Nessun ripensamento: Jeremy Clarkson, James May e Richard Hammond si diranno addio. La notizia ha fatto scendere le lacrime a molti appassionati, ma per i pianti veri bisognerà aspettare almeno fino al tredici settembre, quando Amazon Prime Video pubblicherà l’ultimo episodio di The Grand Tour, mettendo definitivamente la parola fine sull’iconico trio della televisione inglese, insieme ormai da oltre vent’anni. Una decisione per cui sembra non esserci alcun passo indietro; tant’è che sulle pagine del quotidiano d’oltre manica The Sunday Times, è arrivato il commovente addio dei protagonisti, un articolo, scritto proprio dai presentatori, un pozzo di ricordi, verità, confessioni e tanto altro ancora, sul loro percorso umano e televisivo. Tutto è iniziato con Top Gear, ma adesso, scrive Jezza, “sto mollando, perché sono troppo vecchio e grasso per salire sulle auto che mi piacciono e non mi interessa guidare auto che non mi piacciono. Ciò significa ovviamente che la mia partnership di ventidue anni con James May e Richard Hammond è ormai finita”. Comunque sia, Jeremy si dice contento di questa conclusione, e ripensa alla sua carriera. I primi anni difficili di Top Gear insieme “a quel ragazzino con i capelli a scodella” (e cioè May), e poi il ritorno che pian piano si è trasformato in un cammino trionfale, questa volta con il terzetto al completo. Il momento più importante? “Nel settembre 2006 – continua Clarkson –, all’aeroporto di Elvington nello Yorkshire, Richard cominciò un nuovo hobby: andare a testa in giù mentre guidava un’auto a velocità estreme […] L’avevano tirato fuori dalla macchina e aveva cercato di registrare un pezzo con la telecamera, ma poi uno della troupe si è accorto che i suoi occhi non puntavano nella stessa direzione, e lo hanno portato di corsa all’ospedale. Mi sono svegliato la mattina dopo – continua il racconto di Jezza –, ho acceso la tv e non riuscito a credere a ciò che sentivo: Richard Hammond era in condizioni critiche […] Forse non sarebbe sopravvissuto, e in caso contrario sarebbe potuto essere un vegetale sbavante. Ci sono voluti sei mesi prima che tornasse a lavoro”. Risultato? “La sua memoria è andata, ma il suo incidente epico ha spinto Top Gear al centro del palco e poi, con un gran clamore, nella buca dell’orchestra”…
Insomma, è proprio da quel quasi tragico momento che ha preso il via il grande successo del programma, a cui sono seguite poi le puntate speciali e gli eventi dal vivo. Eppure, Clarkson ha ancora qualche sassolino nella scarpa: “Eravamo solo dei ragazzini cattivi che cercavano di infastidire i nostri capi della Bbc di sinistra. Che per noi erano come degli insegnanti […] Dietro la cattiveria da liceali, però, Top Gear era un programma ben fatto […] E poi è arrivata Amazon”. Dopo il licenziamento dalla tv, il trio è sbarcato sulla piattaforma streaming con The Grand Tour, “e abbiamo ricominciato tutto da capo”. I momenti migliori della serie? “Ero appena stato in vacanza in Botswana – scrive ancora Jeremy –, dove qualcuno mi aveva detto che nessuno aveva mai attraversato in auto le saline di Makgadikgadi. Quindi abbiamo comprato una Opel, una Lancia e una Mercede e abbiamo fatto questo […] Ma ce ne sono altri che ricordo con affetto. Cercare la sorgente del Nilo, è uno di questi. Anche guidare attraverso Iraq, Turchia, Siria, Giordania e Israele per trovare il luogo in cui è nato Gesù”. E poi ammette: “È stato triste quando il regista ha detto ‘stop’ per l’ultima volta? Sì lo è stato. Soprattutto perché alcuni membri della troupe sono sempre stati con noi […] Abbiamo avuto le stesse squadre di tecnici per anni. Siamo cresciuti tutti insieme. Abbiamo campeggiato insieme. Abbiamo riso insieme […] Richard e James mi mancheranno? Non proprio. Posso vederli quando voglio. Ciò che mi mancherà è l’emozione di strisciare in una città come Harare o La Paz o Hanoi alle tre del mattino in un’auto senza fari, con una marcia e solo tre ruote. Non avrei mai pensato di poter avere un lavoro che mi avrebbe permesso di fare cose del genere. Non c’era un lavoro come questo. Lo abbiamo inventato noi. E spero – conclude Clarkson – che chiunque ci sostituisca si renda conto che, anche se si ammaleranno di diverse malattie, saranno arrestati e malmenati fino a diventare un livido ambulante, saranno le persone più fortunate del mondo”.
Per May e Hammond, invece, in questo momento a prevalere sembra essere l’emozione della fine. Per James, che si è detto fortunato di aver vissuto certe avventure, quella dei suoi due collaboratori “è stata una buona compagnia, quello che in altri settori lavorativi chiamerebbero un ‘ambiente di lavoro stimolante’. Ci diamo sui nervi a vicenda, ma non siamo i Fleetwood Mac e, ora che non abbiamo l’impegno del lavoro in comune, ogni tanto potremmo anche socializzare”. Anche lui ha rivelato i suoi momenti migliori, come “vedere il numero magico di 400 km/h apparire sul cruscotto della Bugatti Veyron” e “il sollievo di scoprire che Hammond non fosse morto”. In molti in questi ultimi giorni si saranno chiesti se davvero tutto ciò deve finire, beh risponde May: “Deve […] grazie per aver guardato”. L’ultima parola, però, almeno nell’articolo pubblicato sul The Daily Mail, spetta a Hammond: “Non si dice addio a tutto questo alla leggera. Forse dobbiamo solamente assaporarne la tristezza. Io l’ho fatto nell’ultimo episodio di The Grand Tour […] Sono stato molto fortunato di aver preso parte a tutte queste avventure”.