Sono figlio di una cultura patriarcale. Anche per questo oggi rispetto e proteggo le donne, aiuto le donne e chiedo aiuto alle donne. È la cultura di mio nonno Luigi, un contadino che ha cresciuto sette figli, di cui cinque donne, un uomo che si alzava alle cinque perché faceva la strada per togliere la neve perché le sue figlie, cresciute tutte con il senso del dovere e del lavoro, della loro autonomia, dovevano andare a lavorare in una fabbrica a quindici chilometri in bicicletta. In quelle famiglie non ricordo uno schiaffo, una molestia, una mancanza di rispetto. Certo, non tutti si comportavano così e allora mio nonno usciva con gli amici e andava a far visita a quello che si diceva bevesse troppo e non portava rispetto alla moglie. Il giorno dopo il signore in questione non andava in piazza e non solo per vergogna. Dopo il caso di Giulia Cecchettin, uccisa da Filippo Turetta, si parla di nuovo della necessità di un cambiamento culturale di noi uomini, tutti responsabili, tutti compiacenti contro i delinquenti che usano violenza. Tutti colpevoli. Non mi sento colpevole, non lo sono. C’è chi ripete le parole della sorella di Giulia, Elena, che va compresa, senza polemiche esasperate e toni fuori luogo, soprattutto nella giornata contro la violenza sulle donne, le sue parole vanno studiate. Elena ha scritto: “Turetta viene spesso definito come mostro, invece mostro non è. Un mostro è un’eccezione, una persona esterna alla società, una persona della quale la società non deve prendersi la responsabilità. E invece la responsabilità c’è. I mostri non sono malati, sono figli sani del patriarcato, della cultura dello stupro”. Non mi sento di essere stato cresciuto da mio nonno patriarca nella cultura dello stupro, una parola che in casa non solo non si conosceva, ma nemmeno si era mai sentita. Però sono profondamente d’accordo con Elena quando dice che è responsabilità degli uomini richiamare altri uomini non appena sentono il minimo accenno di violenza sessista. E ci dice di richiamare soprattutto gli amici e i colleghi, e questo non lo posso fare perché chi si comporta male con le donne non è mio amico, anzi, e, visto che ho una posizione in parte leggermente privilegiata, gli uomini che con cui ho scelto di lavorare sono persone per bene e quindi mai oserebbero mancare di rispetto a una donna.
È innegabile che sì, c’è una responsabilità sociale importante di fonte a casi di violenza verso le donne: non si può e non si è mai potuto vedere e tacere, bisogna intervenire, denunciare, agire, anche di fronte alla minima azione contro una donna, un minore, una persona fragile. È anche vero che il femminicidio in certi casi è un omicidio di Stato, perché lo Stato non tutela, non protegge, d’altra parte se si tagliano i fondi per chi ci deve tutelare, se le forze dell’ordine devono diminuire i controlli sul territorio perché manca personale e perfino i soldi per la benzina delle vetture, che si può fare? Ed è per questo che la vigilanza sociale anche di noi uomini assume un’importanza fondamentale. Oggi si parla di portare nelle scuole l’educazione sessuale e affettiva in modo capillare, male non farà, certo, ma non è in sua assenza gli uomini di oggi siano degli animali votati alla cultura dello stupro, della violenza. Poi ci sono gli altri, quella parte di delinquenti, perché delinquenti sono, che fa della violenza un modus vivendi. “Vanno rieducati e reinseriti nella società”, mi spiegano avvocatesse in vena di concionare. Ho poca fiducia, ma proviamoci. Massimo Ammanniti, uno dei più importanti psicoanalisti italiani dice che “le mamme dei figli maschi li mettono sul piedistallo in maniera eccessiva, sono genuflesse davanti a loro. Il figlio maschio viene sempre giustificato”. Mia madre mi trattava in questo modo, ma mai nella vita avrebbe giustificato una violenza, mai, sarebbero state legnate. Lisa Caponetti, psicoterapeuta, psicologa giuridica e criminologa, dice: “Vedo sempre più giovani, ma anche adulti, vivere momenti di rabbia e violenza dovuti alle frustrazioni e alle fragilità personali. Questi gesti così violenti nascono spesso dall'incapacità di gestire la frustrazione ma anche dall'incapacità di cogliere le conseguenze che i propri comportamenti hanno”. Anche questi atteggiamenti sono frutto di genitori che li tenevano sotto la famosa campana di vetro. Lavoro con tanta gente, però tutta questa incapacità di gestire la rabbia non la vedo, vedo piuttosto tanta droga che fa perdere freni inibitori e vedo molta gente che la tollera, ci convive, magari non la sniffa, ma ci convive. Parlo anche di quei “maestri” che poi vanno a sproloquiare in tv. Finirei con le parole di Giuseppe Cruciani, un amico che ha sempre il coraggio di dire ciò che pensa anche se non è il momento di dire qualcosa che fuoriesce dal pensiero unico del politicamente corretto: “Di fronte a certi fatti di cronaca non si dice che la colpa è dell’assassino, ma della società che non è stata in grado di educarlo perché è figlio della cultura patriarcale. Ma quale cultura patriarcale? Finiamola di dire cazzate”.