Volkswagen saluta il Belgio e se ne va? Altro segnale di crisi per il marchio tedesco. Il gruppo Vw, infatti, non sta trovando un acquirente per lo stabilimento Audi vicino Bruxelles (a Forest). Si tratta di una fabbrica di soli suv elettrici, costosi e poco vicini alla domanda reale del mercato. Per questo la chiusura, in assenza di vendita, potrebbe trasformarsi in un segnale diretto contro la strategia di transizione imposta dall’Ue. È solo questo? Forse no, ma sicuramente contribuisce. Di certo lo stabilimento Audi potrà essere utilizzato solo per fabbricare auto elettriche poiché per un po’ la fabbrica rimarrà così com’è e non sono stati pubblicati progetti alternativi. Comprare il complesso a Forest, dunque, vorrebbe dire comprare la possibilità di produrre bev. Eppure, c’è titubanza. Con una conseguenza spiacevole ma prevedibile, il licenziamento di circa tremila dipendenti, almeno stando all’opinione di Ronny Liedts, come riporta La Verità, negoziatore del sindacato Acv-Csc. Ennesimo disastro – annunciato? – che accompagnerà l’ampliamento delle perdite di un altro produttore, stavolta statunitense, Lucid group, specializzato sempre in auto green.
Sembra si sia avverata la profezia di Jeremy Clarkson, che a settembre aveva preconizzato la fine di Vw senza girarci troppo intorno: “La Volkswagen è fottuta. Ci sono un sacco di lavori che non vorrei. Scalpellare i fatberg dai tunnel fognari sotto Londra. Fare soccorso in montagna nei Cairngorms. Giocare a golf a livello professionistico. Ma il lavoro che non vorrei più di tutti, in questo momento, è dirigere la Volkswagen. Perché tutto quello che poteva andare storto è andato storto. E non sembra esserci un modo semplice per migliorare di nuovo tutto. Il problema è iniziato quando ogni politico in Europa ha deciso che il cambiamento climatico sarebbe stato fermato solo se le classi medie fossero state convinte a guidare auto elettriche. Così hanno annunciato tutti che dal 2030 sarebbe stato illegale vendere auto con motori a benzina o diesel. E per far partire la palla Nigel e Annabel e tutti gli altri early adopter avrebbero ricevuto generosi sussidi governativi”. Complice, ovviamente, anche la concorrenza della Cina, in anticipo di vent’anni sui marchi europei e che adesso intimorisce anche Tavares e Stellantis, che teme di dover cedere, insieme agli altri gruppi del continente, una buona quota di fabbriche proprio a Pechino.