Il saluto fascista è tornato al centro del dibattito dopo le immagini virali della commemorazione ad Acca Larentia. La Cassazione, tuttavia, ha ribadito in relazione ai fatti del 2016 per la commemorazione di Sergio Ramelli l’importanza di distinguere tra un gesto rituale e il tentativo effettivo di ricostruzione del Partito fascista, questo sì vietato dalla Costituzione. Secondo il costituzionalista Michele Ainis, che abbiamo deciso di intervistare anche in occasione del suo ultimo libro sulla riforma del premierato, Capocrazia (La nave di Teseo, 2024), la decisione del tribunale è condivisibile e può essere l’occasione per ricordare che si deve avere fiducia nella democrazia e nel confronto tra idee diverse. Torna come questione anche la possibile equiparazione in Italia di fascismo e comunismo, ma la storia di queste due ideologie in Italia ha avuto due percorsi differenti, difficilmente confrontabili se non si guarda al resto dell’Europa, soprattutto a Est. Ma Ainis commenta anche la decisione del governo Meloni di inasprire le pene per i ragazzi che manifestano in modo troppo duro: “Un segnale che non mi piace”.
Professor Ainis, la Cassazione si è espressa sul saluto romano. È dunque possibile che questo gesto non sia sempre da attribuire a un ideale fascista? Prima della Cassazione lo aveva detto il Presidente del Senato Ignazio La Russa, che, però, era stato criticato.
Sì, anche le nostre parole dipendono dal contesto in cui vengono pronunciate, per cui questo vale per ogni comportamento. Dopo l’intervento di La Russa è intervenuta una pronuncia della Cassazione che più o meno ribadisce lo stesso concetto. Bisogna, quindi, vedere qual è il contesto e il significato complessivo che assume il gesto incriminato, per valutarne la liceità.
Ci può spiegare meglio che cosa ha detto la Cassazione in merito?
Una cosa è fare un saluto fascista in compagnia di qualche amico o durante una commemorazione come è accaduto ad Acca Larenzia. Altro è farlo in una manifestazione organizzata con lo scopo di rivitalizzare il partito fascista, perché la dodicesima disposizione finale della Costituzione vieta la ricostituzione del partito fascista. Quindi, se si tratta di un’attività che ha un fine chiaramente politico, e questo fine politico tende alla riorganizzazione del partito fascista, allora lì c’è il divieto della legge Scelba e, volendo, anche della legge Mancino, che puniscono una serie di comportamenti razzisti o di stampo fascista. Poi c’è, per l’appunto, la norma costituzionale. In caso contrario, così come non è un delitto il pugno chiuso, che è il simbolo opposto, può non esserlo il saluto romano.
Lei si trova d’accordo?
Mi sembra condivisibile il punto di vista della Cassazione e mi trovo in sintonia. Questo perché, secondo me, la libertà di parola e di pensiero va interpretata nel modo più ampio possibile, è la pietra angolare delle democrazie, come disse la Corte costituzionale in una famosa sentenza. Questa tutela riguarda anche le opinioni più radicali, persino quelle esecrabili, perché, probabilmente, attraverso il cattivo esempio la comunità ne esce rafforzata come democrazia.
Lei ha nominato il pugno chiuso, perché non c’è la stessa polemica?
Perché non c’è un divieto costituzionale di ricostituzione del partito comunista. Quest’ultimo fu molto importante nella redazione della Costituzione, perché i costituenti uscivano dall’esperienza del fascismo. Era quell’esperienza di oppressione delle libertà che volevano abolire. Loro dissero “mai più, non dobbiamo più ripeterla”. L’Italia non ha sperimentato, a differenza degli ex Paesi comunisti dell’Europa orientale, una dittatura comunista. Quindi la mancata polemica si spiega per ragioni storiche.
Non pensa che sia il caso, per non fare del falso revisionismo storico, condannare anche le morti che sono state perpetrate dal comunismo?
Non mi pare che ci sia qualcuno che faccia apologia dei lager in Siberia ai tempi di Stalin.
Oggi però dire comunista non è un insulto, mentre dire fascista sì.
La storia del Novecento è stata una storia terribile, è stata la storia della Shoah e di regimi totalitari, che c’erano stati nell’antichità e che sono tornati dopo le grandi rivoluzioni democratiche di fine Settecento, dopo il periodo dell'Illuminismo, dopo la Rivoluzione americana e quella francese, che generano le prime costituzioni scritte. Poi nel Ventesimo secolo l’umanità torna indietro. La condanna storica lascia il tempo che trova, perché la storia non la puoi cambiare. Ma la distanza culturale e ideale rispetto a tutto questo vale sia per il fascismo che per il comunismo, dovrebbe essere un po’ il cemento della democrazia. Si fa poco per ricordarlo anche ai ragazzi, che a scuola non studiano queste cose.
Quindi, in seguito alla pronuncia della Cassazione, i fatti di Acca Larenzia non sono punibili?
Così pare, poi il diritto è opinabile. Lo è persino la matematica.
Neanche lei vede nella manifestazione di Acca Larenzia alcun rischio?
