Sullo scandalo del dossieraggio che ha sconvolto la politica, soprattutto sul versante del governo, abbiamo chiesto a Peter Gomez, direttore de ilfattoquotidiano.it e condirettore del cartaceo insieme a Marco Travaglio, per capire se questo modo di fare giornalismo sia o meno corretto. Secondo lui “parte del mestiere del giornalista è violare i segreti”, infatti si è detto "solidale" con i colleghi del quotidiano Domani e ha ribatutto a Giorgia Meloni: "Dovrebbe riflettere meglio". E ci ha spiegato che casi simili sono già avvenuti in passato, per esempio quando Panorama "fece lo stesso sui nemici di Silvio Berlusconi". Mentre a Paolo Mieli, che ha commentato la posizione del Fatto dicendo che "disdegna il caso" risponde: “Deve essersi distratto” e avanza delle similitudini con Julian Assange: “È esattamente quello che può aver fatto con Chelsea Manning”.
Peter Gomez, come mai stiamo parlando solo adesso del dossieraggio, anche se il tutto era emerso già ad agosto del 2023?
Perché è stato notificato un invito a comparire a confronti dei giornalisti e ad altri indagati. Quindi è emerso l'elenco completo delle ricerche fatte sul database da questo finanziere, che in gran parte erano ricerche per conto dei giornalisti.
Chi potrebbe essere stato il vero mandante?
Dalla lettura dell’invito non emerge nessun mandante. Questa storia sembra identica a una vicenda del 2010, quando un collega di Panorama patteggia la pena per 1360 accessi illegali a una banca data diversa, che si chiama Serpico, effettuati da un altro finanziere suo amico. In quel caso i nomi riguardavano in stragrande maggioranza avversari di Silvio Berlusconi. C'era il giudice Mesiano, c'era Travaglio, c’erano tutti gli esponenti dell'altra parte, con una differenza.
Quale?
Qui troviamo tantissimi articoli pubblicati, di là ne ce ne erano molto pochi. La pesca sembrava davvero quasi a strascico. Il mestiere del giornalista, in ogni caso, consiste anche nel violare i segreti nel momento in cui le notizie hanno un interesse pubblico. Io stesso, quando facevo il cronista, avevo delle persone che erano in grado di accedere allo Sdi, che è la banca dati del Viminale. Avere fonti del genere è difficile. Ma se stai lavorando su uno scandalo, sul nome di un politico o di industriale, avere anche questi dati è importante. A volte fondamentale. Ovviamente violare il segreto è vietato. Lo sai. Se ti beccano, ti condannano, prendi la condanna e la porti a casa. Ma è esattamente quello che ha fatto Julian Assange con Chelsea Manning, che era un analista dell'esercito americano, aveva dei documenti segreti, se li è fatti dare e li ha pubblicati.
Questo metodo giornalistico, quindi, è simile a quello di Assange?
Ci sono due tipi di giornalisti. I cani da guardia del potere e i cani da riporto. Se il giornalismo non lavora per raccontare i segreti del potere che hanno interesse pubblico, non è giornalismo, è propaganda. È un mestiere diverso. Il compito del giornalista è rendere evidente alla collettività ciò che non funziona nel potere. Per questo in alcuni stati pur di pubblicare notizie rilevanti può anche rischiare la galera.
Ne sta parlando come se fosse una cosa normale, ma lo dice rappresentando un giornale che in realtà è estremamente giustizialista...
Se io vìolo un segreto lo so che posso pagarne lo scotto. Ma il mio dovere di giornalista è violare i segreti se hanno interesse per il pubblico. Perché altrimenti non è giornalismo. Io trovo ridicola questa polemica per la parte che riguarda i giornali. E ho sorriso quando ho visto che prendeva posizione pure un mio amico, l’attuale parlamentare di Forza Italia Giorgio Mulé, che è stato cronista giudiziario e direttore di Panorama. Il suo settimanale si comportava un po’ come il quotidiano Domani. Io capisco che in questo Paese non si abbia più memoria storica, però io non ho la memoria del moscerino. Poi, ovviamente, se emergesse che questo finanziere lavorava per i servizi segreti servizi segreti stranieri o che si faceva pagare dai privati per violare la banca dati saremmo davanti a un'altra storia. Ma io sto parlando di quello che ho visto nell’invito a comparire. Un documento da cui emerge che la maggioranza delle informazioni era per i colleghi del Domani. Cronisti che hanno fatto quello che fanno in quasi tutti i più importanti giornali liberi del mondo.
