Il litio è il materiale del momento. Tutti ne parlano e tutti lo puntano. Dalla Cina che si proietta sui mercati africani, al Cile, secondo produttore globale che si pone in versione iper-protezionista statalizzando le sue preziose risorse, la materia chiave per la transizione energetica e i veicoli elettrici è oggi sempre più contesa. La Commissione Europea di Ursula von der Leyen prevede che la produzione di batterie che alimentano i nostri veicoli elettrici farà aumentare la domanda di litio di 17 volte entro il 2050 nel solo Vecchio Continente e ha invitato i Paesi membri a strutturare filiere di approvvigionamento virtuose per i materiali critici.Di recente è emerso nel dibattito mediatico il fatto che anche l’Italia possederebbe importanti giacimenti di litio alle porte di Roma, nei piccoli centri di Cesano e Campagnano. Si è dunque aperto il dibattito sulle prospettive di sfruttarlo a fini strategici e industriali. La notizia, a onor del vero, non è un’assoluta novità perché la ricerca di litio è sì diventata oggi di valenza strategica, ma il materiale è tutto fuorché raro sulla Terra.
Numero 3 della tavola periodica, il litio è il venticinquesimo elemento più abbondante nella crosta terrestre, con una concentrazione di 20 mg per kg di crosta terrestre. Il punto chiave nella corsa all’estrazione sta nel fatto che non si trova mai alla forma pura. Materiale estremamente reattivo, è sempre legato a rocce ignee come il granito o si trova nelle cosiddette “salamoie geotermiche”, come nel caso del litio italiano, che si trova disciolto in fluidi geotermici già noti da tempo. A Cesano, l’Enel nel 1975 scavò un importante impianto geotermico, simile a quello attivo a Lardarello, il cui contenuto di litio è di 350 mg per litro. Oggi la questione è tornata d’attualità perché si parla della prospettiva di sfruttamento nel quadro del progetto EuGeLi (EuropeanGeothermalLithium Brine), che gode del sostegno comunitario e ha dimostrato la capacità di produrre carbonato di litio (LiCO) dalla geotermia e senza emissioni di CO. Enel Green Power e l’australiana Vulcan Energy hanno poi iniziato a studiare l’estrazione di litio a Cesano.232
Nella sua prima ricerca sistemica sul litio italiano, Andrea Dini dell’Istituto di Geofisica e Georisorse del Consiglio Nazionale delle Ricerche ha sottolineato che “ci sono alcuni contesti in Italia che possono giustificare un'indagine sistematica dei giacimenti di roccia dura, soprattutto considerando l'attuale situazione geopolitica. I fluidi geotermici hanno prospettive migliori” e potrebbe essere potenzialmente sfruttabile a fianco delle risorse presenti nelle bauxiti abbondanti in aree come la Sardegna. Dini va oltre la corsa alla novità rappresentata dal tam-tam mediatico sulla periferia romana, scrivendo che “un’accurata revisione dei dati geologici, mineralogici e geochimici disponibili sul territorio nazionale ha permesso di individuare due aree principali ad alto potenziale: la fascia vulcanico-geotermica peritirrenica (Toscana-Lazio-Campania) dove in passato sono stati intercettati fluidi geotermici con concentrazioni di litio fino a 480 mg/l e la fascia al fronte della catena appeninica (da Alessandria fino a Pescara) dove sono presenti manifestazioni termali, con contenuti in litio fino a 370 mg/l, associati spazialmente a giacimenti di idrocarburi. Questi valori sono tra i più alti riscontrati nei fluidi profondi del pianeta e permetterebbero l’estrazione del metallo”. Insomma, il litio torna a far parlare di sé perché si iniziano a capire i suoi effetti pratici. Averne una quantità considerevole prodotta “in casa” potrebbe aiutare l’Italia a sviluppare una filiera delle batterie per auto e motociclette elettriche.
Ad oggi questa prospettiva si scontra con due vincoli di non facile risoluzione. In primo luogo, l’attestazione della presenza sulla base di complesse e approfondite analisi geologiche compiute nel territorio nazionale non è che una premessa alla vera questione, che è la determinazione di una filiera industriale e estrattiva competitiva. In Cile, Bolivia, Argentina prima e in Paesi come Namibia e Zimbabwe nei prossimi anni l’estrazione di litio è o sarà conveniente sulla base delle risorse provate per i costi contenuti rispetto al valore aggiunto dei mercati finali di destinazione, ove nel 2022 il prezzo del litio ha oscillato tra i 52 mila e gli 80 mila dollari la tonnellata, prima di scendere del 60% finita l’emergenza energetica dello scorso anno. In Paesi come il Cile il processo costa dai 5 mila agli 8 mila dollari la tonnellata, in Australia le brine geotermiche sono stati abbassati fino a 4 mila dollari dopo ampi investimenti a livello minerario. Dunque bisogna capire che i prezzi per un’eventuale campagna italiana saranno la vera determinante, e in ogni caso sarebbe da mettere in conto una complessa campagna di investimento in cui anche lo Stato dovrebbe mettersi in gioco.
Il secondo tema è quello dell’impatto ambientale in termini di dissesto idrico e invasività dei progetti estrattivi sui territori di riferimento. In un’area discretamente urbanizzata come quello della periferia di Roma, anche se declinante verso ampi spazi rurali come quelli di Campagnano il contesto è diverso dalle ampie distese desertiche o montane ove si trovano i principali giacimenti sfruttati oggi. Questi due problemi rendono strutturalmente complesso avviare in tempi brevi la produzione. Quel che può fare l’Italia è però spingere in Europa su un grande piano che unisca, da un lato, la corsa alla ricerca di materiali critici e, dall’altro, l’avvio di una vera filiera per le batterie, per essere sovrani su due fronti strategici e contribuire su entrambi i fronti ad abbattere i costi e creare economie di scala. Il litio c’è, va valutata la convenienza di portarlo a giocare un ruolo industriale decisivo minimizzando le esternalità negative. E questo implica un disegno di politica industriale nazionale e comunitaria spesso trascurato in altri campi decisivi da Roma e Bruxelles.