Mentre il caso dei "dossieraggi" che ha sconvolto la politica e coinvolto imprenditori e personaggi del mondo dello spettacolo finisce anche nella campagna elettorale in Abruzzo, con il premier Giorgia Meloni che chiede di “sapere i mandanti”, l’inchiesta di Perugia prosegue e per ora ha posto sotto indagine tre giornalisti del quotidiano Domani: Giovanni Tizian, Stefano Vergine e Nello Trocchia. Indagini delle quali si sta occupando il magistrato Raffaele Cantone, dopo la segnalazione del ministro Guido Crosetto e la scoperta che gli accessi alle banche dati Sos, cioè le segnalazioni di operazioni sospette di Bankitalia, da parte del finanziere Pasquale Striano non sarebbero stati soltanto 800, ma “alcune migliaia”. Era tutto finalizzato a ricatti e spionaggio, oppure semplicemente si tratta di inchieste giornalistiche che si sono avvalse di una “talpa” per svelare notizie di interesse pubblico? Siamo di fronte a un'altra P2 o ha ragione chi chiama in caussa addirittura il metodo Assange? Secondo Peter Gomez, direttore de ilfatto quotidiano.it è l’ultima ipotesi quella valida, come ci ha illustrato in una lunga intervista. Non è dello stesso avviso Giorgio Mulé, vicepresidente della Camera e colonna portante di Forza Italia. Attenzione: Mulè è una delle persone più autorevoli da sentire su questa vicenda perché prima di ricoprire un ruolo istituzionale è stato cronista in Sicilia e poi a Milano per Il Giornale e Panorama, testata per la quale è diventato anche vicedirettore e direttore. E, sempre da direttore, si trovò a gestire un caso simile nel 2010 quando un suo giornalista fu coinvolto in una storia che lui però definisce "completamente diversa". Quel giornalista era Giacomo Amadori, uno dei migliori cronisti giudiziari italiani e lo stesso che oggi ha sollevato tutto il caso dossieraggi sulle pagine de La Verità, di cui oggi è vicedirettore. Ecco perché abbiamo cercato proprio lui per farci spiegare quello che sta succedendo.
Giorgio Mulé, intanto come risponde a Peter Gomez che ha paragonato il dossieraggio di oggi a quello di Panorama degli anni scorsi nei confronti dei “nemici di Berlusconi”?
Gomez da alcuni giorni, ma non solo lui, come direbbero a Roma, cerca di buttarla in caciara o di mischiare le pere con le mele. Peraltro lo fa dicendo non solo delle cose inesatte, ma anche false. Quindi, siccome il tentativo evidente è quello di deviare l'attenzione da quello che sta accadendo rispetto ai fatti, cerca di buttare la palla in tribuna. Allora tira fuori quella storia.
Quali sono le differenze?
Sono sostanziali. Intanto parliamo di 14 anni fa, non c'era una giurisprudenza consolidata, anzi c'era una giurisprudenza difforme sulla responsabilità del giornalista rispetto al concorso del reato con un pubblico ufficiale per la richiesta di queste informazioni, quindi parliamo di informazioni legate ad accesso a banche dati. Tanto che fu necessaria una pronuncia delle sezioni unite della Cassazione che, nel 2011, sancì che il giornalista era concorrente nel reato. Parliamo del 2011, quindi successivo ai fatti di cui stiamo parlando.
Per venire all'oggi?
Nella fattispecie, rispetto ad adesso, il giornalista all'epoca non fece e non ebbe mai nessuna informazione legata a operazioni bancarie, operazioni sospette o vita privata dei soggetti, ma si era limitato a chiedere a questo finanziere di avere i dati in maniera più veloce riguardo alle dichiarazioni dei redditi.
E perché proprio le dichiarazioni dei redditi?
Ora ci arriviamo. Gomez straparla quando dice che erano 1640. Falso! Quello era il numero degli accessi che fece il finanziere e in sentenza e negli atti le richieste del giornalista di Panorama furono circa 20 o 25 rispetto a 1640.
Di quali dichiarazioni dei redditi parla?
Per esempio delle dichiarazioni dei redditi di vari componenti della famiglia Agnelli, visto che all'epoca era già scoppiato un caso relativo all’eredità di Gianni Agnelli già allora quel giornalista fece emergere gli stessi fatti che adesso, dopo 14 anni, sono al centro o sono parte dell'inchiesta che sta impazzando su tutti i giornali. Parliamo di dichiarazioni dei redditi, lo ripeto e lo sottolineo, nulla di più e nulla di diverso.
Come mai allora avete patteggiato?
