Finito l’Eurovision 2022, rimane il problema dei volontari nei grandi eventi.
In questi giorni molte testate d’informazione s’involano in analisi entusiastiche sul successo dell’Eurovision 2022, sulle importanti ricadute economiche e su quelle in termini d’immagine per la città di Torino.
Al netto degli aspetti positivi, che innegabilmente ci sono stati, diverse voci fuori dal coro hanno lamentato dei problemi non da poco nell’organizzazione dell’evento. Tra questi, la gestione dei volontari è stata forse una delle questioni più spinose.
Si tratta di un tema quantomai attuale, e che va ben oltre l’Eurovision 2022, poiché tocca tutti i grandi eventi a Torino ed in Italia. Proprio per questo motivo associazioni di categoria, sindacati ed alcuni pezzi della politica chiedono una soluzione che metta ordine al settore.
Con questo articolo non intendiamo demonizzare l’Eurovision, bensì andare oltre le luci sfavillanti e gli abiti glitterati, il turquoise carpet e la vip lounge per arrivare alle voci di chi questo Eurovision l’ha vissuto in prima linea, ovvero i volontari.
Sulla questione le polemiche sono iniziate mesi fa, con la pubblicazione del bando sulla pagina del comune di Torino.
«Abbiamo letto il bando e i nostri consulenti del lavoro e legali - riferisce un rappresentante del coordinamento Stage - ci hanno detto che questo bando, come ammesso da alcuni rappresentanti del comune di Torino (L’assessore ai grandi eventi Mimmo Caretta, ndr), era esagerato e faceva intravvedere delle posizioni lavorative e non di volontariato».
Anche i rappresentanti dell’associazione Bauli in piazza hanno espresso fin da subito delle contrarietà all’istituzione di un bando per volontari: «Pochi giorni dopo la pubblicazione della call per i volontari abbiamo scritto al comune di Torino per chiedere dei chiarimenti sul bando. Il comune di Torino non ci rispondeva e abbiamo allargato la platea degli interlocutori per avere delle risposte».
A parlare è Silvia Comand, presidente dell’associazione che si batte per i diritti dei lavoratori dello spettacolo. Ci spiega quali sono, a loro avviso, i problemi principali: «Con una chiamata di 600 volontari per un evento così grosso e importante come l’Eurovision, che in questo momento segna la ripresa degli spettacoli in Italia, si è persa l’occasione per dare un messaggio al comparto in termini di approccio al lavoro di questo settore. Ci saremmo aspettati una chiamata per tutti quei lavoratori che sono rimasti fermi in questi due anni. Il numero così grande di volontari per questo bando ha dato invece un messaggio inverso. Inoltre è stato fatto male perché vengono indicate delle mansioni come l’accoglienza, la gestione dei flussi e i trasporti che non sono proprio adatte a personale volontario, perché richiedono delle specifiche competenze».
La richiesta di chiarimenti delle due associazioni resta inascoltata fino al coinvolgimento di Andrea Russi consigliere comunale del Movimento 5 Stelle che, con non poche difficoltà, riesce ad ottenere un’audizione per i rappresentati di bauli in piazza e coordinamento stage: «La maggioranza ha fatto davvero un ostruzionismo pazzesco contro l’audizione in commissione di queste associazioni. Ci hanno fatto aspettare un mese e mezzo, li hanno fatti venire (i rappresentanti delle associazioni, ndr) in presenza nonostante le regole attuali sul covid consentano il collegamento a distanza. I rappresentanti di bauli in piazza son dovuti venire da Trieste, mentre quello di Coordinamento stage aveva il covid, e abbiamo dovuto cercare una persona qui che fosse affiliata e potesse fare da rappresentante». La questione secondo Russi è “scomoda” per la maggioranza perché «tendenzialmente implica dover pagare dei soldi in più».
Tuttavia, dopo le audizioni e la mozione respinta in commissione cultura, ciò che resta sono proprio i racconti dei volontari.
Questi ragazzi sono tantissimi. In 12mila presentano la domanda e in circa 5mila si ritrovano al parco Ruffini di Torino per un incontro conoscitivo dove avverrà l’assegnazione dei diversi ruoli.
Il primo che intervistiamo è stato assegnato alla press area, e precisa subito che non sono pagati ma «ci hanno dato i biglietti del pullman, i buoni pasto ed un biglietto per una delle tre serate o delle prove». Mettici un selfie con Blanco e Mahmood e il gioco vale la candela insomma.
Come altri in seguito, dice che non si è sentito sfruttato, e che l’esperienza è stata più che positiva sia con i colleghi che con i responsabili.
Le mansioni si differenziano molto in base al team cui si viene assegnati. Nel caso della Press Area queste sono principalmente legate alla gestione degli artisti e dei giornalisti durante le interviste e le conferenze stampa: «Quelli delle delegazioni sono quelli che si stanno facendo più il mazzo ma a livello buono (sic!). Sono quelli che vanno a prendere gli artisti e gli stanno dietro, gli portano da mangiare, li portano agli Hotel etc. Sono quelli che si divertono di più».
In alcune interviste si notava come il mercato del lavoro italiano distorce spesso l’idea di sfruttamento perché, specie i giovani, sono abituati a paghe da fame: «Io ho fatto lo stagista per 300 euro al mese, - racconta un volontario durante la chiamata - ho lavorato in un supermercato per 40 euro a settimana dove mi trattavano malissimo, per me l’Eurovision è proprio una passeggiata».
Il secondo volontario che sentiamo è stato assegnato ad una delle delegazioni straniere. Racconta che studia lingue per il settore turistico, e che partecipare all’Eurovision è stata un’occasione per viversi l’esperienza del festival e fare curriculum.
