La Conferenza dei capigruppo della Camera aveva calendarizzato l'approdo della riforma del Mes in aula a partire dallo scorso venerdì 30 giugno, per quel che riguarda la discussione generale, ma il il voto non potrà essere prima di martedì 4 luglio. Giulio Sapelli parlando con Mow ha duramente criticato l’ipotesi che l’Italia possa aderirvi caldeggiata dai tecnici del Ministero dell’Economia e delle Finanze guidato da Giancarlo Giorgetti, che l’economista ha indicato non in controllo del suo dicastero. All’opposizione, il Partito Democratico e il Terzo Polo spingono invece per l’approvazione della riforma. Ma cos’è il Mes e cosa prevede la sua riforma? Da dove nascono i timori sul “fondo salva-Stati”? Vediamo di fare chiarezza.
Come funziona il Mes e cosa prevede la riforma
Il Mes è formalmente un’organizzazione internazionale parallela ma non subordinata all’Unione Europea che controlla un fondo a cui contribuiscono i Paesi dell’area euro per risolvere strutturalmente le crisi economico-finanziarie e bancarie del sistema comunitario. Può operare in coordinamento con le istituzioni europee negoziando programmi di aiuto ed assistenza agli Stati in difficoltà. “Le aree di intervento del Mes sono tre: il consolidamento fiscale (da attuare mediante tagli alla spesa pubblica, l’attuazione di riforme fiscali e privatizzazioni) le riforme strutturali, (come ad esempio la creazione di posti di lavoro) e le riforme del settore finanziario (tra cui una migliore vigilanza bancaria o la ricapitalizzazione delle banche)”, ha scritto Federico Giuliani su Inside Over. Il nodo chiave è che le risorse del Mes, pari a 80 miliardi che possono essere la base di una raccolta sui mercati espandibile fino a 700, sono destinate a risolvere crisi strutturali dei Paesi coinvolti da programmi di assistenza macroeconomica senza che, in realtà, la mossa sia un pasto gratis. Il Mes può chiedere delle condizionalità ai prestiti, che nei casi di applicazione su Spagna e Grecia a partire dal 2012 hanno avuto come base programmi di revisione della spesa e aumento delle tasse. Una vera e propria austerità che l’Italia vuole evitare. Quello che oggi spaventa il governo Meloni è il fatto che la riforma preveda un “pilota automatico” di applicazione di memorandum austeritari ai Paesi che richiedono assistenza finanziaria. E che al contempo il Mes apra al ruolo futuro di fondo di risoluzione delle crisi bancarie che lascia temere il fatto che i fondi italiani (17% del totale) possano servire in futuro a pagare il salvataggio delle ben più indebitate banche franco-tedesche.
Le ragioni del sì e del no
Il Mes era stato già discusso in pandemia, quando il nodo della riforma si era sovrapposto al cosiddetto “Mes sanitario” che, ricorda Il Sole 24 Ore, è stato pensato in risposta alla crisi del coronavirus e “equivarrebbe a circa 37 miliardi” per l’Italia “la cui unica condizionalità sarebbe di utilizzare i relativi fondi a esclusivo sostegno del sistema sanitario”. Ma nessun Paese lo ha mai attivato. Ad oggi, i fautori dell’approvazione della riforma si basano sulla necessità per l’Italia di mantenere la parola data in Europa; di non restare ultimi nel Vecchio Continente a non approvarla; di ricordare che tutti i Paesi aiutati dal Mes sono poi usciti dalla sua supervisione. E soprattutto sul fatto che approvare la riforma non significa subordinarsi al Mes L’Istituto Affari Internazionali ricorda che “se, con un sano esercizio pedagogico, si riuscisse a far metabolizzare la nozione che ratificare la riforma del MES non significa impegnarsi a chiedere in futuro l’assistenza del MES, una plausibile via d’uscita mirata a superare le difficoltà del Governo e della maggioranza sulla carta dovrebbe essere semplice. Si tratterebbe di collegare l’approvazione del disegno di legge di autorizzazione alla ratifica ad un impegno, che il Parlamento (con un proprio ordine del giorno) potrebbe chiedere al Governo per impegnarsi a non far ricorso all’assistenza del MES”. Gli oppositori della riforma, invece, ritengono che il combinato disposto con le nuove regole di bilancio possa creare una situazione in cui l’austerità indotta dalla Commissione possa rendere inevitabile, in tempi brevi, una crisi del debito per l’Italia e subordinare alla supervisione del MES le finanze pubbliche italiane. Queste le posizioni, in particolari, dei parlamentari leghisti ed economisti Claudio Borghi e Alberto Bagnai, che spingono duramente contro ogni ipotesi di ratifica.
Tutto questo sarà al centro del dibattito parlamentare e delle mosse del governo Meloni. La leva negoziale della ratifica può valere sul fronte dell’impegno italiano in Europa su altri fronti? Dalle polemiche Italia-Bce sull’inflazione al piano del discorso politico sul nuovo Patto di Stabilità, partite diverse si incontrano in questo minimo comune denominatore del Mes. Crocevia di interessi e sfide. Oggi più che mai decisivo per capire il ruolo che l’Italia vuol giocare in Ue.