Il giornalista patteggiò perché all'epoca non c'era giurisprudenza sul caso, come dicevo. La giurisprudenza intervenne successivamente perché, nel momento in cui venne aperta l'inchiesta, lui non era concorrente nel reato. Così intervenne la Cassazione che, a quel punto, modificò e tipizzò il reato. E siccome potenzialmente, pur essendo, ripeto, per ammissione del finanziere e concorde con il giornalista che diede i nomi delle persone di cui aveva chiesto la dichiarazione dei redditi, il rischio che si presentava era di attivare 1.600 parti civili, che a quel a quel punto avrebbero potuto rivalersi sul giornalista e soltanto per la compensazione delle spese legali sarebbe finito sul lastrico lui e mezza Mondadori. Per evitare l'avvio di un procedimento infinito rispetto all'eventuale costituzione di parte civile, il giornalista patteggiò una pena a un anno che, peraltro, non ebbe neanche iscrizione nel casellario giudiziario. Quando dice “i nemici di Berlusconi” (Peter Gomez, ndr) è un’altra fesseria. Così oggi c’è la sua difesa a spada tratta dei giornalisti quando, in vari casi, negli anni scorsi c'era la macchina del fango, Gomez la ricorda?
Perché?
All'epoca non ci fu qualcosa di mirato ai "nemici di Berlusconi". Quando il giudice Raimondo Mesiano finì sotto i riflettori per la famosa sentenza, peraltro poi ampiamente rivista in secondo grado, sul risarcimento che Fininvest avrebbe dovuto dare a Carlo De Benedetti, la richiesta di avere la dichiarazione dei redditi di Mesiano stesso, finì nel cestino. Tanto che agli atti rimane il fatto che il giornalista disse: “Preparai un articolo sulla base delle informazioni. Il direttore (proprio Giorgio Mulé, ndr) lo cestinò e non lo pubblicò”. Questo per evitare che, alla luce del clamore che si era acceso su Mesiano, sembrasse che facessimo parte di una congiura o di un accordo per screditare il giudice. E infatti quell'articolo non vide mai la luce.
Quindi se a un giornale che lei dirige, uno dei suoi giornalisti le avesse portato quel materiale, gli avrebbe consentito di pubblicarlo?
Il problema è il tipo di rapporto che si ha con la fonte. In questa vicenda, secondo quello che i magistrati di Perugia sostengono, il rapporto giornalisti-fonte funzionava in due modi: erano sia i primi a richiedere informazioni a Striano e agli altri, sia i secondi a passare delle informazioni di propria iniziativa ai giornalisti, i quali scrivevano degli articoli, che poi a sua volta la fonte utilizzava per confezionare dossier pre investigativi. Questo è un rapporto perverso, perché non si cercano notizie ma si fabbricano degli articoli per altri scopi.
Lo ritiene un attacco diretto al governo?
È un'attività che è pericolosissima. Vicina, se non allo spionaggio, a qualcosa che ci somiglia molto. E che evidentemente, rispetto ai soggetti che sono finiti in questo tritacarne, è indirizzata da una precisa volontà politica. Non a caso cercavano di colpire sempre soggetti già al governo o che al governo ci stavano arrivando.
La Meloni ha detto: "Voglio sapere i mandanti". E l'editore del quotidiano Domani è Carlo De Benedetti, uno dei principali avversari del premier...
De Benedetti ha smentito, mettendo un muro tra lui e la libertà dei giornalisti che lavorano per il giornale da lui editato. Non avendo preso le distanze dai suoi cronisti è evidente che non considera in alcun modo la loro condotta disdicevole o non consona a quella che è la sua etica. Di più non aggiungo, anche perché si entrerebbe in un campo di illazioni ulteriori. Io per ora voglio stare ai fatti. E i fatti sono lungi dall'essere chiari, perché oggi è uscita la notizia di un cancelliere della Procura di Perugia, Raffaele Guadagno, che ha patteggiato un anno per avere passato informazioni ai giornalisti. Domani non so che cosa uscirà e neanche dopodomani.
Quindi siamo solo all’inizio?
È una vicenda di cui probabilmente abbiamo cominciato a raccontare solo il prologo, perché vi sono enormi conseguenze che stanno emergendo e che magari emergeranno ancora e sulle quali dovremo interrogarci.
Lei su cosa si sta già interrogando?
Per esempio sulla catena di comando e di controllo che c'è stata in questi anni all'interno della Procura Nazionale Antimafia rispetto all'utilizzo e all'accesso delle Sos (segnalazioni di operazioni sospette di Bankitalia).
Da sinistra dicono che che non si può parlare di dossieraggio, come ha detto Lilli Gruber ieri sera su La7.
Il dossieraggio nasce quando io raccolgo delle informazioni e le utilizzo, non per fare un articolo, ma per tenermele da parte o per farle uscire al momento opportuno. Cioè non obbedisco a un'esigenza di cronaca, di verità o di inchiesta giornalistica, ma acquisisco delle informazioni che un domani mi potranno servire per chissà quali scopi. Se questo c'è stato, lo scopriremo solo vivendo. Quello che certamente c'è stata è una raccolta di informazioni recuperate in modi non proprio legittimi.
Quindi il termine dossieraggio non è sbagliato?
Il termine dossieraggio non è sbagliato laddove si costituiscono dei fascicoli che riguardano le persone. Quello è un dossier.
Vista la mole di accessi e di persone coinvolte, quindi non tutto potrebbe essere stato utile a "esigenza di cronaca, di verità o di inchiesta giornalistica"?
