Il caso della Trattoria Meloni in Albania al momento non trova risposte politiche, né sembra interessare al resto della stampa italiana che nel frattempo mantiene un silenzio degno di nota. Ormai manca poco all'apertura dell'hotspot di Shengjin, e se le accuse locali al proprietario della trattoria non fossero soltanto mosse di una controparte politica (è accusato di traffico di droga, distrazione di fondi europei e furto, oltre a essere associato al progetto finanziato dall'Italia sui migranti) ma trovassero il loro fondamento, diventerebbe un problema anche italiano, quindi europeo. Per questo motivo abbiamo interpellato Riccardo Magi, parlamentare e segretario di +Europa, contrario all'hotspot albanese e protagonista a giugno di quest'anno di uno scontro con Giorgia Meloni proprio a Shengjin.
Magi, cosa ne pensa di come la stampa italiana ha trattato la questione della Trattoria Meloni in Albania?
Senz'altro è curioso che nessuno abbia verificato le notizie della stampa locale prima o dopo aver mandato in onda il servizio sulla Trattoria. E che nessuno dei giornali principali abbia ripreso i vostri articoli. Sinceramente sono rimasto colpito da come i media italiani hanno trattato il caso.
Meloni non dovrebbe dissociarsi da tutto questo?
Sì, la domanda che mi sono posto leggendo il vostro pezzo è: Meloni è contenta che il suo nome venga usato così? Non lo dico in chiave polemica, ma in generale. Dovrebbe stare più attenta a chi usa il suo nome e la sua immagine, perché se tutto questo è vero, non è una grande pubblicità per lei.
Alla luce delle accuse e dell'assenza di risposte ci sono i presupposti per un'interrogazione parlamentare?
Per ora direi di no, anche perché si tratta comunque di accuse che andrebbero iscritte in un procedimento legale. La cosa più grave, a mio avviso, rimane principalmente l'accordo in sé, perché crea un precedente, e altri paesi europei potrebbero avere interesse nel seguire questo modello. Questo dimostra una grave crisi dello Stato di diritto nell'Unione Europea che sta cedendo su molte questioni, come la detenzione dei migranti, le procedure accelerate e la rinuncia a modificare il trattato di Dublino.
Lei è stato lì, quindi ha visto bene la situazione. Cosa è stato costruito fino ad ora?
Quando ci sono stato io, a inizio giugno, ancora non era stato realizzato il centro di prima accoglienza presso il porto. Si trattava di container affiancati circondati da alte recinzioni di metallo, simili a quelle che conosciamo nei Cpr italiani. Al centro c'era un'area simile a un cortile interno, ricavato tra i container, dove è stato montato un tendone per la conferenza stampa con Meloni e Rama. Questo spazio chiaramente non può essere usato come centro di accoglienza, essendo sulla banchina all’interno dell’area portuale. In ogni caso, sorgono subito dubbi sulla compatibilità di queste strutture con il diritto europeo e anche con quello nazionale.
In quale misura?
Nel Ddl di ratifica c’è una formula che dice qualcosa come “per quanto compatibile”, il che già prepara il terreno per una zona grigia del diritto. Quando ho incontrato la presidente Meloni e le forze di sicurezza albanesi eravamo ai primi di giugno scorso. Meloni, andando via, mi ha detto: "Voi di +Europa dovreste essere contenti, perché con questa operazione stiamo portando l’Europa in Albania." Io le ho risposto che, in realtà, stanno portando l’Italia fuori dal diritto europeo, venendo qui in Albania. La motivazione di fondo è creare un luogo dove si possono aggirare, se necessario, le norme del diritto europeo e italiano. Questa struttura è già basata su una discriminazione e un’illegalità di fondo: lì verranno portate persone che sono tecnicamente naufraghi salvati dalle navi italiane, quindi Guardia costiera e Guardia di finanza, e saranno detenute. Nel frattempo, persone con la stessa condizione giuridica, salvate magari da Ong o da altre autorità e portate in Italia, saranno considerate richiedenti asilo e inserite nel circuito di accoglienza previsto dalla legge.
C’è già una discriminazione di fondo quindi?
