Nei giorni in cui si parla di femminicidi, maltrattamenti sulle donne, subito dopo la celebrazione della Giornata contro la violenza sulle donne, il 25 novembre, Matilde Ciccia ci racconta il suo passato. Stella della danza sul ghiaccio, madre, moglie e, purtroppo, vittima di violenza domestica per almeno quindici anni. Una sofferenza tale da arrivare a dirci di essere “morta dentro”. Il vero problema? Che “alla gente non importa finché non vede il sangue. Cosa mettono a fare le scarpette rosse in strada se poi non aiutano chi è ancora in vita?”. Singhiozzando ci dice che “quando mi hanno detto che avevo il cancro ho sperato di morire”. E poi la lontananza dal figlio (“non lo vedo da quando il padre, a undici anni, lo ha portato via”) e il dolore che si porta dietro da tutta una vita. Questa è la sua storia.
Matilde, come nasce la sua storia di maltrattamenti?
Io ho avuto la disgrazia di conoscere questo signore a trentasei anni, quando ero stata invitata a una cena. Nonostante io non me la sentissi di andare, ho portato una mia amica che era appena stata lasciata dal fidanzato e che sentiva il bisogno di evadere. Da quel giorno la mia vita non è stata più la stessa. Ancora faccio fatica a dormire, ogni notte devo prendere dei calmanti, perché altrimenti non vado a letto, oltre al fatto che mi ritrovo nella situazione di dover curare, oltre me stessa, mia mamma di novantatré anni, che è a casa con me.
Ti possiamo chiedere il nome di quest’uomo?
Carlo Galiano, è il padre di mio figlio…
Lui all’inizio com’era con lei?
Quella famosa sera in cui l’ho incontrato, a mezzanotte, prendendo la Lamborghini di suo fratello, per fare il grande uomo, quando non me ne fregava nulla della macchina, ha riaccompagnato a casa la mia amica e me. Da quel giorno ha cominciato a chiamarmi, a presentarsi sotto casa, a essere galante, finché non è riuscito a insediarsi come un serpente in casa mia. Era gentile, educato, affettuosissimo. Quando organizzavo delle cene a casa con degli amici veniva anche lui e si presentava sempre con qualsiasi cosa, con l'intento di mostrare la sua bontà e la sua gentilezza. Poi però sono stata avvertita da più persone che era sposato, mi hanno detto che sarei dovuta scappare perché la moglie non me l'avrebbe perdonata. Lui continuava a dirmi “non ti preoccupare, ci sono io che ti proteggo”, anche se non capivo da che cosa. A posteriori posso dire che mi avrebbe dovuto proteggere dalla sua stessa follia.
Lei aveva paura quindi.
Sì, perché la sua ex moglie mi voleva investire, lui non mi faceva scendere dalla macchina, ho vissuto delle scene da film. Ma lui non ha iniziato subito con le violenze, ci ha messo almeno un anno e mezzo. Prima siamo andati in vacanza in Sardegna, in Corsica, portava anche le figlie, era tutto meraviglioso, perché ci divertivamo e stavamo bene.
Quand’è che arriva il cambiamento?
Il cambiamento arriva nel momento in cui aveva capito di avermi messo all'interno della sua rete, come un ragno, e ha cominciato a diventare una bestia. Mi insultava, mi insultavano le sue figlie, mi rubavano le cose in casa. Voleva a tutti i costi portare le figlie in casa mia, loro non volevano venire e quando venivano non facevano altro che farmi dispetti. Lui difendeva le figlie continuamente, voleva che fossi parte della sua famiglia, quando in realtà nessuno di quella famiglia mi ha mai voluto bene. E da lì ha cominciato a sbattermi le porte in faccia, a buttarmi violentemente sul letto, a demolirmi moralmente… io morivo dalla paura.
Ma che cosa è arrivato a farle quest’uomo?
Quest’uomo mi ha tolto tutto, mi sbatteva contro la porta blindata, mi picchiava a sangue, sono piena di referti del pronto soccorso e di denunce. Ho denunciato sette volte ma non è servito a niente, perché mi ha portato via anche mio figlio… se credete che ancora oggi, nonostante io stia lottando contro il cancro, nonostante la chemioterapia e la radioterapia, mio figlio dà ragione al padre e non lo vedo mai, forse potete capire l'immenso dolore che io sto provando. Avevamo comprato insieme una casa, con l'intento di lasciarla a nostro figlio, ma è riuscito a intestarsi anche quella. Quando io non ero in grado di intendere e di volere mi ha fatto firmare la separazione dei beni, mi ha costretta a sposarci, impedendomi, tra l'altro, di invitare le persone a me più care. Ero bullizzata anche dalla sua famiglia in quanto “terrona”, perché sono di origini calabresi. Mi schifavano, vedevano lui che mi faceva di tutto e rimanevano in silenzio.
