Jeremy Clarkson, con la sua scrittura caustica e la capacità di trasformare il surreale in argomentazione, affronta l’ultima bizzarria politica di Donald Trump: annessione del Canada, controllo della Groenlandia, rinomina della Luna in Amerimoon. E lo fa, come sempre, ribaltando prospettive: "Perché ci sorprende? I confini del mondo non sono mai stati scolpiti nella pietra."
Confini mobili: dal Tevere a Gengis Khan
Clarkson ci porta indietro nel tempo, dimostrando come la geopolitica sia sempre stata fluida: "Nel XII secolo, la Mongolia – scrive su The Times – era divisa in feudi tribali. Poi arrivò Gengis Khan, che decise che il suo feudo doveva essere più grande di quattro miglia quadrate. Usando archi, frecce e un telegrafo a cavallo, creò un impero che si estendeva dal Mar Giallo al Danubio."
E l’Italia? "La Repubblica Romana era poco più di un accampamento sul Tevere," scrive. "Ma in pochi secoli dava la caccia a Gesù bambino a Est, combatteva i Pitti a nord e dominava il Nord Africa."
Clarkson ironizza su come, persino nel XX secolo, i confini fossero tutt’altro che definitivi: "La Giordania, per esempio, fu disegnata attorno al bicchiere di whisky di Winston Churchill posato sulla mappa."
La Groenlandia e il fascino della Maserati
L’idea di Trump di acquisire la Groenlandia non sembra affatto assurda a Clarkson. "Fu nella vita di mio nonno che gli Stati Uniti comprarono l’Alaska dai russi per soli 7,2 milioni di dollari. E nel 1959 decisero che quelle graziose isole nel Pacifico erano loro, trasformandole nel 50° stato."
I danesi, secondo Clarkson, potrebbero non essere così contrari alla vendita: "La Groenlandia costa alla Danimarca circa 430 milioni di sterline all’anno e in cambio ricevono 60 granchi e due sacchi di peli d’animale."
E gli Inuit? "Dicono di non voler vendere, come i locali di Local Hero con l’azienda petrolifera americana. Ma se gli si chiede: preferite una Rolls-Royce o una Maserati per trasportare i vostri rams e le scatole di sgombri? Cambieranno idea in fretta."
Affari, non carri armati
Clarkson sottolinea come l’idea di "comprare" invece che conquistare potrebbe risolvere molti conflitti. "Se Putin avesse offerto di comprare l’Ucraina dell’est invece di invaderla, Zelensky avrebbe potuto dire di sì e molte sofferenze sarebbero state evitate."
E aggiunge: "La Cina non invade l’Africa con i tank, ma con gli yuan. Ed è per questo che possiede così tanto di quel continente."
Un mercato globale delle nazioni?
Clarkson conclude con una provocazione degna di un romanzo distopico: "Forse il mondo ha bisogno di una finestra di trasferimento annuale, dove i paesi possano offrire di acquistare territori. La gente decide, e se è un sì, si chiude l’affare."
E, con il suo inconfondibile umorismo, si congeda: "Qualcuno vuole comprare la Gran Bretagna? Chiunque sia, ha il mio voto."
Un articolo che, tra sarcasmo e riflessioni pungenti, sfida l’idea di confini intoccabili e propone una visione tanto irriverente quanto profondamente stimolante: siamo davvero pronti a discutere di confini come beni negoziabili?