Qual è il futuro previsto per le elezioni presidenziali americane? Kamala Harris ha davvero speranze di battere Donald Trump, o vedremo una seconda presidenza del tycoon? Cosa dobbiamo aspettarci dalla rielezione di Ursula von der Leyen in Unione europea, nonostante le polemiche contro il Green Deal, la questione dei migranti in Europa e la condanna per i contratti sui vaccini? Lo abbiamo chiesto a Silvia Sciorilli Borrelli, corrispondente italiana del Financial Times, volto televisivo di La7, spesso ospite di Otto e mezzo di Lilli Gruber e della Maratona di Enrico Mentana, e che in passato ha collaborato anche con Politico Europe, Cnn, Bbc News, Skytg24, Il Sole 24 Ore, seguendo, fra tanti temi, anche le precedenti elezioni americane e la prima presidenza proprio di Donald Trump. Della politica americana e del tycoon ci ha detto: “Trump è un pressapochista, e con lui la politica americana è come Super Mario: ogni volta c’è un nuovo livello”, ma le speranze per Kamala Harris non sono certe: “Kamala, come Ursula von der Leyen non è stata scelta perché era la più forte”. Abbiamo poi discusso delle donne in politica in Italia e sulla scena internazionale, da Giorgia Meloni a Elly Schlein, alle donne nel mondo del giornalismo politico ed economico, e le difficoltà che ci sono ancora oggi in alcuni ambiti lavorativi, prettamente “maschili”. Ma proprio a proposito di Elly Schlein, possiamo davvero pensare a un campo largo del PD? Solo se “Renzi, Calenda e Conte smettono di fare le ‘prime donne’”. E a proposito di Enrico Mentana e della sua Maratona ci ha detto: “È impressionante, lavorare con lui è una grande scuola”. Ecco l’intervista completa.
A proposito delle elezioni presidenziali americane: in passato hai avuto modo di seguirle, nella campagna elettorale precedente, commentando anche la presidenza di D. Trump. Che differenza c’è tra la campagna di Trump di adesso e quella di allora?
Sì, ho lavorato a Londra come opinionista per Cnn, commentando la politica americana e l’inizio della prima presidenza di Trump. Rispetto alle differenze: intanto la campagna che abbiamo visto finora da parte di Trump era disegnata su un avversario anziano e poco lucido, cioè Joe Biden. Quindi abbiamo visto il solito Trump con i soliti toni, le solite uscite sui social media e le solite affermazioni pressapochiste, per esempio sulla guerra, o i suoi cavalli di battagli come l’immigrazione, l’invasione dei sudamericani e il muro messicano. Questo era esattamente il suo atteggiamento anche durante la presidenza e la sua prima campagna elettorale, dove tutto era un attacco all'avversario, che però allora era Hillary Clinton.
E adesso con l’entrata in scena di Kamala Harris?
Sarà da capire con Kamala Harris, ma Trump dovrà totalmente ridisegnare la sua campagna. Francamente sulla carta non è un candidato forte, anche perché è uscito di scena non nel migliore dei modi quattro anni fa. Quello che l'ha reso di nuovo forte era avere un avversario come Biden, in una campagna dove anche banalmente quel primo dibattito televisivo l'ha fatto sembrare forte perché al confronto Biden era totalmente confuso e non lucido e Trump di conseguenza sembrava “brillante”.
Secondo la tua visione Kamala Harris ha davvero il carisma e le capacità di battere Trump? Nell’attesa di capire cosa succederà, dall’esterno, soprattutto sui media italiani, in questi cinque anni di vicepresidenza lei non è emersa moltissimo, né per le sue prese di posizione, né per le sue dichiarazioni, che si trattasse di politica americana interna o internazionale. Ci si chiede: non è una figura un po’ “passiva”?
