Ho provato a immaginare in che modo un artista, meglio se scultore, della più estenuata pop art, potrebbe plasticamente riassumere attraverso un’opera, manufatto da installare nello spazio urbano, visibile a tutti come totem, i significanti assoluti della nostra estate declinante. Un’opera carica di segni del presente, solo in apparenza irrilevanti, presenze mediatiche mostruose insistenti; pervasive, oserei addirittura dire. Alla fine, ritengo di avere trovato l’immagine, l’oggetto, il “corpo” più evidenti di questa nostra stagione infuocata che sembra a fatica allontanarsi, come a far riverberare la canzone di Michel Fugain, tradotta in Italia da Franco Califano, “Un belle histoire”, “Un’estate fa”. In verità, negli occhi si sono fissate più di una “figura”, e lo dico nell’accezione semiologica. Granchio blu e scontrini.
Per semplificare visivamente la riflessione e la sua possibile traduzione in arredo urbano, invito tutti a fare ritorno alle opere di Claes Oldenburg, maestro, appunto della pop art, cui, fra molto altro dobbiamo la trasformazione ciclopica di una molletta da bucato in presenza monumentale a Philadelphia, negli Usa, o ancora un non meno evidente cono gelato spiaccicato in cima al tetto dell'Neumarkt Galerie di Colonia, Germania. Oppure, restando nel nostro Paese, ago e filo conficcati nelle aiuole milanesi di piazza Cadorna.
Per completezza metaforica riferibile alla post-modernità si sappia pure che il cono è precipitato giù dalla costruzione nel quale era stato alloggiato.
Il granchio blu, storia teratologicamente a tutti ormai nota, si è d’improvviso imposto, al pari della creatura mostruosa marina che appare nel finale della “Dolce vita” sulla spiaggia di Focene, come ulteriore contemporanea minaccia residente nei fondali. Ora grazie alla sua voracità che fa strage e strame di mitili e d’ogni altro frutto non meno marino. Presentato quasi come una sorta di Godzilla degli abissi, degno di un’illustrazione di Virgil Finlay, così in ossequio alla sempre più pervasiva narrativa fantasy, temibile al punto di prospettare la progressiva cancellazione d’ogni altra possibile fauna sommersa.
Per esorcizzarne la pericolosità, qualcuno, a un certo punto, non meno crudelmente, ha ritenuto, a dispetto di tutto, di dichiararlo, sì, pericolo pubblico balneare, ma al contempo doverosamente commestibile, suggerendo in questo modo la non meno oscena prassi dei gatti, se non dei ratti stessi, cucinati in tempo di guerra per necessità, per fabbisogno, per fame.
Una figura eminente del Palazzo repubblicano in una foto lo ha mostrato perfino, pronto per raggiungere le nostre tavole, negli stessi istanti accadeva che un ministro (lo stesso che ha pubblicato la foto) sostenesse che “i poveri molto spesso mangiano assai meglio dei ricchi”.
Il granchio blu, se non fosse per certe venature cromatiche presenti sulle chele, potrebbe essere scambiato per i suoi colleghi da sempre ritenuti appetibili. Nonostante, va detto, la colorazione rimandi alla timbrica minacciosa del solfato di rame. Dunque, la creatura sembra ora affiancarsi nella mitologia delle consumazioni acquisite a kiwi, mango, papaya, così fino all’ossessione del caffè corretto al ginseng; menu fantasmatici del tempo che stiamo vivendo.
L’altra immagine che ci ha appena accompagnato, appartenente altrettanto al mondo sia pure figurato dell’alimentazione, se non della ristorazione, è nello scontrino. Un minuscolo foglietto di carta generato da un ricevitore di cassa. Molto più piccolo dei misteriosi cartigli che Antonello da Messina mostra sospesi nelle sue tavole. Lo scontrino come segno dell’irredimibilità del libero mercato, della concorrenza, dell’inutilità di ogni possibile calmiere dei prezzi, arbitrio e sopratassa, furto e in definitiva espressione minuscola e insieme massima dell’amoralità capitalistica con i suoi dehors in alta stagione turistica. Ci sarebbe anche la storia del tramezzino tagliato a metà che fa levitare il costo, ma credo rientri in senso figurato nello scontrino stesso.
Lo scontrino che si fa prova provata appunto della truffa legalizzata, che quasi sembra di vederli vorticare come rondini nel cielo del Paese in vacanza, tra Palio di Siena e Colosseo, ombrelloni e lettini, campanili, chiese, basiliche, abetaie, le Alpi e l’Appennino stessi…
O forse anche i tappi di plastica che d’improvviso suscitano stupore al momento del primo sorso, tappi che non si staccano, rimasti attaccati come un frenulo pervicacemente al collo della bottiglia.
Proprio ieri pensavo di dedicare loro un post sui social, se non addirittura un video piccato, finché, questa mattina, consultando Dagospia mi accorgo che si tratta di una pratica misura imposta dalle direttive europee, voluta giustamente per evitare che inquinino finendo nel mare allo stesso modo degli struggenti antichi legnetti dei cremini santificati addirittura da Claudio Baglioni in una canzone di sentimento altrettanto estivo-sentimentale.
In definitiva, pensandoci bene, la scultura da realizzare dovrebbe essere frutto di uno spareggio plebiscitario tra granchio blu, scontrino e proprio quel tappo che resta lì a penzolare, inciampo per le labbra del bevitore che vorrebbe soltanto dissetarsi; segno della comune nostra disperazione, impossibilità di distaccarci dal peso del presente, ciò che invece viene consentito perfino ai moduli dei razzi vettori tra primo, secondo e terzo stadio
Quasi non dovesse bastare il crostaceo già menzionato, si sappia ancora che un'altra “specie aliena” minaccia le acque della Toscana. A vederla, leggo, “sembra una normale chiocciola, in realtà è un mollusco non autoctono che può essere nocivo se ingerito. Si tratta della Sinotaia quadrata, la cui presenza è stata accertata già nel 2017 ma che sembra proliferare tra l'Empolese e la Piana Fiorentina”.
Un’estate fa la storia del granchio blu, degli scontrini, del tappo che non si stacca e…