Se c’è una cosa che abbiamo imparato in questi giorni è non confondere i piani. L’omicidio di Giulia Cecchettin è un femminicidio. Il tema è la violenza e l’asimmetria di potere tra uomo e donna. Possiamo chiamarla cultura patriarcale, con molti distinguo, ma il tema è ancora una volta la volontà di sopraffazione, il dominio declinato nello specifico di una relazione disfunzionale e tossica, dove una certa idea di uomo deve essere la vera imputata nel dibattito. Ci sono voluti giorni per assorbire tutto questo, facendosi strada tra gli slogan eccessivi di certo femminismo, ma che coglievano nel merito, e le barricate dei maschi che non si sentivano, a ragione, colpevoli. Allora perché, proprio nella Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, Non una di meno, la realtà femminista più importante d'Italia, scende in piazza, a Roma e a Messina, con un manifesto politico che solo in parte parla di donne?
È la grande malattia dell’ideologia, che inspiegabilmente fa finire tra le rivendicazioni della manifestazione contro la violenza sulle donne il ponte sullo Stretto di Messina. “Vogliamo costruire un mondo diverso, contrario alla logica patriarcale e capitalista del conquista e distruggi. Questa spasmodica ricerca di dominio per darsi l’illusione di essere forti. Dominare corpi. Dominare terre. Ed è per questo che la lotta transfemminista intersezionale si intreccia con la lotta ecologista, con la difesa dei territori. In questa prospettiva non possiamo non citare il ponte sullo Stretto, che occupa un posto d’onore tra le grandi opere, essendo di fatto oltre che un affare economico-politico, anche un grande specchio per le allodole”. In sintesi, qualsiasi cosa, persino la presunta indifferenza su temi ambientali, diventa cultura dello stupro. Così una protesta che non dovrebbe avere colore (in un altro comunicato scrivono: “Non sarà soprattutto una passerella a favore di telecamere per leader di opposizione e di governo”) diventa l’ennesima occasione per cantare Bella Ciao.
In una miscela di ansie foucaultiane (più sicurezza ci rende insicuri), antioccidentalismo e antisemitismo (lo Stato di Israele porterebbe avanti “la repressione e il genocidio delle nostre sorelle Paesinesti), e paura della tradizione, Non una di meno ci serve l’ennesimo manifesto politico dopo aver reduarguito chi in questi giorni avrebbe provato a spostare l’attenzione su altri temi. Il file rouge del discorso, per loro, non sembra essere la violenza specifica contro le donne. Non una parola per le “sorelle israeliane” stuprate e uccise da Hamas, per esempio. Se il grande inganno del diavolo è quello di far credere di non esistere (vero Keyser Söze?), il grande inganno del femminismo italiano è farci credere che esista solo un modo di essere femministi. Essere comunisti. Come se, per esempio, i lavori di Wendy McElroy (autrice besteseller in America) non contassero nulla. Se non avete mai sentito questo nome, cercatevelo. E comunque scendete in piazza, oggi, contro ogni forma di violenza, anche quella dell’indottrinamento.