Una rosa bianca lasciata ogni anno sulla sua tomba nel giorno del compleanno: il 24 maggio. Quella rosa bianca, oggi, al cimitero Flaminio di Roma, sulla tomba di Ilaria Alpi, la portano sua zia Anna, sorella di Luciana (mamma della giornalista), e suo nipote Pino. I genitori Giorgio e Luciana Alpi dell'inviata del Tg3, uccisa a Mogadiscio il 20 marzo 1994, non ci sono più. Sono morti dopo aver lottato anni sostituendosi agli inquirenti nella ricerca della verità. Senza riuscire a dare un volto e un nome al mandante ed esecutore dell'omicidio della loro figlia e del suo operatore Miran Hrovatin.
Ilaria che tutti ricordano per quel sorriso che non l‘abbandonava mai, quella persona generosa che tornava sempre senza orologio dai suoi viaggi in Somalia perché lo donava ad un'amica somala. Ilaria determinata e coraggiosa che ha voluto quel settimo viaggio in terra somala, l'ultimo viaggio: “È la storia della mia vita, devo concludere, devo fare, voglio mettere la parola fine”, aveva detto all'operatore Calvi per convincerlo a partire per la Somalia con lei. Ma quella volta ad accompagnare la giornalista era stato Miran Hrovatin di Videoest di Trieste.

Ilaria Alpi era nata a Roma il 24 maggio 1961. Aveva conseguito la maturità classica presso il liceo “Tito Lucrezio Caro” di Roma. Poi la laurea in Lingue e Letteratura straniere moderne, presso l’Istituto di Lingue orientali dell’università di Roma “La Sapienza”, il 3 dicembre 1986 (con votazione 110 su 110) con la tesi in Islamica dal titolo “La questione della terra sotto il dominio ottomano (XIX): esiste una specificità libanese?”. Ilaria aveva un’ottima conoscenza della lingua araba, aveva ricevuto diverse borse di studio dal governo egiziano, aveva conseguito corsi di lingua araba a Roma, al Cairo e a Tunisi. Dopo gli studi aveva intrapreso delle collaborazioni giornalistiche con diverse testate a Roma e dal Cairo con le redazioni Spettacoli e Esteri di “Paese Sera”, con la redazione cultura de “l’Unità” e poi corrispondenze dal Cairo per “Italia Radio”. E ancora: collaborazioni con “Il manifesto”, “Noi donne” e “Rinascita”. Per poi iscriversi nel 1989 all’Albo dei giornalisti pubblicisti. Concorso Rai da praticante giornalista fatto a marzo del 1989 e poi assunta nel 1990 a Rai Sat e da dicembre 1990 trasferita al “Tg3” redazione Esteri. Aveva sostenuto l’esame da giornalista professionista nell’ottobre del 1992. Inviata del “Tg3” a Parigi, Marocco, Belgrado, Zagabria. Inviata per sette volte in Somalia, dal mese di dicembre 1992 a quello di marzo del 1994. È il 20 marzo quando la giornalista viene uccisa insieme all’operatore Miran Hrovatin a Mogadiscio Nord. È qui che si perde il senso di giustizia, quella giustizia cercata da Ilaria e Miran che non potranno più raccontarlo. È il 12 marzo 1994 quando l’inviata del “Tg3” e l’operatore arrivano a Mogadiscio. È il settimo viaggio di Ilaria in Somalia. Ilaria e Miran ci sono andati per seguire il ritiro del contingente italiano e non solo. Il 20 marzo, giorno della loro esecuzione, i nostri soldati si preparano a partire dalla città. Ci sono andati per una missione internazionale di pace (Restore Hope), decisa dall’Onu il 3 dicembre 1992 (risoluzione 794). La missione sarebbe dovuta servire a portare la pace lì dove Siad Barre con la sua dittatura durata anni ha portato la guerra: una guerra civile che prende il via nel gennaio del 1991. Mogadiscio è divisa da una “linea verde” che la taglia in due: la parte Nord è sotto il controllo di Ali Mahdi (clan Abgal), autoproclamatosi presidente ad interim della Somalia a Gibuti nel luglio 1991; la parte Sud è sotto il controllo di Mohamed Farah Aidid. In questo contesto avviene l’omicidio di Ilaria e Miran il 20 marzo 1994, al loro rientro da Bosaso a Mogadiscio. È un’esecuzione: i due vengono seguiti mentre si trovavano a bordo della loro auto con l’autista e una guardia del corpo da un commando di somali armati dall’hotel Sahafi all’hotel Amana, a Mogadiscio Nord, qui, a pochi passi dell’ambasciata italiana, avviene l’agguato.