È un metodo così diffuso?
Le notizie vanno prese dove si trovano. Se si riesce a trovare una fonte che è disponibile a dartele le notizie vanno prese. E pubblicate. Ma attenzione. La regola è che non si paga mai nessuno, perché altrimenti è corruzione e quello è un reato che non ha niente a vedere con il giornalismo.
Però lei rappresenta il Fatto Quotidiano, avete una linea dura su chi infrange la legge e poi giustificate chi la vìola solo perché sono vostri colleghi?
Per me come per i miei colleghi la notizia di interesse pubblico, se riguarda i potenti ed è importante, viene prima di tutto. Violare consapevolmente una norma perché il diritto di sapere della collettività viene prima equivale a una sorta di disobbedienza civile. Ma attenzione: lo si può fare solo per la notizia. Non per altri motivi. Se io becco un collega che ha litigato con uno e ha accesso a una banca dati che usa per sputtanare quel signore, io lo prendo a calci e lo licenzio.
Giorgia Meloni dice che questa non è libertà di stampa.
Credo che dovrebbe riflettere meglio. Perché se in un paese libero si conduce un'indagine giornalistica, su un ministro o un potente, è doveroso compulsare ogni tipo di fonte e anche di violare persino il segreto di Stato se davvero necessario.
Cioè?
Se io domani da documenti segreti apprendo che è in corso un colpo di Stato cosa faccio? Sto zitto perché è un segreto e sto commettendo un reato?. Se scopro che girano tangenti taccio perché i documenti sono segreti? Pensate a ciò che accaduto con il Washington Post, quando nei primi anni Settanta pubblicò i Pentagon Papers. Misero in pagina documenti top secret sulla guerra del Vietnam (farlo può costare l’ergastolo) e dimostrarono tra l’altro che la guerra era stata decisa sulla base del falso incidente del Tonchino. Il governo aveva sostenuto falsamente che erano stati lanciati siluri contro navi americane e così spinse il congresso a votare. Bene, per impedire la pubblicazione dello scoop il governo si rivolse alla corte suprema dove un giudice di 85 anni, Hugo Black, diede una lezione di democrazia scrivendo una sentenza in cui tra l’altro si diceva: “Oggi per la prima volta nei 192 anni trascorsi dalla fondazione della repubblica viene chiesto ai tribunali federali di affermare che il Primo emendamento significa che il governo può impedire la pubblicazione di notizie di vitale importanza per il popolo di questo Paese. La stampa (dal punto di vista dei Padri fondatori, ndr) deve servire ai governati non ai governanti. Il potere del governo di censurare la stampa è stato abolito perché la stampa rimanesse per sempre libera di censurare il governo”. Perché la stampa è per i governati, non per i governanti. Se le notizie sono davvero importanti vanno pubblicate anche se segrete. Quello che differenzia noi dai regimi è proprio questa. Poi ovviamente se commettiamo un reato sappiamo che ne possiamo subire le conseguenze. È uno dei rischi del mestiere. Indro Montanelli diceva che lui, per avere un'intervista da Stalin, ci sarebbe andato a letto. E questo cosa voleva dire? Che per una notizia davvero importante sarebbe stato disposto a fare qualsiasi cosa.
Ma non c’è un limite?
Sì, ci sono dei limi. La rilevanza della notizia e l’obbligo di non corrompere nessuno. Ma se la notizia è importante e riguarda un potente pubblichi sempre.
Ci sono i potenti anche a sinistra e qui sono state fatte delle ricerche praticamente solo sull'area di governo. Alcune ricerche sono partite non appena la Meloni aveva nominato i ministri.
Questo ha a che fare con la linea del giornale. Ognuno ha la propria linea. Ho notato pure io che si trattava quasi solo di centrodestra, che stava andando al governo, e dell’entourage di Giuseppe Conte. Esattamente come nelle ricerche di Panorama trovavi quasi solo sui nemici di Silvio Berlusconi. A me non piace questo modo di fare. Ma non vado a sindacare il pluralismo degli altri. Cerco e se le trovo, pubblico notizie vere. Non a caso su questo giornale, spesso accusato di essere vicino ai Cinque stelle, sono uscite le notizie più importanti sulle inchieste che riguardavano Virginia Raggi (poi assolta, ndr) o tutte le carte delle scandalo di Quarto.
