Imprenditori in lotta contro la criminalità organizzata che fagocita le loro aziende, forse addirittura con la complicità di qualcuno all’interno delle istituzioni. Accade, almeno secondo il racconto del diretto interessato, in Puglia, in particolare nella zona di Cerignola, regno della Sacra Corona Unita. Nicola Ramunno, imprenditore che racconta di essere stato vittima qualche giorno fa di un incendio doloso che ha colpito il suo terreno, ci ha contattato dopo aver letto alcuni nostri articoli sugli intrecci tra mafia, politica ed economia e gli abbiamo chiesto di spiegarci cosa sta succedendo a lui e ad altri come lui. Ecco cosa ci ha detto: non mancano accuse pesanti delle quali il diretto interessato si assume ovviamente tutta la responsabilità.
Chi è Nicola Ramunno?
Ho fatto diverse denunce a titolo personale, in quanto fino al 2020 sono stato amministratore unico di una società che produceva e commercializzava prodotti agricoli. Sono nato e cresciuto in questo posto, Cerignola, dal quale sto lottando con gli artigli per non essere buttato fuori.
Denunce perché?
Perché non ho voluto cedere alla malavita cerignolana che voleva acquistare l’azienda di famiglia tramite prestanome. Io però non ho accettato e quindi mi hanno attaccato, utilizzando il tribunale come diciamo organo principale.
Il tribunale? Un’accusa molto grave… Come la sostiene?
Nel 2015 la società che gestivano i miei fratelli (Orticola Mediterranea) grazie al tribunale è stata dichiarata fallita (poi abbiamo capito perché) e quindi loro, i malavitosi, tramite il tribunale hanno utilizzato il curatore e gli avvocati del fallimento per aggiudicarsi le aste.
Affermazioni tutte da dimostrare, chiaramente… Cosa volevano da voi?
Terreni con capannone e macchinari con cui venivano trasformati i prodotti sott’olio: pomodori secchi, olivi, carciofi, melanzane…
Ma come si è arrivati al fallimento?
La storia comincia nel 2010, quando un fornitore ci fa un decreto ingiuntivo, a cui noi facciamo opposizione. Parte una causa. Poi ci attaccano le banche, facciamo anche lì opposizione e denunciamo le banche per usura. Ma non c’è stato nulla da fare: il fornitore ha fatto istanza di fallimento e noi abbiamo aderito con un concordato fallimentare. In questo concordato comincia a entrare in gioco il curatore con il tribunale, che non ha interesse a salvare le aziende, ma solo a fare (o far fare) cassa. Un giudice accetta il concordato fallimentare ma, anche lui indagato, si accorge di essere nel mirino della Procura, si dimette e va altrove. Al suo posto arriva un altro magistrato che decide di annullare il concordato preventivo e ci dichiara il fallimento. Come amministratore unico della mia società decido di fare un concordato come assuntore esterno: prima viene bocciato, poi viene rimessa la scelta ai creditori. I creditori al 98% votano a favore e quindi il giudice manda avanti per ulteriori pratiche il concordato, ma alla fine lo boccia dicendo che non saremmo stati in grado di rispettarlo. Abbiamo fatto opposizione in appello, ma nel frattempo il giudice ha cominciato a fare strane operazioni assieme al curatore. Ha cominciato a vendere i lotti che avevamo chiesto come organi principali per il concordato. A novembre 2022 la Corte di appello omologa il concordato e rimanda al tribunale per espletare la documentazione. Ma la sezione fallimentare aveva già assegnato i lotti e anziché darci l’opportunità di mandare avanti il concordato, tramite un creditore vicino al curatore (e quindi al magistrato) fa fare un’istanza di fallimento anche alla società che ha chiesto di pagare i debiti alla società fallita. Poi però il Csm allontana il magistrato (che rimane in servizio in altra sede) sulla base anche di intercettazioni perché emerge che ci sarebbe stato uno scambio di favori (sesso, orologi, vacanze…) dai curatori in cambio della firma sui decreti proposti dai curatori stessi. Tra cui il nostro su trasferimento dei lotti e quant’altro. Ma non siamo solo noi in questa situazione. Ci sono altre aziende che hanno avuto problemi simili ai nostri, con lo stesso magistrato e con gli stessi curatori.