Ci sono degli episodi che ricorda in particolar modo?
Sì, per esempio quando mi ha sbattuto la testa fortemente sopra il lavello di marmo, in quel momento ho creduto che mi avesse spaccato il cranio dal dolore che ho provato, ma ci sono state anche due volte in cui ha provato a strozzarmi. Non riuscivo proprio a respirare, lui ha mollato all'ultimo momento la presa, forse perché si è spaventato anche lui vedendomi cianotica. Forse aveva paura di andare in galera, credo sia stato solo quello ad averlo fermato. Ma mi ha fatto anche rotolare giù per le scale, mi ha preso per il braccio sinistro sbattendomi violentemente contro il muro e rompendomi il braccio, quello che poi ho dovuto operare. Sono troppi gli episodi che mi hanno devastata, ma io oggi voglio fare qualcosa per le donne, voglio lottare affinché sappiano quello che ho passato.
E come siete arrivati ad avere un figlio?
Io avevo paura di dire di no ai rapporti, mi concedevo per paura che mi ammazzasse, perché nessuno mi stava aiutando. Mi ricordo che quando ho scoperto di essere incinta, ho sperato che davanti alla nascita di un bambino potesse cambiare. Ho chiamato il suo migliore amico per chiedergli quale fosse il modo migliore per comunicarglielo: mi ha detto di mettergli il test di gravidanza sotto il piatto, in modo tale che, al suo rientro a casa, lo avrebbe potuto vivere come una sorpresa. Ma tutto ciò non è successo, mi ha picchiato anche mentre ero incinta, mi lasciava andare in ospedale da sola, ho rischiato di perdere anche mio figlio per una malattia che ho avuto durante la gravidanza, ma niente lo ha fermato.
Perché si sente di raccontare questo proprio oggi?
Perché sono stufa di non essere ascoltata, perché sento dire che bisogna denunciare ed è vero, ma non serve a niente in molti casi, come nel mio. Io credo che ci sia una grossa responsabilità nella figura materna, perché non tutte le donne nascono per essere madri e, nel momento in cui sono anaffettive, generano questi mostri psicopatici che poi uccidono. Soprattutto per un maschio, ma anche per la femmina, il ruolo della madre è fondamentale e se viene a mancare questa figura, assistiamo a dei veri e propri problemi, a delle tragedie. Vedendo parlare la madre di Filippo Turetta non ho visto un briciolo di emozione, mi sembrava gelida e questo mi ha fatto pensare molto.
Beh Matilde, magari era anche sotto choc la madre…
Sì, sicuramente, non metto in dubbio lo shock, ma noto la grande differenza con il padre di Giulia Cecchettin che cerca invece in tutti i modi di sensibilizzare, di trovare delle soluzioni pratiche e concrete, perché non serve mettere le scarpettine rosse in giro per strada, quando in realtà nessuno viene in nostro soccorso.
Tornando a lei, nessuno le è stato vicino?
No, solo la madre di Cristina Marino, l'attuale compagna di Luca Argentero, che ho praticamente visto nascere. Oggi mi scrive Maria Stella Gelmini, così, ogni tanto, dicendomi “cara Matilde…” ma di concreto io che aiuto ho ricevuto? Chi c'era con me quando mi ha rotto un braccio, quando i medici mi chiedevano chi mi avesse conciato in quel modo, quando avevo il terrore di uscire da sola di casa anche solo per fare la spesa? Nessuno. Mi hanno lasciata da sola dopo tutto quello che ho dato a questo Paese, dopo aver vinto tantissimo, dopo una vita di sacrifici e di devozione totale nei confronti dello sport e dei valori che esso porta con sé. Mi sento abbandonata dalle istituzioni, da chi diceva di volermi bene, dalle persone che forse non conoscono bene la mia storia. Come mai nessuno ha mai parlato della mia tragedia? Sono troppo vecchia per fare share? Io sono morta dentro, perché pensano tutti che i morti siano solo quelli i cui corpi non hanno più vita, ma io una vita non ce l'ho più. Mi ha ucciso, mi ha tolto la voglia di vivere, ma non quella di combattere per le altre donne. Ho speso cifre esorbitanti in avvocati, per ritrovarmi poi come? A vivere un po’ con la pensione di mia madre, un po’ con l'assegno di invalidità e un po’ con quel pochissimo che mi è rimasto. Sono in una casa del comune, che pago ovviamente, senza nessun aiuto, senza nessun favoritismo, senza nessuno che mi abbia mai teso la mano.