Ciò che si legge immediatamente sui dispacci delle agenzie non lascia dubbi: subito si parla di omicidio premeditato. È stato ipotizzato anche il movente: “Ilaria e Miran potrebbero aver raccolto documenti ‘compromettenti’ per qualcuno”. Ma bastano pochi giorni per passare da quello che è stato definito un omicidio su commissione al delitto casuale.
Da qui sono passati anni prima che il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Roma, Emanuele Cersosimo, respingendo la richiesta di archiviazione proposta da Franco Ionta, a luglio 2007, restringesse il campo d’azione sulla più probabile tesi da seguire, quella dell’omicidio su commissione.
Il giudice ha infatti accolto la richiesta dei genitori di Ilaria Alpi, rappresentati allora dall’avvocato Domenico D’Amati, di proseguire con le indagini. «Da un’analisi complessiva degli elementi indiziari raccolti dagli inquirenti – si legge nell’ordinanza di rigetto del gip, che ribalta le conclusioni raggiunte finora dalla magistratura – la ricostruzione della vicenda più probabile e ragionevole appare essere quella dell’omicidio su commissione, attuato per impedire che le notizie raccolte da Ilaria Alpi e Miran Hrovatin in ordine ai traffici di armi e rifiuti tossici avvenuti tra l’Italia e la Somalia venissero portati a conoscenza dell’opinione pubblica italiana». Conclusioni a cui si è arrivati grazie alla forza di Luciana e Giorgio, genitori di Ilaria Alpi, che sin da subito si sono sostituiti agli inquirenti, a partire dal giorno del funerale della loro figlia. Dal 1994 loro hanno cercato le prove per risalire al mandante dell’omicidio e capire il perché di quella morte. Non si sono lasciati scoraggiare, sono andati avanti, nonostante più volte ci sia stato il tentativo di mettere la parola fine. Prima la Commissione parlamentare d’inchiesta, a febbraio del 2006, con la sua verità politica, poi la Procura di Roma, nell’estate del 2007.
Quella indicata dal giudice Cersosimo sembra essere l’unica strada per arrivare alla verità.

Intanto a maggio del 2014 dalla declassificazione degli atti acquisiti dalla Camera nella Commissione d’inchiesta parlamentare sull’omicidio Alpi-Hrovatin è emerso che già a maggio del 1994, a soli due mesi dall’omicidio, era stata avanzata dal Sisde l’ipotesi della scoperta di un traffico d’armi, motivo che portò all’esecuzione della giornalista e del suo operatore. “Secondo notizie provenienti dalla Somalia – si legge in un appunto riservato del Sisde che riporta la data del 31 maggio 1994 – la nave della cooperativa italo-somala “Somalfish”, a suo tempo a Bosaso, avrebbe in precedenza trasportato armi di contrabbando per la fazione Ssdf (Somali salvation democratic front) di quella città. Quanto sopra sarebbe emerso nel corso dell’ultimo servizio effettuato dalla giornalista italiana Ilaria Alpi, in quella zona prima di venire uccisa molto probabilmente perché qualcuno avrebbe avvertito i capi contrabbandieri”. Qualche giorno dopo, in un’altra informativa dell’8 giugno del 1994, il Sisde scriveva: “Secondo informazioni acquisite in via fiduciaria, nel corso di un servizio giornalistico svolto a Bosaso (Somalia) qualche giorno prima della morte, i due cittadini italiani in oggetto (Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, ndr) avrebbero raccolto elementi informativi in merito a un trasporto di armi di contrabbando effettuato dalla motonave ’21 ottobre’ della cooperativa italo-somala ‘Somalfish’ per conto della fazione somala Ssdf”. Il duplice omicidio “potrebbe quindi essere stato ordinato dai trafficanti d’armi somali per evitare – diceva l’intelligence – la divulgazione di notizie inerenti all’attività criminosa svolta nel Corno d’Africa”. “La giornalista – evidenziava la nota del Sisde – avrebbe inoltre, sul posto, raccolto informazioni riguardanti la vicenda del sequestro della nave e della cattiva gestione dei fondi investiti dal governo italiano”. Questo è il contenuto delle note del Sisde, resta dunque una domanda: Perché le piste giuste non furono seguite? E ancora: dagli atti resi pubblici alla fine di ottobre del 2014, sono emersi i depistaggi ad opera dei Servizi segreti. Sono diverse, infatti, le informative che venivano trasmesse da Mogadiscio a Roma e che facevano riferimento all’omicidio di Ilaria Alpi e del suo operatore e che poi venivano cancellate. Nell’informativa del 23 marzo 1994, si legge: “Appare evidente la volontà di Unosom (il comando Onu gestito dall’ammiraglio statunitense Jonathan Howe, ndr) di minimizzare sulle reali cause che avrebbero portato all’uccisione della giornalista italiana e del suo operatore”. Frase che è stata cancellata.
Intanto nessuno potrà mai restituire il sorriso di Ilaria. La giovane che, per non gravare sulle spalle dei suoi genitori, finita la scuola si recava a pulire acciughe in un ristorante, durante la pausa estiva.