Ma in tutto questo come avreste riscontrato infiltrazioni della criminalità organizzata?
Perché quando c’è stata la consegna del secondo lotto sono venuti in azienda e assieme al curatore e agli avvocati erano presenti il figlio di un boss locale della Sacra Corona Unita assieme al suo prestanome. E di questo abbiamo le immagini: le telecamere hanno filmato tutto. E oggi se facciamo una verifica sul posto possiamo notare che il lotto (che è stato aggiudicato dal prestanome del boss) è collegato con impianti di irrigazione e colture a un appezzamento che il boss ha acquistato nell’ultimo periodo. Abbiamo denunce alla Procura in cui abbiamo fatto nomi e cognomi.
Con quali addebiti?
Associazione a delinquere di stampo mafioso. Nei confronti della curatrice e dei magistrati. E nel frattempo guarda caso il marito di una prestanome è stato condannato a 3 anni e 6 mesi per associazione a delinquere e ricettazione, mentre il boss ha avuto altri 4 anni e 8 mesi in primo grado. Il collegamento lo abbiamo tutto e abbiamo anche le immagini per dimostrare che l’associazione a delinquere di stampo mafioso esiste tutta.
E secondo voi sarebbe addirittura arrivata fino al tribunale?
Sì, sì… Si pensi per esempio che ha un’asta fallimentare si è presentato pure un boss foggiano che gestiva l’operazione, dicendo al prestanome come si doveva muovere e che cosa doveva fare. Si è anche avvicinato a noi per dirci di non partecipare, ma io ho risposto che avrei partecipato perché questo è il mio sangue e dicendogli di intervenire se aveva il coraggio. Io ho indicato al magistrato in presenza di testimoni che quello era un personaggio pericoloso e denunciato alle Procure e che quindi non poteva assistere all’asta, ma il magistrato ha ritenuto di proseguire ugualmente. Ci sono anche delle intercettazioni fatte da un’altra azienda, la farmacia Demeo, che a sua volta ha subito due fallimenti con altrettante vendite all’asta e acquisto da parte di prestanome, di cui uno con precedenti.
Ma queste persone sono libere?
Il boss attualmente è di nuovo in carcere. È stato arrestato un paio di mesi fa assieme a un centinaio di altre persone (di cui buona parte del suo clan) perché spacciava droga e con i soldi dello spaccio acquistava proprio terreni, aziende agricole e capannoni (ma anche appartamenti) all’asta del tribunale. Si tratta di ripulire i soldi arrivati da altre attività “collaterali” o da rapine di blindati. Il boss assieme ad altri capoclan era stato condannato al 41 bis e poi rimesso fuori non si sa perché negli anni Novanta, prima con obbligo di firma e poi con sorveglianza. Ma evidentemente ha continuato a fare certi affari…
E le denunce che fine hanno fatto? Stanno andando avanti?
Sì. E anche quelle di Demeo contiamo proseguano perché si arrivi alla condanna del magistrato e degli altri.
Ma, ammesso e non concesso che il magistrato c’entrasse qualcosa, ora non è più lì, no?
Ma ha comunque il potere di intervenire. Di solito i magistrati facevano un provvedimento ogni sei mesi. Nel nostro caso poi ne hanno fatto uno ogni dieci giorni… E quel magistrato si vede ancora in giro in tribunale. E sono arrivati a dichiararci il fallimento anche della seconda società, La Nuova Orticola, il tutto con dei crediti inesistenti e provvedimenti a orologeria. Guarda caso due ore prima che un altro magistrato si pronunciasse sul sequestro giudiziario.
Quindi, un’accusa di cui chiaramente si assume tutta la responsabilità, voi vedete un collegamento che va dai boss ai prestanome e poi arriva ai magistrati attraverso i curatori fallimentari?
Sì, sì. C’è un meccanismo viziato, corrotto, a livello di mafia, perché dice “o fate come diciamo noi o vi facciamo morire”. E proprio quello che prevede il programma mafioso.
Ma voi avevate avuto proposte di acquisto quando l’azienda era in salute?