Si basa su una necessità di propaganda del governo che realizza questa struttura la quale, dal mio punto di vista, è uno schifo. Si tratta di colonie detentive per stranieri sul territorio di un altro paese, una cosa che non si vedeva dai tempi della Seconda Guerra Mondiale in Europa.
Perché lo fanno?
Per propaganda. Il messaggio che il governo Meloni manda agli italiani è che l’Europa ci lega le mani, ma noi riusciremo comunque a tenere lontani i migranti. Si tratta di un simbolo politico: far vedere agli italiani che "li portiamo via dalla vostra vista, li teniamo lontani". In realtà sarà un numero irrisorio rispetto ai flussi complessivi. Poi c’è anche l’illusione che possa servire come deterrente, come se chi parte dalla Libia o dalla Tunisia, dopo anni di detenzione e tortura, decidesse di non partire più perché rischia di finire in Albania. Non comprendono le ragioni che spingono le persone a cercare di arrivare in Europa.
Così si accontenta davvero l'elettorato?
Meloni aveva promesso blocchi navali e altre misure irrealizzabili, e si è dovuta accontentare di questa soluzione ridicola. È un’iniziativa che fa acqua da tutte le parti, sia per le violazioni del diritto sia per lo spreco di risorse: si parla di almeno un miliardo di euro. Lei ha citato 750 milioni nei prossimi quattro o cinque anni, ma sono cifre sottostimate. Solo per il personale, tra agenti di polizia e funzionari delle prefetture, si prevedono spese enormi.
Per la nave è stato fissato un tetto di 13 milioni e mezzo.
Sì, esattamente. Poi c’è il rischio che questa struttura non apra mai, o che se apre, ci siano così tanti problemi tecnico-logistici da renderla impraticabile. Inoltre, ci sono moltissime procedure da svolgere lì. Ho redatto una relazione di minoranza sulla conversione del DDL, cercando di capire quante funzioni dovranno essere espletate. Molte persone dovranno essere rimandate indietro, e non è chiaro dove avverrà lo screening per distinguere chi non può essere trasferito lì, come minori, nuclei familiari, persone vulnerabili o chi ha subito violenze. Queste non sono cose che si possono comprendere durante un salvataggio notturno.
Quindi ne trattengono alcuni mentre altri li riportano in Italia?
Esatto. Una cosa che il governo non ha mai chiarito durante la discussione in aula. Se le domande di asilo saranno accolte o respinte, comunque, molte di queste persone dovranno tornare in Italia, sia per procedere con l'espulsione sia perché, dopo 18 mesi, termina il periodo massimo di detenzione amministrativa nei CPR e comunque dovranno essere riportate in Italia.
Al momento sembra che ci guadagnino un po' tutti, sia dal lato albanese che da quello italiano.
E nel frattempo, come dicevo prima, anche chi dovesse risultare vulnerabile in un secondo momento dovrà essere riportato in Italia.
Quindi ci saranno molti viaggi a vuoto.
Esatto. Inoltre, ci saranno sicuramente non convalide dei fermi, perché tutto questo si basa su un principio contrario al diritto europeo: la detenzione collettiva. Nel diritto europeo è prevista solo per singoli casi con motivazioni specifiche, non può essere applicata a tutti i naufraghi di un salvataggio. Se i magistrati non convalideranno i fermi, anche queste persone dovranno essere riportate in Italia.
Quindi rischiamo di portarli comunque in Italia. Il meccanismo è che la nave salva i migranti e li porta direttamente in Albania, giusto?
No, in teoria lì non dovrebbero arrivarci i vulnerabili. Ma non si capisce ancora dove avverrà lo screening.
Forse vogliono farlo a bordo?
Ma per farlo servono medici, mediatori, traduttori, psicologi. Perché bisogna capire, ad esempio, che la maggior parte delle donne provenienti dalla Libia ha subito violenza sessuale. Ma anche per i giovani bisogna comprendere la loro reale età, se sono minorenni o meno. Il governo ha chiarito che le donne non ci andranno, ma per i ragazzi non è chiaro se rientrano nei criteri.