Esattamente questo sto dicendo. Bisogna verificare che uso è stato fatto di quei nomi e di quelle informazioni. Se sono rimaste nella disponibilità dei giornalisti, se le hanno condivise con altri soggetti, se sono finite, per esempio, a dei parlamentari, ad altri magistrati, e come sono state veicolate. È un'attività sulla quale va assolutamente acceso un faro per capire che fine hanno fatto tutte queste informazioni e che uso ne è stato compiuto.
Altra accusa da sinistra è che la destra sta usando questa vicenda per attaccare e in debolire la Direzione nazionale antimafia.
È un atteggiamento totalmente scollegato dalla realtà che tende soltanto a creare una cortina fumogena e a non andare verso un doveroso accertamento dei fatti. La Direzione nazionale antimafia nulla c'entra come istituzione. C'è stato certamente all'interno della DNA una deviazione, che è quella che già i magistrati di Perugia, in parte quelli di Roma, e probabilmente anche quelli di Napoli, hanno già acclarato. Io non scaglio la croce su Federico Cafiero De Raho, che è stato il Procuratore nazionale antimafia dal 2017 al febbraio 2022. Dico, anche leggendo le cronache di stamattina, che è evidente come nella catena di controllo dell'afflusso e dell'utilizzo di queste informazioni c'era molto più di un sospetto, tanto che le regole sono state cambiate dai successori di De Raho.
C'è anche chi parla di una "guerra" tutta interna al centrodestra...
A destra? E che c'entra la destra? Qui entriamo, come dire, dentro alle ipotesi fantasy. Ian Fleming, Agatha Christie e tanti altri scrittori simili, possiamo scomodare tutta la letteratura gialla che vogliamo, ma non ha molto senso. È una ipotesi completamente campata in aria.
Se potesse smettere per un attimo i panni del politico, rimettendo solo quelli del giornalista, come considererebbe questa vicenda?
È un caso certamente grave, perché non si tratta di informazioni che erano in un'inchiesta giudiziaria rispetto alla quale il giornalista fa il suo lavoro e quindi vìola, come tutti abbiamo fatto e come ho fatto per una vita, il segreto istruttorio per avere delle notizie. Si tratta di una raccolta di informazioni che sono sganciate da qualsiasi inchiesta giudiziaria e che da sole vorrebbero buttare discredito o ombre su alcuni personaggi. Non c'entra in questo senso la libertà di stampa. C'è un problema di etica e di deontologia dei giornalisti rispetto a come usano le informazioni. Quello che sta emergendo è che c'è stato un uso distorto delle informazioni.
Ma è possibile che un tenente della Guardia di finanza possa aver fatto tutto da solo o ci sono dei mandanti occulti?
Io davanti all'espressione "mandanti occulti" o "servizi segreti deviati", non è che provo obbrobrio, ma di più. Perché è la via più facile per non arrivare alla verità. Certamente, per esperienza, so che un finanziere può aver fatto questo senza complici, però è già emerso che non era da solo e dobbiamo appurare quali sono le responsabilità degli altri eventuali coinvolti, che siano appartenenti alle forze dell'ordine o alla magistratura. Quindi se ci sono stati dei mandanti, questi saranno individuati.
Peter Gomez ha paragonato le modalità dei giornalisti del Domani a quelle di Julian Assange, le sembra un paragone adeguato?
Assange, con la sua attività, mise in pericolo la vita di numerosi e infiniti informatori, anche in terra straniera, e quindi si è macchiato di un crimine, quello di causato danni alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti e di alcuni funzionari. Quello non è giornalismo. Quello diventa qualcosa che va contro il tuo Paese e contro le regole sulle quali nessuno può alzare la bandiera del giornalismo libero.
Ieri Paolo Mieli, durante la rassegna stampa su Radio24, ha detto: “Se il Fatto Quotidiano disdegna il caso vi sarà un motivo…”.
Non faccio il gioco di Peter Gomez, che alza cortine fumogene per non guardare quello che sta accadendo. Che il Fatto Quotidiano abbia legami privilegiati con i magistrati è un dato di fatto, da sempre si è distinto per avere un filo diretto con le procure, provato da testimonianze o atti riservatissimi che non sarebbero mai dovuti uscire e sono stati pubblicati in spregio al segreto istruttorio ma anche in spregio al diritto della tutela della privacy, dando notizie di circostanze che nulla c’entravano con le inchieste in atto.
E cosa mi dice della Schlein che ha richiesto massima chiarezza su tutta la vicenda?
La sinistra molte volte pecca di ipocrisia, perché tende a ergersi a difensore dell'indipendenza della magistratura, quando invece sono i primi a sapere, avendolo provato anche sulla propria pelle, che la commistione tra politica e magistratura crea dei danni devastanti. Elly Schlein, in un primo momento, ha sposato questa strategia, salvo poi riconoscere ciò che hai fatto notare anche tu. Ma lei è come gli orologi fermi, che due volte al giorno comunque segnano l'ora esatta.