I sostenitori dell’escalation e della «Terza guerra mondiale» - compresi gli opinionisti con l’elmetto in testa - hanno ricevuto una doccia gelata questa mattina quando il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, parlando con i giornalisti a Bali, a margine del G20, ha testualmente affermato che è «improbabile» che i missili caduti ieri sulla Polonia, a pochi chilometri dal confine con l’Ucraina, «siano partiti dalla Russia». Parole che fanno eco a quanto affermato ieri sera da un insolitamente cauto presidente polacco Andzej Duda, il quale ha sottolineato come non vi siano «prove inequivocabili» su chi abbia lanciato il missile che ha ucciso due persone. Nel successivo comunicato congiunto, gli alleati della NATO si sono limitati a «condannare il barbarico attacco missilistico perpetrato dalla Russia su civili e infrastrutture d'Ucraina martedì»., ma senza formulare accuse precise contro Mosca.
Scongiurata, dunque, l’ipotesi che la Polonia possa invocare il fantomatico «Articolo 5» del trattato della NATO sulla difesa collettiva, come auspicato su Twitter nella serata di ieri, fra gli altri, anche dalla pasionaria deputata ucraina Lesia Vasylenko: articolo che, contrariamente a ciò che molti pensano, non obbliga affatto i membri dell’Alleanza atlantica a entrare automaticamente in guerra nel caso un alleato venga attaccato ma dà ampio margine ai Paesi di adottare le misure che ritengono opportune, compreso «l’uso della forza armata». Fatta questa doverosa precisazione, con il passare delle ore prende quota l’ipotesi che si tratti di un missile antiaereo S300 (serie 5V55) prodotti in Russia - anche durante l’era sovietica - e in dotazione all’esercito ucraino, come peraltro ha sottolineato su Twitter già nelle prime ore dopo l’incidente l’esperto militare Rob Lee. Che sia stato con buone probabilità un missile antiaereo ucraino a uccidere due persone in territorio polacco lo sostiene anche il Financial Times, non certo un house organ del Cremlino, citando «informazioni di intelligence che si sono scambiati i leader del G7 e della NATO nella riunione che si è svolta a margine del G20». A questo punto è evidente che l’intelligence britannico-statunitense ha voluto far trapelare la notizia attraverso l’illustre quotidiano finanziario per sedare gli animi e lanciare un messaggio al Cremlino: segnale che i canali con Mosca, al fine di arrivare se non a dei negoziati, quantomeno a una tregua che possa «congelare» il conflitto in vista del gelido inverno ucraino, sono concreti e nessuno degli attori principali - Stati Uniti e Russia in testa - è interessato a sabotarli.
L’intento è quello di abbassare i toni, mentre si va verso una condizione di sostanziale stallo dal punto dei vista bellico. Dopo la ritirata delle truppe russe da Kherson, sul resto del fronte la situazione per i russi si complica nella regione di Luhans’k, mentre in quella di Donetsk l’esercito russo e i separatisti avanzano a sud-est del capoluogo dopo la - faticosa - conquista di Pavlovka, ma nulla che faccia a pensare a stravolgimenti clamorosi. Tutt’altro. È in corso un inutile massacro che solamente le trattative possono fermare. Del resto, come accade spesso dall’inizio dell’invasione russa dobbiamo affidarci alle parole sagge e ponderate dei militari, più che a quelle di certi opinionisti e giornalisti che forse hanno passato troppo tempo a giocare a Call of Duty, per comprendere la reale situazione sul campo: come ha chiarito nei giorni scorsi il generale americano Mark Milley, capo di stato maggiore delle forze armate Usa, «speriamo che, liberata Kherson e alle porte dell'inverno, si raggiunga almeno un cessate il fuoco, per poi schiudere una trattativa, e che il presidente Zelensky colga l'occasione! Dalle nostre foto di intelligence risulta che i russi si trincereranno sulla riva sinistra del Dnipro, snidarli non sarà impresa facile». In parole povere: l’Ucraina non ha la capacità militare per riprendere i territori in mano alla Russia, specialmente dopo il consolidamento delle posizioni che avverrà durante l’inverno. Non serve essere Henry Kissinger, a questo punto, per comprendere che l’unica via è quella diplomatica.