Tornano a far discutere le foto che arrivano dall’Ungheria di Ilaria Salis, la docente italiana da 13 mesi in carcere a Budapest, mentre entra in tribunale ancora una volta con le manette ai polsi e ceppi e catene alle caviglie, oltre a una catena nelle mani di un agente, mentre nell'ultima udienza il giudice ha respinto la richiesta di domiciliari presentata dai suoi legali. Immagini esattamente analoghe allo scorso 29 gennaio. Ma soprattutto che ricordano gli anni ‘70 e ‘80 italiani, quando a finire a processo furono numerosi “prigionieri politici” negli anni di piombo. Per questo abbiamo chiesto a chi quella stagione l’ha vissuta, come Cecco Bellosi, che effetto gli fa vedere quelle foto. Prima militante di Potere operaio, poi di Prima linea e delle Brigate Rosse Walter Alasia, sono tutte esperienze che lo hanno portato a conoscere gli “schiavettoni” (le manette con serraggio a vite) molto simili a quelli portati dall'italiana detenuta in Ungheria. Ma è interessante ciò che ci ha raccontato Bellosi anche per altre ragioni. Perché sull’essere “dalla parte giusta della storia” - come ha scritto la 39enne in una lettera dal carcere dopo essere stata accusata di aver aggredito tre militanti di estrema destra - fa un distinguo: “Lei è senza dubbio dalla parte giusta, mentre noi lo credevamo ma eravamo fuori tempo massimo”. Ma ci ha anche spiegato come mai tanti giovani alle manifestazioni odierne inneggiano ancora al comunismo, perché non possono essere equiparati fascismo e comunismo e perché decise di togliere i fiori dalla lapide a Giulino di Mezzegra, dove il Duce venne fucilato a morte da tre partigiani.
Bellosi, le immagini di Ilaria Salis in manette, mani e piedi e con una catena tenuta da un agente, non le fanno tornare alla mente gli “anni di piombo” e i processi ai “prigionieri politici” che lei ha conosciuto bene, essendo stato condannato a 12 anni per banda armata e rapina di autofinanziamento?
Niente di nuovo sotto il sole. In quegli anni venivamo portati ai processi con le catene e legati uno all’altro con i cosiddetti “schiavettoni”, che non ci toglievano neppure durante i trasferimenti in furgone cellulare. Purtroppo sono scene che non dovrebbero più vedersi da nessuna parte, ma sono ancora ovunque. Basta pensare, al di là di quello che hanno compiuto, agli arrestati per la strage in Russia che sono stati torturati sul posto.
Almeno in Italia non si vedono più.
Si sono viste, come nel nostro caso, e in altre forme avvengono ancora in Italia dove i detenuti sono speso torturati.
Lei ha provato quelle condizioni di carcerazione.
Le immagini di Ilaria Salis sono catene ancora più catene, perché sembra una sorta di umiliazione del cane al guinzaglio. Per questo sono ancora più raccapriccianti. E parliamo di immagini che vengono da uno stato che è in Europa nel 2024. E poi la chiamano civiltà…
C’è anche un pensiero scritto da Ilaria Salis, nelle sue lettere dal carcere, che richiama gli anni che lei ha vissuto nei vari gruppi terroristici degli anni ‘70: “Non ho dubbi su quale sia la parte giusta della storia”. Vede delle analogie?
Bisogna fare due interpretazioni diverse. Ilaria Salis fa bene a dire che si sente “dalla parte giusta della storia” perché è dalla parte giusta della storia. Combattere contro fascismo e nazismo è giusto a prescindere, e infatti è accusata di questo. Noi ci sentivamo “dalla parte giusta della storia” ma la Storia ha detto che eravamo fuori tempo massimo rispetto alle possibilità rivoluzionarie dell’epoca.
La violenza è fuori tempo massimo?
La lotta armata è stata il punto più estremo, ma non estraneo, al grande movimento di lotta degli anni ‘70. L’ho sempre sostenuto.
Oggi si può lottare come ha fatto lei qualche tempo fa, cioè togliendo i fiori dalla targa dove venne fucilato Benito Mussolini a Giulino di Mezzegra (Como) posti poco prima da una squadra di nostalgici del Duce?
È stato un gesto di dignità, più che di lotta. Quella non è una lapide, ma una targa, posta nel luogo in cui si dovrebbero ricordare i tre partigiani che eseguirono una sentenza in nome del popolo italiano nei confronti di un dittatore. Invece c’è la foto del dittatore. Non ho danneggiato la targa, mi sono limitato a togliere i fiori dei fascisti perché non deve stare lì quella targa, questo è il problema.
Ma cosa pensa quando vede tanti giovani che alle manifestazioni inneggiano ancora al comunismo?
Umberto Eco parlava del “fascismo eterno”, che alberga in ognuno di noi e contro il quale dobbiamo combattere. Che si delinea con il prevaricare i più deboli, il razzismo e tutte le caratteristiche che lo denotato come ideologia. In modo contrario, ma non speculare, c’è l’idea del comunismo che professa invece fratellanza tra gli uomini, soprattutto fra gli oppressi. Questa è una idea millenaria.
Anche il comunismo qualche prevaricazione l’ha compiuta, o no?
Nel ‘900 c’è stata la Rivoluzione sovietica e poi declinazione in termini di “socialismo reale” che ha mostrato tutti i suoi limiti, ma non vuol dire che l’idea di comunismo come bene comune, il valore del “noi” rispetto all’”io” in relazione agli altri sia una idea superata. C’è sempre stata e quindi non perderà mai il suo valore. A volte è più forte, altre più debole.
E oggi è tornata forte?
Oggi sì, non a caso. Perché trionfano le disuguaglianze.