È un'ottima domanda perché effettivamente Kamala non è stata una vicepresidente particolarmente attiva e presente sulla scena internazionale, ma anche internamente negli Stati Uniti si è sempre fatto notare come fosse poco presente, anche a fronte di un presidente come Biden, che stava invecchiando. Questo era palese già prima del disastroso dibattito Biden-Trump, e c’erano tante questioni da risolvere, sia interne che internazionali, fra cui diverse guerre, ma lei è sempre rimasta un passo indietro. Questo è sempre stato interpretato come una scelta da parte del partito e dall'amministrazione di Biden. Adesso vedremo come evolverà, però ci sono stati degli esponenti di spicco del Partito democratico che non hanno dato un endorsement immediato a Kamala Harris, per quanto ora in pochi giorni abbiamo visto che sono riprese le donazioni e ha già un numero sufficiente di delegati che la appoggiano, che le permette di assicurarsi la candidatura.
Da candidata però dovrà esporsi di più. Cosa pensi delle sue ultime dichiarazioni e apparizioni pubbliche?
L'abbiamo vista molta agguerrita nelle sue prime apparizioni pubbliche, con una retorica forte, aggressiva, da donna lucida e sul pezzo che fa da forte contrasto a Biden, come l'abbiamo visto negli ultimi mesi; quindi, sicuramente ha più chance di Biden, come dicono anche i sondaggi, di battere Trump. Poi se ci riesca o meno, sarà una questione puramente interna, perché noi effettivamente sappiamo ben poco di quelle che sono le sue posizioni internazionali, perché si è fatta vedere poco sulla scena internazionale. Prima a livello interno non godeva di grandissima popolarità, sia tra le donne bianche che tra i giovani, che si aspettano invece delle posizioni più progressiste o comunque più nette, per esempio rispetto alle guerre.
Infatti tra le cose che sono emerse sul passato di Kamala Harris, in questi giorni c’è stata una critica sulle sue posizioni sui migranti, sul suo essere (stata) contro i migranti tra 2019 e 2021 circa, con una visione persino simile, in qualche modo, a quella di Trump
Diciamo che nell'ultima fase della presidenza di Biden ha avuto questo portafoglio complesso da gestire. Quello sull'immigrazione non è stato gestito benissimo, non a caso anche il sindaco di New York, Eric Adams, in un primo momento non l’aveva appoggiata proprio per questa questione, anche se poi ha cambiato idea. Lei già dal 2021, quando andò in Guatemala e disse ai guatemaltechi “Non venite”, si è attirata tante critiche, sia dai progressisti, che da coloro che negli Stati Uniti ritengono che invece il Paese abbia bisogno di immigrazione per poter coprire un certo tipo di domanda del mercato del lavoro. Queste uscite in passato non le hanno attirato simpatie, ma il vero problema oggi è che guardando i dati sull’immigrazione dal Sud America, c’è stato un effettivo aumento. La cosa non è stata gestita benissimo e rispetto al pugno duro di Trump, che aveva proprio bloccato gli ingressi, c'è stato più di lassismo e non è una situazione semplice da gestire. Non è solo un fatto di destra contro sinistra, ma è un po’ quello che vediamo anche in Europa, su questo è inutile nascondersi. I democratici non hanno fatto un ottimo lavoro e lei ne è responsabile perché è un ambito di cui aveva la supervisione.
E cosa pensi delle presunte spaccature all’interno del Partito democratico? Ovvero che non tutti fossero a favore della sua candidatura
Si era parlato di altri nomi, per esempio di alcune governatrici democratiche che erano state date come possibili candidate, ma sono figure poco conosciute sulla scena internazionale. Arrivati a questo punto con tutte le donazioni che aveva raccolto Biden, che sono state trasferite a Kamala Harris (perché come vicepresidente era già nel ticket di Biden, anche se Trump ha già fatto ricorso su questo), essendo in ballo centinaia di migliaia di dollari a nome Biden-Harris, è difficile trasferirle a un’altra terza persona. Inoltre un altro problema interno al Partito democratico è il fatto che: se dopo meno di quattro anni si vuole cercare di vincere le elezioni contro un vecchio candidato come Trump, e però il presidente (Biden) si è ritirato dopo aver fatto una figura barbina, la vicepresidente in carica con lui da oltre tre anni e mezzo non si può “togliere di mezzo” così facilmente, mettendo una terza persona tre mesi prima delle elezioni. Darebbe un senso di debolezza che in questo momento i democratici non si possono permettere.