Sì, abbiamo avuto proposte di acquisto e li abbiamo messi alla porta. Poi siccome questi oltre che spacciatori erano anche produttori di marijuana (diversi sono stati arrestati in flagranza perché la coltivavano e la essiccavano), siccome avevamo un impianto di serre idroponiche, si sono presentati per proporci di fargli produrre con altissimo canone di affitto marijuana sotto prestanome nostro. Ovviamente anche a questo abbiamo detto no e io li ho denunciati nel 2018 alla Procura per questo atto. Però nel 2020 c’è stata l’archiviazione, perché purtroppo non è stato possibile avere prove accusatorie sufficienti. In questi casi è difficile incastrarli anche in presenza di immagini.
E dopo che avete resistito?
Ci hanno fatto fallire, con tutta una strategia politica. Purtroppo non conoscevo i tribunali e mi sono affidato agli avvocati, che a loro volta si sono dimostrati corrotti. Nella denuncia che è ancora in piedi ho denunciato anche loro, ai quali invano avevo detto che c’erano dei prestanome legati ai boss.
Lei, oltre al recentissimo episodio dell’incendio nel suo terreno che ha documentato e denunciato, è stato minacciato?
Nel 2019 mi hanno sparato. Io risiedo in campagna, avendo l’opificio, e a mezzanotte mi sono accorto di alcune presenze all’esterno. Sono uscito e loro mi hanno sparato probabilmente con una mitraglietta, anche se verosimilmente non ad altezza uomo. Ho chiamato le forze dell’ordine ma non hanno trovato proiettili o bossoli: è gente esperta che sicuramente ha raccolto i bossoli, mentre i proiettili se hanno sparato in alto chissà dove sono finiti. Non è stato sufficiente riscontrare le tracce dell’auto fino a pochi metri dal capannone. Anche se c’è mia madre, terrorizzata, come testimone delle raffiche sparate per tre-quattro volte prima della fuga. Un avvertimento per intimidirmi.
Altri episodi?
Altre volte non mi hanno fatto trovare la macchina. Mi hanno chiamato dicendo che la macchina era stata spostata dall’altra parte del paese. C’è chi dà la colpa al fatto che io sia un “infame” che ha collaborato con i carabinieri per la lotta contro la droga e ho fatto arrestare persone. Ma io lo interpreto invece come modi mafiosi per spaventarmi e intimidirmi.
È o è stato sotto protezione?
Fino al 2020 c’era il maresciallo dei carabinieri di Cerignola che mi dava una mano, mi mandava le pattuglie la notte per controllare. Poi anche lui è stato trasferito perché dava fastidio.
Quindi ora è da solo?
Sono con Demeo, assieme nella lotta. Stiamo pensando di creare un comitato sul tribunale fallimentare, perché il 90% delle aziende che ha liquidità e patrimonio è vittima di questo meccanismo criminale. Quasi tutte le aziende della zona ormai sono gestite da prestanome dei boss. Cerignola, Foggia, San Severo, ognuno ha la sua… Cerignola è gestita dal clan di Arcangelo Brandonisio. E su Cerignola abbiamo quasi tutte le aziende acquistate all’asta da loro. E altre erano già loro e magari le tengono lì a morire senza che nessuno si possa avvicinare.
Qual è il vostro obiettivo?
Riavere l’azienda (che al momento con una strategia stiamo comunque continuando a gestire da proprietari-affittuari, per far fronte alle altissime spese processuali e per evitare che vada definitivamente in mano ai mafiosi) e fare in modo che la giustizia intervenga per interrompere questo meccanismo. Stiamo andando avanti con reclami e ricorsi e per l’azienda attendiamo l’esito della Cassazione. Nel frattempo abbiamo fatto denunce penali a varie Procure, in attesa che qualcuno ci dia una risposta, perché abbiamo prove schiaccianti di questi malavitosi che continuano a gestire soldi sporchi investendoli nell’immobiliare. Addirittura ho mandato una email al ministro Nordio…
Le ha risposto?
Sì. Ha risposto che la situazione la conoscono benissimo anche a livello nazionale e di Ministero, solo che hanno bisogno di tempo per poter intervenire.