Scrivere su Pino Insegno e il flop de Il mercante in fiera è diventato un po’ come sparare sulla Croce Rossa, ma è il particolare fenomeno del “fallimento di successo” del conduttore che autoalimentandosi provoca sorrisetti e suscita commenti maliziosi tra gli addetti ai lavori. Una notizia diffusa dal Fatto quotidiano spiega che il celebre comico e doppiatore romano, dopo essere stato scartato, tra le varie ipotesi, come presentatore de L’Eredità, sia riuscito a offrire la propria voce per un documentario targato Ferrovie dello Stato mediante un contratto da centomila euro con la società in questione. Difficile trattenere il riso, perché Pino Insegno, da splendida voce narrante, moltiplicata all’infinito nelle varie iniziative governative è divenuto un meme virale nell’etere dell’internet, ormai in trappola, inabile a emanciparsi dalle offensive mediatiche subite dal governo. E allora, a lato della più recente epopea dell’attore-doppiatore, emerge malizioso il quesito marzulliano: “È Pino Insegno un fallimento mediatico per il governo, o è il governo un fallimento (di successo economico) per Pino?”. Parrebbe più il secondo un quesito appropriato a una riflessione, visto che per qualche settimana, a partire dall’affaire Andrea Giambruno, la questione Insegno ha iniziato ad ingigantirsi – come una palla di neve che si fa valanga – e ad intrecciare gli scivoloni del “cerchio magico” meloniano. Il meme di “floppenheimer”, diramatosi nei frattali della comunicazione online soprattutto grazie a Dagospia, ha aperto un nuovo fronte, non tanto per il governo, quanto per Pino Insegno stesso, che ora non ha più via di scampo dalla risata incontrollabile che rischia di seppellirlo. Già il modesto share de Il mercante in fiera è divenuto rapidamente simbolo “memetico” della lottizzazione Rai, parallelamente all’esilarante fuori-onda il cui protagonista fu l’ex first-gentleman italiano, proprio su una rete di altro potere politico, Mediaset, incontrastata negli ascolti. Poi è seguita la mostra a Roma su J. R. R. Tolkien – ovviamente al centro della polemica incrociata – dove Insegno, doppiatore italiano di Aragorn, ha prestato nuovamente la sua voce per la narrazione interattiva della sezione “eredità” dell’installazione, proprio lui che accantonato come presentatore de L’Eredità, prima serata Rai1, si è visto coinvolto in una vicenda che presenta i contorni di una barzelletta. Anche qui Dagospia ha anticipato la notizia. Poi è stato il momento dell’affaire Francesco Lollobrigida – Ferrovie dello Stato, quando il ministro dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare, per arrivare in tempo all’inaugurazione dell’ex-centro sportivo Delphinia di Caivano, ha usufruito di una fermata ad personam a Ciampino sul Torino-Salerno, in grande ritardo a causa di lavori sulla linea.
A prescindere dal fatto che l’azione del ministro sia stata opportuna oppure no, l’evento si è posto al centro del dibattito politico-mediatico e ha trascinato con sé il povero Pino Insegno, che ancora una volta è stato collaterale vittima degli eventi politici nostrani. Ferrovie dello Stato è sotto la lente d’ingrandimento dei giornalisti data la prossimità di una nuova tornata di nomine nella sua amministrazione e la surreale vicenda del ministro dell’Agricoltura non è stata certamente d’aiuto né per il governo, né per il doppiatore, sempre nel posto sbagliato al momento giusto. Il comico romano, infatti, ha chiuso di recente un contratto da centomila euro con la società di trasporto ferroviario nazionale (come rivelato da il Fatto Quotidiano), offrendo la propria voce narrante per il documentario celebrativo della rete di trasporti su rotaia nostrana. Anche qui il Fatto, a fianco delle bordate contro il ministro dell’Agricoltura da parte del suo direttore Marco Travaglio, ha colpito e affondato anche Pino Insegno, che si è riconfermato meme vivente. Sorge allora spontanea una domanda che potrebbe risultare antipatica, anche se non vorrebbe esserlo, ovvero: se né il governo ha sin ora tratto vantaggio politico-strategico dalla voce del celebre doppiatore, né questi a sua volta – a parte il ritorno economico dagli accordi presi – ha riscontrato un tornaconto soddisfacente di popolarità (che non sia di natura “trash” o del “purché se ne parli”), perché per i due, senza rancore, non è ancora venuto in mente di tornare ad essere “amici come prima?”.