A proposito dei finanziamenti: è possibile che proprio i finanziamenti siano tra le cause che hanno portato Biden a ritirarsi? Diversi personaggi famosi e sostenitori storici dei democratici, come per esempio George Clooney, avevano detto che non avrebbero più sostenuto e finanziato il partito se Biden non si fosse ritirato, mentre dall’altra parte abbiamo visto Elon Musk promettere 45 milioni di dollari al mese alla campagna di Trump
È un po’ tutto un insieme di cause. La campagna elettorale per la presidenza degli Stati Uniti non si fa senza centinaia di milioni di dollari; quindi, è ovvio che se le donazioni rallentano ancor prima di entrare nel vivo, diventi un problema. Poi penso che Biden fosse veramente sotto grande pressione da parte di tutti, ci sono stati personaggi di Hollywood come George Clooney, personalità influenti all'interno del Partito democratico, che gli hanno messo pressione per fargli fare un passo indietro. Anche lo stesso Obama ad un certo punto si era mostrato abbastanza tiepido nei confronti della sua ricandidatura, per non parlare di Nancy Pelosi. La scelta era quasi ovvia perché l'abbiamo visto a più riprese, non soltanto in dibattito, ma anche quando ha scambiato Zelensky con Putin. Ha fatto un errore dietro l'altro, strafalcioni che hanno mostrato un Presidente affaticato, anziano e che perde colpi. È chiaro che le donazioni sono fondamentali perché non si può fare nessuna campagna elettorale senza e se si sfilano i donatori, significa che neanche quelli che mettono i soldi ci credono più e quindi non ci sono chance di vincere.
Cosa pensi invece dell'attentato a Donald Trump? C’è stata anche una critica molto aspra al Secret Service e alla malagestione, in particolare di alcune donne, fra cui la direttrice Kimberley Cheatle che si è dimessa
Alla fine Kimberley Cheatle si è presa la responsabilità e si è dovuta dimettere, ma è chiaro che c’è qualcosa di molto strano in tutta la vicenda, perché dai video che sono emersi dopo l’attentato, si è visto che c'era una persona sul tetto, ben in vista, prima dell'inizio del comizio. Gli hanno fatto delle foto, dei video, l'hanno visto diversi passanti e se non lo ha visto la sicurezza, sicuramente è indice di scarsa attenzione. Qualcuno ha addirittura suggerito che Trump se lo fosse organizzato da solo, ma insomma, l’attentatore sembrava un tiratore scelto, che veramente rischiava di prenderlo e farlo fuori. Se uno può mettere in scena un tentativo di attentato o comunque di assassinio, dev’essere sicuro che effettivamente poi non venga veramente ammazzato, comunque gli hanno sparato a un orecchio. È chiaro che in questa campagna elettorale è tutto assurdo. Stiamo vedendo cose che non pensavamo che avremmo mai visto. Con Trump e con la politica americana negli ultimi anni è come Super Mario, sembra sempre di andare al livello successivo: non pensavamo mai di vedere quello che abbiamo visto a gennaio 2021 a Capitol Hill, ma l'abbiamo visto; non pensavamo che Trump sarebbe mai tornato, ed è ritornato; non è mai successo che un candidato presidente si ritirasse, ma si è dovuto ritirare dopo la figura barbina che ha fatto; poi l’attentato. Tutto questo fa capire quanto - al di là dei servizi segreti e di chi sia la responsabilità del singolo episodio - il Paese sia diviso e a quale livello di polarizzazione siano arrivati. C’è una profonda crisi democratica e politica, perché per salire su un tetto un ragazzo di 20 anni e provare a sparare e Trump, vuol dire che il livello di scontro è altissimo.
