Già Elon Musk nel 2020 al Battery Day aveva annunciato che Tesla si era impegnata nell’acquisizione di circa 4.000 ettari in Nevada utili per estrarre litio. Non solo, perché subito presentò anche il progetto di un impianto per la produzione di idrossido di litio in Texas per approvvigionare la futura terafactory ed per l’ingresso di Tesla nella produzione chimica del litio. In questo modo l’azienda leader delle auto elettriche avrebbe potuto abbassare i costi rispetto all’aumento di listino per compensare la crescita esponenziale dei costi della materia prima. Ma Tesla non è l’unica casa automobilistica a correre ai ripari provando a “scavare” direttamente, anche per non essere in balìa soltanto della Cina.
Così anche Stellantis ha firmato un accordo di fornitura di litio con Vulcan Energy Resources e ha dichiarato che avrebbe investito 50 milioni di euro per acquistare una quota dell'8% della società. In più, ha chiuso degli accordi con GME Resources per la fornitura di nichel e solfato di cobalto, per una partnership a lungo termine. A seguire è arrivato l’annuncio di General Motors che investirà circa 69 milioni di dollari per acquisire una partecipazione azionaria in Queensland Pacific Metals al fine di garantirsi forniture di nichel e cobalto per le batterie da utilizzare nei loro veicoli. Una circostanza utile a rispettare l'Inflation Reduction Act (IRA) statunitense, il quale prevede l’erogazione dei sussidi solo per le auto costruite con le materie prime estratte o trasformate negli Stati Uniti o nei partner di libero scambio, come l’Australia. Ma vista la preoccupazione per l’approvvigionamento di materie prime, GM ha anche chiuso un accordo con Livent Corp per la fornitura di litio per i prossimi sei anni pagando in anticipo (198 milioni di dollari), qualcosa di davvero strano l’anticipo nell'industria mineraria ma che fa capire la preoccupazione nel settore automobilistico.
Ford Motor, invece, ha scelto una via alternativa. Chiede infatti all'amministrazione di Joe Biden di accelerare il processo di autorizzazione per l’apertura di nuove miniere di “metalli della transizione” negli Usa. Il problema è che sarebbe un provvedimento di difficile attuazione, visto l’inefficiente processo autorizzativo che rende praticamente impossibile investire nell’attività estrattiva in America. Inoltre, come in Europa, i tempi medi per il completamento dell’iter sono di circa 10 anni, mentre in Canada e Australia i medesimi processi richiedono solo due o tre anni. Senza contare che sarebbero decisioni in controtendenza rispetto alle promesse elettorali del presidente americano verso agli ambientalisti. Fatto sta che le case automobilistiche, si preparano a fare da sole per non essere legate mani e piedi alla Cina sulle materie prime. E l’unico modo sembra ancora quello di scavare per trovare ciò che è necessario.