Io mi sento allievo di John Stuart Mill. Lui diceva che si impara di più dalla rappresentazione dell’errore, dal cattivo esempio e dalle parole che ti fanno persino orrore, piuttosto che da un bel sermone recitato in Chiesa o sul palco di un comizio. Questo perché la propria identità si ritaglia in opposizione all’identità dell’altro. Ma se viene impedita l’espressione dell’identità altrui, come nel caso del saluto romano, prima di tutto ne fai una vittima e, tuo malgrado, lo santifichi, rendendolo un oppresso e un censurato. Per cui ci può essere anche un moto di simpatia. Dall’altro lato, dimostri di avere scarsa fiducia nella democrazia, che si nutre del confronto tra opinioni avverse, anche le più radicali. Finché quest’opinione non diventa un’istigazione a delinquere e non si supera questo confine, che è molto labile, credo che qualunque opinione debba avere diritto di cittadinanza in una democrazia.
In quanto al labile confine, questo governo è democratico o troppo ambiguo?
In questo caso ci sono una serie di segnali che non mi piacciono. L’ultimo riguarda la legge che è stata timbrata un paio di giorni fa che inasprisce le pene per i ragazzi che manifestano in certi modi, senza forchetta e coltello. Ma la rivoluzione non è un pranzo di gala, tanto per citare Lenin. C’è una minaccia terribile che è quella del clima e, se c’è qualcuno che blocca il traffico per ricordare ai distratti che c’è questo problema, non gli si possono appioppare sessantamila euro di multa. Questa legislatura è cominciata con un decreto-legge contro i rave, per cui fare un rave diventa un’attività criminosa in quanto pericolosa. Chi lo stabilisce quando c’è il pericolo? E dove sta il pericolo? Poi c’è stata una serie di episodi che si sono verificati sulla televisione pubblica, su una suscettibilità di questo o quel politico importante verso critiche e satire. Tutto questo e rappresenta un clima che non mi piace per niente. La tolleranza è un’altra parola magica quando si parla di sistemi democratici.
Lei ha appena scritto un libro che si chiama Capocrazia, ci può spiegare meglio questo concetto?
Sembrerebbe un ossimoro. La democrazia, diceva Platone, è l’assenza di capi. C'è un passo nella “Repubblica” in cui in un dialogo un personaggio cosa dovremmo fare se arrivasse nella nostra polis un uomo ricco di mille virtù, saggio, colto, prudente e con tutte le virtù che rendono un uomo insigne. La risposta è: dovremmo riempirlo di onori e accompagnarlo alle porte della città. Questo perché la democrazia si nutre del concetto di uguaglianza, nei limiti in cui si può declinare.
Con questo cosa ci vuole dire?
Che noi siamo un po’ precipitati. Basta pensare ai partiti: una volta si celebravano congressi in cui si stabiliva una linea politica e un segretario. Adesso tutto questo non c’è più, perché i partiti ruotano attorno a una sola persona. C’è un principe con mille cortigiani, pronti a piantargli il coltello nella schiena appena questo cade.
A proposito di libri e di democrazia, come inquadra il libro del generale Vannacci?
Nei termini di cui sopra. Anche le opinioni più esecrabili hanno il diritto di circolare. Magari chi legge i suoi deliri contro i gay, potrà magari avere maggiore simpatia nei confronti dei gay. Può realizzare l’effetto contrario rispetto a quello che voleva produrre.
Secondo lei è giusto che abbia ha avuto una promozione all’interno dell'esercito italiano?
Questo è successo anche a vari magistrati, il più famoso e recente è Di Pietro. Raggiungi celebrità per i processi e poi ti fai una carriera politica, anche se Vannacci non mi pare che abbia raggiunto fama per le sue azioni di guerra, perché, per fortuna, non siamo in guerra, ma l’ha raggiunta per un libro. Se lui se lo vuole rivendere per fare il parlamentare a Bruxelles buon per lui. Chissà poi se viene eletto.
Il sottotitolo del suo libro è: “Se il presidenzialismo ci manderà all'inferno”. Prima di tutto, il presidenzialismo è costituzionale? E lei cosa ne pensa?
Il presidenzialismo in sé certo che è costituzionale. Nel senso che la più antica Costituzione del pianeta, quella americana, prevede un sistema presidenziale. Se ci riferiamo alla riforma del premierato di questo governo è un pasticcio, è una riforma sgangherata e contraddittoria.
Mi dia almeno un motivo a sostegno di quest’ultima affermazione.
La riforma promette di dare più potere al popolo eleggendo direttamente il capo del Governo, che, però, deve avere la fiducia delle camere. Quindi mette, in questo modo, il Parlamento contro il popolo, perché, se le camere gli negano la fiducia, hanno smentito la volontà popolare. E questo possono farlo peraltro in corso d'opera. Perché questa riforma prevede che possa subentrare un secondo premier, diverso da quello eletto direttamente. E se subentra che significa? Che io ho votato una persona, ma poi diventa Presidente del Consiglio un’altra persona, per cui io mi sento buggerato. Ci sono una serie di contraddizioni. Noi siamo la patria del “quasismo”: è una riforma quasi parlamentare e quasi presidenziale che alla fine diventa un pastrocchio.