Spostandoci invece in Europa: recentemente è stata rieletta Ursula von der Leyen come presidente della Commissione europea. Quanto era scontata la sua rielezione o quanto è stata una sorpresa? Si ha avuto un po’ la sensazione che non ci fossero altre figure di rilievo e carismatiche, in grado di prenderne il posto
Diciamo che è una sorpresa nella misura in cui è stata una sorpresa la debacle di Macron in Francia e le elezioni anticipate francesi, perché chi non voleva la riconferma di Ursula von der Leyen era in primis Macron. Se Macron fosse stato ancora un presidente forte e se il suo partito avesse avuto un risultato diverso, non so se effettivamente la strada di von der Leyen sarebbe stata così spianata. Sicuramente i risultati delle elezioni europee ci dicono che rispetto agli ultimi 5 anni, i cittadini di importanti Paesi europei chiedono un cambio di passo e purtroppo sarà molto difficile per Ursula von der Leyen, perché comunque lei ha fatto del Green Deal e di alcune politiche la sua bandiera e penso che proprio su quelle politiche adesso dovrà fare marcia indietro. Quindi la rielezione è stata una sorpresa perché da presidente uscente, lei non era così forte. Poi ci sono ancora dei dossier su cui non si è trovata una vera quadra e non sono dossier di poco conto.
Infatti oltre al Green Deal si è parlato anche della questione dei vaccini per cui Ursula von der Leyen è stata indagata per la poca trasparenza dei contratti e condannata dalla Corte Ue
Per la poca trasparenza dei vaccini, caliamo un velo pietoso. Lì non è una questione politica, ma è una questione della Corte Ue. Però rispetto alle questioni politiche invece, c’è anche quella dell’immigrazione. Comunque, lei aveva dei problemi che sono sempre gli stessi da anni, legislatura dopo legislatura, e si fanno sempre più grandi. La spinta che abbiamo dato alla transizione ecologica in Europa e il modo in cui l’abbiamo fatto, attraverso il Green Deal, per le singole economie nazionali e le economie europee non è così sostenibile, né realizzabile. E questo assieme al Recovery Fund erano le bandiere della Commissione europea passata. D’altra parte, l’exploit di alcuni partiti euroscettici, nazionalisti, conservatori e contro il Green Deal ci dice che effettivamente i cittadini europei non lo condividono, quindi bisogna rallentare e rivedere. Lo ha detto anche Manfred Weber, capogruppo del partito di Ursula von der Leyen, il Ppe. Quindi lei sì, inizia una nuova presidenza, ma perché non c’era un altro candidato forte. Macron ne è uscito indebolito, Scholz anche. Lei era l’unica candidata pronta a servire. Non una candidata forte, un po' come Kamala Harris, ma per ragioni diverse. Però diciamo che è un'epoca dove vediamo donne dove non le avevamo mai viste. Nel Regno Unito, per esempio, c’è una legittimazione popolare importante: la prima ministra delle finanze, Rachel Reeves, che forse è l’unica che sta lì perché il suo partito è uscito molto bene dalle elezioni britanniche, dato che sono passati dai Conservatori ai Laburisti dopo 14 anni. Ci sono tante donne in posizioni apicali che comunque stanno svolgendo ruoli che non abbiamo mai visto svolgere a donne: la stessa Kamala Harris da vicepresidente, improvvisamente diventa la candidata presidente. Non necessariamente è la soluzione migliore, ma lo è nella condizione data.
A proposito di donne in politica e di Unione Europea: fra maggio e giugno, nei mesi delle elezioni europee, abbiamo visto la vittoria di Fratelli d’Italia. Giorgia Meloni era finita sulla copertina di The Economist; tutte le testate internazionali parlavano di lei, addirittura era stata definita dai più come “la nuova donna forte d’Europa”, persino “la regina d’Europa” secondo il The Times. Peccato che poi non sia andata esattamente così, nel senso che non solo non è nel partito di maggioranza in Ue, ma sembra che ora abbia un impatto decisamente minoritario. Anche alcuni suoi storici alleati hanno preferito l’alleanza dei Patrioti per l’Europa di Orban. In questo scenario il suo impatto internazionale è diventato marginale?
