnare gli “auguri di buon compleanno a un grande italiano, capace di trasformare in opere d’arte i materiali che utilizza e far sognare chi indossa le sue creazioni”. Doveri da proloco non meno governativa. Così come in Rai un palinsesto di racconti dedicati al territorio: patria, patata, carciofo, cannelloni. Al popolo di “poeti di artisti di eroi di santi di pensatori di scienziati di navigatori di trasmigratori” vanno quindi doverosamente acclusi anche gli stilisti, onore al tricolore, onore alla lasagna. Giorgia Meloni, si sappia, tornando al Made in Italy, veste appunto Armani.
Il post che documenta l’ennesima conferenza stampa, possibilmente senza interlocuzione con i giornalisti, proclama invece che “gli italiani ci hanno detto che dobbiamo andare avanti. E io con determinazione intendo andare avanti”. Versione “dolce”, “easy”, del “noi tireremo diritto” pronunciato un tempo da altri, nonni ideali, riassunti nella Fiamma mai cancellata dal contrassegno elettorale, in orbace e spada dell’Islam sollevata al cielo. Il mandato popolare impone determinazione, poco importa che si tratti di una variante plebiscitaria dell’ordinaria nozione di governo. Il colore di sfondo prediletto resta l’azzurro, mutuato dal non meno prediletto “chroma key” berlusconiano. Più che sabaudo, calcistico, celestiale, deodorante intimo unisex. Infine il biglietto della bambina, “Mamma ti amo”, cui mammina risponde “La mia forza e il mio sostegno. Sempre”. Prontamente i beneficiati e le beneficiate, depongono like e ancora like sotto il post. Chi volesse comprendere lo stato della predisposizione subalterna, forse anche servile e clientelare, dovrà fare caso proprio a chi si accosta al selfie appena citato manifestando vicinanza, accompagnata doverosi da emoticon a cuoricino: Giorgia, noi ci siamo, sappilo… La narrazione familiare si estende alla pagina Instagram della sorella Arianna che davanti ai fuochi d’artificio ferragostani, facendo propria una parafrasi, considera che “ogni mattina in Africa, come sorge il sole, una gazzella si sveglia e sa che dovrà correre più del leone o verrà uccisa. Ogni mattina in Italia, leggendo la rassegna stampa, so che dovrò smentire l’ennesima fake news dei quotidiani di sinistra, veri e propri spacciatori di notizie inventate di sana pianta”. Vittimismo preventivo che, come ha spiegato Umberto Eco a proposito dei segnali per riconoscere l’attitudine autoritaria, si accosta nuovamente alla sublime veranda familiare, Arianna Meloni come estensione dell’esistenza stessa dei successi della sorella minore: se “Giorgia” si mostra mentre abbraccia tre pischelli di colore, “Ari” risponde stringendo al petto il suo spitz di Pomerania, il cane-mocio più paradigmatico degli ultimi decenni. Né manca la palestra, gli anelli, né può esserci risparmiato il karaoke: “Io vagabondo” dei Nomadi. Sorella d’Italia poi chiosa: “La guardo e penso se davvero gli Italiani sapessero chi è mia sorella sarebbe un vero e proprio plebiscito, altro che 25% di Fratelli d’Italia. La sua grandezza è la sua umiltà, la semplicità di chi viene da lontano, di chi ha percorso una strada in salita con tanti, tanti ostacoli, di chi ricorda sempre chi è e in cosa crede, di chi si farebbe uccidere per il bene dell’Italia e degli italiani. Eccola nella sua semplicità, in una serata carina, mia sorella, non è un mostro, è una donna, una mamma, un’amica e una sorella Unica. Mi auguro per l’Italia tutta che sia anche un Presidente del Consiglio perché già so che la sua sarà una grande storia. Viva l’Italia, Fratelli d’Italia, Viva Giorgia Meloni”. Bonapartismo rionale. Parole che parlano da sole, rivolte al cuore semplice della nazione. “Unico” non nell’accezione anarco-individualista di Max Stirner, più comodamente immaginando una pizzata tra sorelle.
Gozzanesimo 2.0, che fa venire voglia di parafrasare con parole rinnovate Giambruno impagliato e il busto di Crosetto, di Lollobrigida, di Fazzolari, di Mollicone, come generali napoleonici, fiori in cornice, sogni di pizzate con le amichette, le buone cose di pessimo gusto al tempo del populismo! E la risposta sempre pronta di fronte all'obiezione di non avere mai rimosso dal cuore il nero del fascismo: “Siamo nel 2024!” Quanto al non meno gozzaniano “sposo promesso: il Principe Azzurro, lo sposo dei sogni sognati...”, qui il selfie mostra una cancellatura, una rimozione, così come i propagandisti di Stalin avevano cura di cancellare Trotskij dagli scatti che lo mostravano accanto a Lenin, allo stesso modo, nel photoshop ideale della narrazione familiare e familista meloniana, condivisa dall’intera via della Scrofa, per avere contezza degli ex occorre consultare Dagospia, vanno immaginati ormai in un altrove, comunque apprezzati dal pubblico elettorato di riferimento come possibili sostituti dei protagonisti di Terra amara, forse anche di Temptation Island. Per chi ne fosse interessato, il gatto e il cane di casa Meloni-Lollobrigida si chiamano Pallocchio e Coco, chi avrà cura dell’uno e dell’altro, dopo la separazione, forse è solo questo l’unico interrogativo pressantemente politico che i semplici elettori di Fratelli d’Italia hanno a cuore.