Le manifestazioni del 25 novembre hanno chiarito almeno un punto: bisogna fare qualcosa. E gli uomini, al di là delle nuove guerre di genere a cui stiamo assistendo, possono avere un ruolo per costruire una società più giusta. Lo sforzo deve partire da “noi”, cioè da un lavoro comune. Un lavoro comune per diventare, prima di tutto, uomini veri. Il femminicidio di Giulia Cecchettin sembra aver sollevato il tappetto delle inadempienze collettive, sia istituzionali che civili, come mai era successo prima in Italia, tranne forse per il #metoo. E proprio in quell’occasione, nel 2018, alcuni tra i più importanti intellettuali e artisti italiani avevano firmato un appello che ribaltava la prospettiva e chiedeva un impegno reale verso un progetto comune. Era il #we2, sostenuto da Vasco Rossi, Stefano Bonaga, Massimo Donà, Gabriele Salvatores, Fiorello, Piergiorgio Odifreddi, Moni Ovadia e molti altri. Chiunque conosce i lavori e le proposte più recente proprio di Bonaga, riconosce nel #we2 la “domanda isocratica”, ovvero: cosa puoi fare tu. Non più cosa ti aspetti che facciano, ma come puoi essere parte attiva della democrazia, della società democratica. Questo appello è stato rilanciato anche a La Repubblica delle idee 2018 con un video di Vasco, che ha letto l’intero comunicato, che ora riportiamo integralmente:
“Non solo per onorare la libertà e la dignità delle donne vittime della violenza e della volgarità di maschi poco onorevoli, ma anche per onorare la nostra dignità di uomini, vogliamo prendere parola di fronte a una vera e propria rivoluzione culturale dell’Occidente, che finalmente sancisce la intangibilità del corpo femminile a livello della coscienza collettiva. Dobbiamo insieme, donne e uomini, cooperare attivamente per rendere irreversibile questo processo, che come tutti i processi storici, è esposto ad arretramenti possibili. Sappiamo che come tutte le rivoluzioni anche questa non può escludere ingiustizie isolate, casi di opportunismo e di mitomania e dunque vittime innocenti anche di inaccettabili processi mediatici. Ma questo doloroso prezzo, da minimizzare con l’ausilio della ragione e del diritto, non deve rappresentare un motivo di ritorno a un passato dove l’arroganza del potere maschile, fisico e psicologico, restava perlopiù impunita sia simbolicamente che giuridicamente. La talpa della vergogna maschile sta scavando nell’Occidente. Starà agli uomini tutelarsi, garantendo a se stessi, nelle situazioni di disparità di potere, soprattutto nei luoghi di lavoro, condizioni di correttezza inattaccabile negli incontri e nei colloqui. Starà alle donne fare lo stesso, a difesa di sempre possibili trasgressioni maschili. Occorre un nuovo modello di relazioni e comportamenti, che affidino giustamente alla magistratura la punizione dei crimini, ma contemporaneamente affidino alle comunità il giudizio morale sulle deviazioni dalla correttezza, dal rispetto e perfino dal buon gusto, nei rapporti asimmetrici fra uomo e donna, senza intromettersi naturalmente nelle libere relazioni paritarie e consenzienti. Né peraltro, la censura che riguardi gli atti delle persone deve assurdamente e puritanamente essere esercitata sulle loro opere, pena la grottesca cancellazione di gran parte del pensiero umano. Dunque: uomini, ancora uno sforzo per esserlo davvero!”