È troppo presto per dirlo e secondo me una volta che sarà formata la Commissione, capiremo quale commissario avrà l'Italia e come si svolgeranno le cose. Nei prossimi mesi avremo un quadro più chiaro. Anche la questione delle elezioni americane non è secondaria, perché comunque se dovesse vincere Trump, penso che Giorgia Meloni potrebbe comunque giocare un ruolo di ponte tra gli Stati Uniti e l'Europa. Un ruolo che non può sicuramente svolgere Orban, che se ne è andato a trovare Putin qualche settimana fa. Quindi dipende da come cambierà lo scenario internazionale. Lei negli ultimi mesi ha corteggiato Ursula von der Leyen e la von der Leyen l’ha corteggiata a sua volta, sperando che potesse appoggiare la sua ricandidatura, ma alla fine non l'ha fatto. Aveva stretto un rapporto abbastanza buono con Rishi Sunak, ma i Conservatori in Gran Bretagna hanno perso. Però ha un ottimo rapporto col Partito repubblicano negli Stati Uniti. Comunque nei suoi primi due anni di presidenza del Consiglio, Giorgia Meloni a livello internazionale si è mossa bene, perché non ha fatto tutto quello che ci si aspettava potesse fare: non ha tirato troppo la corda, si è allineata abbastanza con i partner europei, anche con i rappresentanti di Paesi politicamente lontani da lei; è rimasta ancorata alla Nato e al blocco occidentale. Non ha fatto i passi che abbiamo visto fare a Orban. Due anni fa subito dopo l’elezione si era detto “Chissà cosa farà la Meloni”, quanto spaventerà l’Europa e i partner internazionali, il blocco occidentale, era alleata di Orban, della Polonia. Poi alla fine non è successo un bel niente. Anzi, penso che quelle copertine su riviste e quotidiani siano frutto delle aspettative che erano talmente basse, che avendo fatto meglio, essendo rimasta nel cerchio tracciato da Draghi, allora sembra abbia fatto un exploit. Adesso la cautela però è d’obbligo, troppo presto per fare dei bilanci, ma si è presentata meglio di quello che si aspettava.
Svoltando invece a sinistra: un’altra donna in politica in Italia è Elly Schlein. Da quando è all’opposizione è stata molto criticata per la sua comunicazione, in passato è stata definita poco chiara, soprattutto nei primi mesi. Invece, in quest’ultimo periodo forse è un po' migliorata, anche visto che ha ottenuto un 23-24% alle elezioni europee. Secondo te in futuro potrebbe sperare di battere la destra di Meloni?
Diciamo che per come sono andate le europee, c'è una ripresa del PD, che all'inizio non ci si aspettava. Il Partito democratico è sicuramente un partito complicato, perché poi, al di là di tutto, quando dicono che “non ci sono differenze interne”, invece... Ci sono eccome. Lei che arriva come segretaria donna, giovane, che cerca di fare un repulisti su alcune cose, ma che su altre forse non era preparata, comunque ha un ruolo molto importante, quindi forse all'inizio si è mossa male, con timidezza. Adesso dipende che tipo di battaglia vorrà giocare anche lei. Bisogna capire se effettivamente il campo largo esisterà o no, ma secondo me è difficile. Il PD da solo non vincerebbe, bisogna capire che fare con tutti i “pezzettini” che si sono persi per strada, tipo Renzi e Calenda. I 5 Stelle non sono ancora morti, anche se si sono ridimensionati, ma non mi sembra abbiano alcun interesse a rafforzare l’alleanza col PD. Secondo me, al di là di tutto, Elly Schlein, che può piacere o meno, sta evidentemente facendo bene, almeno se giudichiamo i risultati alle europee. Bisogna capire poi tutti gli uomini che ha intorno, Calenda, Renzi e Conte che fanno le “prime donne”, se continuano a litigare così, l’Italia si terrà un governo di destra per prossimi vent’anni. Non perché farà bene, ma perché manca un’alternativa di governo plausibile.
