“Me lo merito, ho sbagliato. È giusto che mi assuma le mie responsabilità” ha detto Chiara Ferragni a Valerio Staffelli, l’inviato di Striscia la notizia che le ha portato il Tapiro d’oro per la vicenda legata ai pandori Balocco (e oggi la giornalista Selvaggia Lucarelli contrattacca sollevando altri dubbi anche sulle uova di Pasqua benefiche con Dolci Preziosi). Una brutta storia, ancor di più in un periodo natalizio e visto che riguarda donazioni benefiche, per la quale l’Antitrust l’ha condannata a pagare un’ammenda di oltre 1 milione di euro (e 420mila euro a Balocco) per pratica commerciale scorretta. Secondo l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, le società Fenice e TBS Crew, che gestiscono i marchi e i diritti di Chiara Ferragni, avrebbero pubblicizzato in modo ingannevole il pandoro. In pratica, i consumatori potevano essere indotti a pensare che, comprandolo, avrebbero contribuito a una donazione all’Ospedale Regina Margherita di Torino, mentre invece la donazione era già stata effettuata: 50mila euro dalla Balocco a fronte di 1 milione di euro incassato dall’influencer. L’imprenditrice digitale ha annunciato ricorso al Tar, ma l’aspetto più interessante è contenuto nel video di scuse che ha pubblicato sui social. Perché in quel mea culpa, infatti, sembra contenuto il punto più importante (per lei) di tutta questa vicenda. E non si tratta soltanto dei soldi, quanto invece dell’aspetto reputazionale. A quanto ammonta il danno di immagine per Chiara Ferragni?
In un video breve, ma molto esplicativo, a quantificarlo ci ha pensato l’avvocato e presidente di Consumatori.it Massimiliano Dona, che ha poi sottolineato un altro errore di comunicazione di Chiara Ferragni che rischia di ricadere su tante altre iniziative meritevoli. Ma andiamo per ordine. “Cosa ci dice il video nel quale Chiara Ferragni si è scusata per lo scandalo del pandoro Balocco” si chiede Dona, rispondendo subito dopo: “Ci sono almeno due cose da sottolineare. E non penso al tono dimesso, alle lacrime agli occhi, che lascio agli esperti di comunicazione. Così come non sottolineerei più di tanto il fatto che abbia deciso di chiedere scusa. Mi sembra ovvio che un personaggio pubblico che crede di aver fatto un errore debba chiedere scusa, non è un fatto eccezionale”. Le cose interessanti sono altre. La prima: a quanto ammonta il danno di immagine? “Da un punto di vista tecnico, riguardano l’entità del danno reputazionale che tutta questa storia ha generato sul personaggio Chiara Ferragni. C’è un elemento che ci mette in condizione di capire a quanto ammonta la lesione alla sua immagine. Se ci pensate mette sul tavolo fin da ora 1 milione di euro che decide di donare in beneficenza a scopo riparatorio. Ma a questo milione dobbiamo aggiungerne un altro perché, alla fine del suo video, Chiara Ferragni dice che donerà in beneficenza anche la differenza tra la multa che le è stata fatta dall’Antitrust e quella che poi sarà decisa dopo il suo ricorso al Tar. Questa multa - prosegue nel video - potrebbe persino essere annullata, quindi al milione che ha donato spontaneamente potrebbe aggiungersi un altro milione di euro. Questo ci fa dire che il danno reputazionale, secondo il team della Ferragni, può essere già stimato almeno nella misura doppia, 4 forse 5 milioni di euro, e questo ci spinge a sottolineare come quando si gioca con la fiducia delle persone forse è meglio stare molto attenti perché il danno all’immagine di personaggi di questo spessore può davvero raggiungere cifre astronomiche”.
Non solo, perché nel video di scuse dell’influencer più famosa d’Italia sarebbe contenuto un errore di comunicazione che rischia di penalizzare chi, invece, grazie alle attività commerciali riesce a sostenere giuste cause: “L’altro elemento che vorrei sottolineare - ha spiegato il presidente di Consumatori.it - riguarda la commistione tra iniziative commerciali e benefiche. Perché l’influencer in questo caso dice ‘basta non mischierò più questioni commerciali con questioni di beneficenza’, proprio per evitare guai. Ma qui forse il messaggio è sbagliato, perché rischia di gettare fango su tutte le operazioni commerciali che però perseguono anche una buona causa. Basterebbe citare i numerosissimi pandori solidali che sono in vendita proprio in questo momento. Il punto è essere trasparenti. I consumatori - ha concluso l’avocato Massimiliano Dona - vogliono sapere quanta parte del prezzo di quel prodotto sarà devoluto in beneficenza. Dobbiamo fare il possibile perché gli italiani non perdano la fiducia nelle iniziative di beneficenza. Siamo un popolo generoso e sarebbe davvero un peccato se alla fine di tutta questa storia ci passasse la voglia di donare”.