Paolo Mieli ieri mattina, nella sua rassegna su Radio24, ha detto testualmente: “Se il Fatto Quotidiano disdegna il caso vi sarà un motivo…”.
Paolo Mieli deve essersi distratto perché il secondo giorno lo scoop con tutto l'elenco degli spiati è stato fatto dal mio giornale. Da tre giorni gli altri quotidiani riprendono il nostro elenco. E noi abbiamo continuato a occuparci della cosa senza però correre dietro in prima pagina a polemiche politiche senza fondamento, dettate da esigenze elettorali. Ti dirò di più: quando negli scorsi anni noi vedevamo che altri due quotidiani pubblicavano di continuo le cosiddette Sos (le segnalazioni dell’antiriciclaggio, ndr) noi abbiamo ripreso più volte i nostri cronisti per i buchi che prendevano. I nostri colleghi erano piuttosto infastiditi dalle continue cazziate. Uno di loro, lo ho scoperto in questi giorni, prima di dimettersi e passare al Domani si è persino rivolto alla stessa fonte, ma la poca documentazione che riuscì ad ottenere, di cui non conoscevamo l’origine, venne giudicata di scarsissimo interesse. E poi fu pubblicata da altri.
Quindi è solidale con Nello Trocchia e agli altri colleghi coinvolti?
Certo che sono solidale. Pagheranno per i reati eventualmente commessi, ma hanno fatto quello che dovevano fare: cercare notizie importanti. Rimango però a bocca aperta nel vedere che il modo in cui questa fonte dava loro i documenti: usavano mail e WhatsApp. Dire che era poco accorta è poco.
E come funziona allora quando lo vuoi fare bene?
Alcune Sos sono state pubblicate anche da La Verità. Ma il fatto che non sia fin qui stata scoperta la loro fonte significa che si muoveva con maggiore accortezza. Bravi loro.
Quindi WhatsApp è stato usato con un po' di leggerezza?
Quando parli con una fonte riservata sai benissimo che puoi cacciarti in un guaio e cerchi di correre ai ripari. Si chiama giornalismo.
Quanto sono "pericolosi" i cellulari per il giornalismo d'inchiesta?
Sono pericolosissimi perché è tutto tracciato. Il giornalismo di inchiesta però non è solo questo, sia chiaro. Il giornalismo di inchiesta è cercare notizie ovunque sia possibile trovarle. Può essere questa strada, può essere parlare con le persone, può essere l'inchiesta che ha fatto Thomas Mackinson, su Vittorio Sgarbi che non aveva nulla di giudiziario. Però, se Thomas avesse avuto una fonte che era in grado di controllargli anche queste banche dati e gli fosse servito avrebbe fatto benissimo a rivolgersi anche a loro.
Ma secondo lei non vengono messi in cattiva luce i magistrati in questo modo?
Antonio Laudati senza dubbio. Vedendo l'ipotesi d'accusa mi pare messo male perché non sembrerebbe essersi mosso per favorire i giornalisti, ma anche per una questione personale, relativa a una casa. Per lui oltretutto c’è pure un’accusa di falso. Vedremo gli sviluppi.
Adesso quale può essere l’evoluzione della faccenda?
L'interrogativo è se questo finanziere si muoveva solo per i giornalisti pensando di farlo a fin di bene o lo faceva pure per qualcun altro. Io questo non lo so, da quello che ho visto e dall'elenco dei nomi mi sembra solo una cosa per i giornalisti. Io penso che se l'avesse fatto per qualcun altro non avrebbe usato quella disinvoltura che ha usato mandando mail e cose del genere, però la mia è solo una presunzione.
È un'attenuante se l'ha fatto solo per i giornalisti?
Ciò che ha fatto è grave. Ha violato la legge. Ma se non ci sono soldi di mezzo non è corruzione. Verrà condannato ma a una pena più mite rispetto a quelle ricevute da qui pubblici ufficiali che una quindicina di anni fa lo facevano a pagamento per gli investigatori privati. Allora, dopo lo scandalo, sulle banche dati vennero messi dei sistemi di sicurezza che permettono di risalire sempre a tutti gli accessi. E il fenomeno finì per scomparire. O almeno così si pensava.