Abbiamo visto l’alleanza sul campo da calcio, nella ormai famosa foto di Schlein con Renzi
Sì, ma non so se quello sia l'alleato più forte o l'alleato di cui ha veramente bisogno Elly Schlein. Penso di no. Però bisognerà capire effettivamente quanto sarà unita la sinistra e quanto si metteranno da parte i personalismi. In questo la destra si è sempre comportata in maniera molto più strategica e intelligente, anche perché non è che Forza Italia, Lega e Fratelli d'Italia siano lo stesso partito o la vedano esattamente allo stesso modo.
Anzi sono in tre gruppi diversi in Unione Europea che è strana come cosa, essendo insieme al governo
Però se devono andare al governo sono più strategici, non fanno le questioni che hanno fatto a sinistra e che non hanno portato a nulla. La sinistra deve iniziare a fare la sinistra. Se ci si perde ancora in una sinistra che va più verso il centro, se si dimenticano le istanze originarie dei partiti di sinistra, è chiaro che non c'è speranza. Non serve un altro partito di centro. Il PD non dev’essere il partito liberale di centro, quasi di centrodestra, che devono votare gli imprenditori o quelli che stanno all'interno della Ztl di Roma o l'area C di Milano. Dev’essere il partito dei lavoratori, delle persone che veramente hanno problemi ad arrivare a fine mese, che non vedono i salari crescere da anni o che fanno la lotta ogni giorno, che vanno al supermercato col carrello della spesa… Dev’ essere quello, se è un'altra cosa, allora difficilmente vincerà.
A proposito dei 5 Stelle: alle elezioni europee hanno preso solo il 9-10% e ora Conte sembra un po’ “sparito” dalle scene. È vero che una volta avete discusso e ti ha dato della “fautrice del governo Draghi”?
Sì, c’era stato un battibecco televisivo, mi sembra durante la campagna elettorale per le elezioni di settembre 2022. Gli ho fatto una domanda e mi ha risposto dicendo che io non capivo, perché ero stata “fautrice del governo Draghi”. C’erano stati anche dei post proprio del Movimento 5 Stelle online e mi erano arrivati una valanga di insulti. Per fortuna ho rimosso.
Insulti direttamente da parte del partito?
Sì. Io e Conte non abbiamo mai avuto un grande rapporto perché anni fa avevo scritto un articolo sul suo concorso universitario. Lui appena diventato Presidente del Consiglio aveva deciso di partecipare a un concorso universitario per diventare ordinario di diritto privato. La cattedra era del suo mentore, però non poteva farlo in quanto Presidente del Consiglio. Quindi, prima ho rivelato che avrebbe partecipato al concorso, costringendolo a dichiarare che non avrebbe più partecipato; poi però aveva detto che si era ritirato e che aveva rinunciato alla cattedra, ma in realtà aveva solo chiesto il rinvio, quindi gli avrebbero praticamente congelato la cattedra. Io avevo parlato anche di questo e alla fine fu costretto a rinunciare alla cattedra, che andò a un’altra persona. Questo è stato un po' come è iniziato il nostro rapporto di me giornalista, all’epoca di Politico Europe e lui Presidente del Consiglio. Quindi non è iniziata benissimo. Poi avevo scritto degli articoli anche su alcune questioni riguardanti Di Maio, quindi i 5 Stelle non mi avevano in particolare simpatia. Ormai è superata, sono passati anni, ma prima avevo una valanga di leoni da tastiera a insultarmi. Io facevo un tweet e avevo centinaia di commenti con insulti e minacce di morte da loro e dai loro bot.
Da bot pro 5 Stelle?
Certo. Era diventato quasi un divertimento, perché chiaramente facevo tweet provocatori, mi insultavano, poi si metteva in mezzo Dagospia, con risposte pubbliche, un battibecco continuo. Però sono passati anni e ci siamo ormai dimenticati.
Visto che come giornalista segui molto la politica, secondo te è difficile essere una donna che si occupa di questi temi oggi? Ci sono ancora dei pregiudizi?