Spiega quali sono i compiti del delegation host: «Li seguiamo tutto il giorno in base ai loro impegni, facciamo da traduttori, gli spieghiamo dove andare e cosa fare. Siamo il tramite tra gli organizzatori e la delegazione». Racconta che per essere preso nelle delegazioni bisogna prima inviare un video di presentazione parlando in inglese e italiano, ed in seguito superare un vero e proprio colloquio.
Si potrebbe pensare insomma che si tratti di compiti che richiedano competenze specifiche, e che potrebbero essere svolti da lavoratori retribuiti più che da volontari. Tuttavia anche in questo caso l’esperienza del volontario è stata dal suo punto di vista più che positiva: «Sono sempre molto gentili - riferisce -, siamo molto fortunati perché ci stanno trattando veramente con i guanti. È proprio una bella atmosfera che ti fa venire voglia di andare ogni giorno anche se magari dura 10 ore, inizi in tarda mattinata e finisci la sera».
Gli orari non sono ovviamente vincolati, e ognuno dà la propria disponibilità, tuttavia in questo team, così come in altri, capita spesso di sforare volontariamente le sei ore minime per varie necessità degli artisti o dell’organizzazione.
I volontari nel settore audience assistant dovevano invece coprire turni da almeno sei ore, ed il lavoro è sicuramente meno divertente rispetto a stare tutto il giorno con gli artisti. Per quanto riguarda le mansioni, un ragazzo racconta che «fondamentalmente sono mansioni da steward. Ci si occupa di dare indicazioni al pubblico, farli accomodare e “scaldarli” per gli applausi».
È capitato però di svolgere anche compiti da security fuori dal Palalpitour: «All’inizio si gestiscono i flussi di persone - racconta un’altra volontaria dello stesso settore -. Noi siamo il primo contatto che hanno le persone, dopo subentra la security e dopo sempre noi per indirizzare il pubblico all’interno».
Il lavoro di questi volontari è principalmente con il pubblico, quindi se non c’è nessuno c'è poco da fare. Porte aperte alle 19, ma inizio del turno alle 17: «Non fanno più 18-24, fanno 17-24 e infatti noi andiamo lì e a volte dici “ma che cazzo sto facendo qua sotto al sole”». Non consentito poi mangiare durante il turno. Le esperienze cambiano molto in base al team di riferimento ma, secondo le testimonianze, restano sempre positive.
I volontari del Flexible team, invece? Un po’ “l’ultima ruota del carro, se non proprio quella di scorta” come riferisce una volontaria. Un po' dei jolly da utilizzare all’occorrenza per i più svariati compiti: «Non ci è stato dato un ruolo ben definito, ma eravamo lì per fare quello che c’era da fare - racconta una volontaria -. Ad esempio un giorno mi hanno messo davanti ad una porta ad assicurarmi che passasse solo la gente con i badge giusto perché a volte ci tocca fare la stessa cosa che fa la security. Spesso e volentieri la security era già lì e a noi ci hanno messo in più. Ho anche gestito l’ingresso sul palco della sala conferenze che è stato più interessante. A volte è andata molto bene, altre peggio - conclude -. Male quando non c’era nulla da fare. A volte c’era chi stava ad aspettare per ore che gli dessero un incarico».
Anche per questa volontaria l’esperienza gratuita è valsa la pena perché voleva «esserci a tutti i costi». Però precisa: «A me ha stupito veramente che cercassero volontari e non gente da retribuire perché è un evento enorme, e sono sicura che avrebbero trovato dei soldi per pagare la gente. Da un lato mi aspetterei che un evento così grande assumesse gente, dall’altro, se penso quello che me ne viene a me, a me basta l’esperienza, non interessano i soldi, anche se sarebbero stati tanti per le ore che ho fatto».
Il problema con il volontariato nei grandi eventi sta forse proprio qui. Il fatto che migliaia di giovani siano felicissimi di prendere parte ad un evento come l’Eurovision non dovrebbe stupire. Ascoltando i volontari quello che è emerso è soprattutto la grande voglia dei giovani di tornare a vivere dopo due anni di pandemia, mettersi in gioco, fare esperienze positive, ed è frustrante costatare come in alcuni casi, per farlo, si debba accettare di lavorare gratis.
Su questo punto tutti i volontari ascoltati erano d’accordo: per alcuni compiti sarebbe stato più giusto pagare dei lavoratori anziché prendere dei volontari, perché le mansioni erano chiaramente lavorative.
Il centro della questione è se sia giusto per multinazionali da milioni di euro sfruttare l’attrattività di un evento come l’Eurovision per trovare lavoratori da non retribuire. L’entusiasmo verso un evento non può essere una giustificazione al lavoro non pagato.
Spesso in questi casi si risponde con la frase “se hanno deciso di fare i volontari è una responsabilità loro”, ma ciò non fa che portarci lontano dal problema: in questa situazione la colpa non è dei giovani che accettano ma degli imprenditori che offrono (e della politica che non si oppone).
Le associazioni di categoria sono determinate a portare avanti la questione fino a quando non sarà istituito un regolamento che tuteli principalmente i lavoratori dello spettacolo che restano a casa, per via di giovani (giustamente) entusiasti e disposti a lavorare gratis.
Come controparte politica il consigliere comunale di Torino Andrea Russi ci fa sapere che esiste la volontà di proseguire con una richiesta di accesso agli atti per verificare come sono effettivamente stati gestiti i volontari: «Riguardo all'accesso agli atti, valuterò con il gruppo come procedere, ma credo proprio che chiederemo spiegazioni».
La gestione dei volontari da impiegare nei grandi eventi è spinosa, ma l’auspicio di Russi è che il comune di Torino possa fare da apri-fila per regolamentare il settore non solo a Torino ma in tutta Italia.