Pochi giorni fa, di fronte a un prezzo del gas arrivato a picchi difficili da ricordare, la procura di Roma ha aperto un’indagine sul notevole aumento delle bollette, cercando di chiarire se siano guidate da speculazioni illecite e truffe. Truffe di cui aveva esplicitamente parlato il ministro per la Transizione ecologica, Roberto Cingolani, citando il largo aumento dei costi delle forniture senza che alla base ci sia quello delle materie prime. Un’osservazione netta, che non è certo passata inosservata alla stampa e allo scenario politico-economico italiano in toto, parte del quale non ha mancato di notare le contraddizioni insite in simili dichiarazioni: perché dal governo arrivano le stesse proteste che potrebbero arrivare da un comune cittadino incazzato nero di fronte a una bolletta più che raddoppiata, ma nessuna imposizione?
L’Eni, che ha il monopolio in Italia del gas, è ad ampia partecipazione statale, quello stesso Stato che d’altronde l’ha creata. Ed è peraltro una legge chiara e precisa, la numero 474 del 30 luglio 1994 – cosiddetta “golden share” – che esplicita come i Ministeri di economia e finanze e dello sviluppo economico restino titolari di una serie di poteri speciali nei confronti della compagnia attualmente guidata dall’Ad Claudio Descalzi:“L’istituto della c.d. golden share, cioè il potere di introdurre nello statuto delle società oggetto di privatizzazione poteri speciali che il Governo, attraverso il Ministro dell’economia e delle finanze, può esercitare anche dopo aver ceduto il controllo, è stato previsto nell’ambito della disciplina generale sulle privatizzazioni dettata dal decreto-legge 13 maggio 1994, n. 332. La golden share si applica alle società che operano in settori relativi ai servizi pubblici, tra i quali il decreto-legge n. 332/1994 indica espressamente la difesa, i trasporti, le telecomunicazioni, le fonti di energia”. Poteri speciali che vogliono dire interventi, primo tra tutti l’imposizione di un tetto ai prezzi, diventati seriamente insostenibili per privati e soprattutto per le aziende cosiddette “energivore”, vale a dire quelle tendenzialmente a ciclo continuo di produzione.
Prezzo dell’energia alle stelle: quanta speculazione?
La girandola produttiva che porta i prodotti dalla fonte alle persone è sempre particolarmente complessa, e un simile discorso è si fa ancora più articolato per quanto riguarda il settore energetico. Qui si moltiplicano infatti gli elementi in gioco, e l’analisi di concorrenza in divenire, scenari ipotetici e futuri diviene quasi più importante della cornice presente. Tuttavia, la sostanza che emerge da molti osservatori nazionali e non è come la situazione di prezzo attuale rappresenti un unicum degli ultimi 20 anni, per via dello scostamento fortissimo tra fattori socio-economici e aumento dei prezzi del gas; questo malgrado siano emerse in prevalenza spiegazioni di tipo bellico, di filiera, dogane e simili.
La verità? Difficile da dire, ma per farsi un’idea un po’ più strutturata basta dare un’occhiata al prezzo del gas in altri Paesi quali Austria, Stati Uniti, Giappone e moltissimi altri, dove lo scenario è rimasto praticamente invariato anche di fronte ai venti di guerra del 2022. Per dirla con le parole utilizzate dal noto economista Luigi Bidoia, il prezzo non sembra affatto dipeso “dalla legge della domanda e dell’offerta – come invece dovrebbe essere in un mercato sano e trasparente – ma piuttosto da operazioni speculative e di arbitraggio da parte di grandi operatori energetici”.
Nell’esprimere simili osservazioni, Bidoia non fa altro che spendersi in un’esegesi di quanto detto dall’Antitrust, l’Autorità Garante per la concorrenza e il Mercato, quando nota come l’incremento si sia “ribaltato integralmente sugli utilizzatori, che l’hanno a loro volta passato sui prezzi praticati; un possibile intervento per calmierare il prezzo del gas sarebbe dunque rappresentato, seguendo tale critica, da qualche forma di ritorno ad un sistema di contratti a lungo termine, abbandonando il massiccio ricorso alle contrattazioni spot sviluppatosi negli ultimi anni”.E mentre resta in ballo la questione della diversificazione delle fonti energetiche e il distacco da “mamma energia” la Russia – sforzo che richiede almeno 4 anni e appare su carta difficilissimo – Cingolani ha provato negli ultimi giorni a ristabilire ordine dopo il suo sfogo, evidenziando come non abbia “nessuna intenzione di sollevare problemi senza proporre soluzioni, come qualcuno ha voluto intendere”. Se i rincari – ha proseguito – seguono il cosiddetto “mercato degli hub”, va valutata come prima ipotesi quella di un “price cap”, vale a dire la fissazione di un tetto massimo per il prezzo del gas all'ingrosso, che “porterebbe molti benefici anche sul prezzo di mercato elettrico”.
Ma è normale essere arrivati fino a questo punto? E per quale motivo il tono delle osservazioni, talvolta anche nette e severe, da parte di Authority e governo non è mai accompagnato da una svolta interventista anche laddove ce ne sia concretamente la possibilità?