Ora al Financial Times mi occupo più di questioni economiche e in quell’ambiente sono veramente tutti maschi. Per quanto riguarda la politica, adesso abbiamo tante donne, tante giornaliste, donne bravissime, che vivono di politica, che hanno ruoli importanti, e anche firme importanti. Quindi paradossalmente in politica adesso è un po' più facile. Nel giornalismo economico siamo ancora molte meno, e me ne rendo conto, per esempio, sul palco di qualche conferenza, quando sono l’unica donna e gli altri sono uomini molto più vecchi. Si parte sempre con un po’ di pregiudizio, magari nei confronti di una donna giovane che si occupa di temi che, nell'immaginario collettivo, di solito non vengono associati alle donne. Poi però si supera abbastanza in fretta. Poi anche da parte delle persone che intervisto o quando scrivo sul Financial Times, mi confronto con l’estero, dove ci sono tante altre donne e vedo che sta passando anche questa distanza tematica.
Secondo te non si va in contro a maggiori difficoltà?
Forse per le donne rimane un po’ più difficile lavorare in alcuni ambienti prettamente maschili, soprattutto se si è madri. Io ho due bambini e per il mio lavoro però, per farlo veramente bene, dovrei restare connessa 24 ore su 24, ma non me lo posso permettere. Quindi ci sono volte in cui devo dire di no, perché magari sono a casa da sola con i bambini. Più che difficoltà legate ai temi, secondo me, ci sono ancora dei limiti oggettivi e logistici, che nel mio caso sono dovuti al fatto di essere madre, e a volte è difficile conciliare tutto. Questo però non vale solo nel giornalismo, ma in tutte le professioni. A un certo punto devi fare delle scelte, non si può fare tutto alla perfezione. Devi lasciare andare indietro qualcosa. È un messaggio sbagliato quello di far credere alle ragazze giovani che si può fare tutto e tutto alla perfezione senza mollare mai di un colpo. Non è vero, perché qualcosa devi lasciar andare, su qualcosa devi delegare e su qualcosa la perfezione non la raggiungerai mai. Se vuoi essere perfetto sul lavoro, purtroppo lascerai indietro la vita personale, ma non per forza in senso negativo. Non significa essere meno brava come mamma, però purtroppo le giornate hanno sempre solo 24 ore, non è possibile sdoppiarsi.
A proposito del tuo lavoro in tv invece: ti abbiamo vista varie volte su La7, alla Maratona di Enrico Mentana. Com’è lavorare con uno come lui?
Quando mi capita di andare alla Maratona, è sempre molto divertente. Poi vedi Mentana che sta lì per 24 ore di fila, senza andare a dormire, powered by Coca-Cola.
Quindi è vero che non va mai a dormire?
Certo che è vero. Ma nemmeno tra le tre e le quattro, quando l'audience è vicino allo zero. Non è che magari si stende su una brandina a dormire, no! Va avanti per 24 ore, beve Coca-Cola a gogo, si tiene sveglio. È una cosa impressionante per tutti noi. Anche l’ultima volta a giugno, a un certo punto quando sono esauriti gli argomenti e quando si aspettano i risultati decisivi, di notte, sappiamo che anche i telespettatori sono andati a dormire, nessuno ti guarda e praticamente ti parli addosso, non dici niente di nuovo. Ma lui va avanti. Ha sempre qualcosa di interessante da dire, riesce a portare avanti la trasmissione, riesce ad avere ospiti nel cuore della notte e se per qualche ora non c’è nessuno, va anche avanti lui da solo con i suoi inviati e i suoi collegamenti. Quindi lavorare con lui è una grande scuola ed è anche difficile, perché immagino che quando hai uno standard così, anche a livello di dedizione al lavoro e di impegno, l'asticella è molto alta. Io vado solo da ospite alla Maratona, ma è interessante vedere quella macchina prendere vita, il dietro le quinte, tra redattori, regia, c’è un grosso lavoro, un’enorme squadra in cui però lui, Mentana, fa questa cosa che è particolare. Noi andiamo a dormire qualche ora, torniamo il giorno dopo e lui è ancora lì con la Coca-Cola in mano.