Mi ritrovo qui a decidere di parlare di tale Rita de Crescenzo che è tutto ciò (o gran parte di ciò) che mi ha fatta scappare da Napoli. Però mi immolo in nome dei napoletani, in nome dell’antropologia e delle scienze della comunicazione: il fenomeno social (e non solo) Rita de Crescenzo è molto di più di un’influencer all’arrembaggio e anche molto di più di ciò che voi possiate pensare coscientemente. Dunque, leggerlo più scientificamente, sospendendo il giudizio, potrebbe descrivere o provare ad intuire, il “sentiment” della direzione che quest’Italietta sta prendendo. E nonostante tutto, non sento che sia una direzione pessima, anzi Rita de Crescenzo nel mare magnum, di fenomeni (da baraccone) e personaggi che la tv, la radio e i social ci propongono, è il male minore, e vi spiego perché: Rita è reale, la signora ha una caratteristica, ed è l’autenticità (nel bene e nel male). Ma vorrei essere più scientifica, da antropologa ho la necessità di fare una panoramica, per valutare il fenomeno Rita, su tutto lo scenario delle tribù autoctone di non meglio specificati content creator, questi aborigeni instagrammari che vivono di caccia, pesca e raccolto. Sì, perché sono alla caccia di un po’ di hype, pescano i pesci lessi che avendo vite noiose si lasciano ammaliare dall’amo, abboccano pur di raggiungere un’atarassia e un’aponia capaci di dare qualche pallido stimolo al loro andamento di vita piattissimo; e questo abboccame di tali individui chiamati massa, in cerca di stimoli, disposti talvolta anche a pagare per riceverne dall’esterno, rappresenta il vero raccolto degli aborigeni contemporanei a cui giornali e tv danno lustro, un po’ per “pariarli n’guoll” cioè per ridergli addosso, prendersene gioco, diciamola tutta usandoli, e un po’ perché si sa, il circo vende.


E così come in un circolo vizioso c’è la tv che fa ascolti (la stampa click) spacciandosi per moralista e dando voce a questi scempi, solo per saperne di più per carità, per approfondimento a detta loro (dei giornalisti/conduttori/professoroni), poi ci sono sti poveri squinternati che ovviamente credono di stare in tv e dunque di aver raggiunto l’ambito successo, e infine c’è la massa a chiusura di un circolo che alimenta questi scenari e di cui se ne nutre, fino a volersene cibare ancora, sia pure per una mera questione di conservazione della specie, e di istinto alla sopravvivenza, perché si sa il nuovo fa paura, il pensiero fa male, capire logora, e dove la mettiamo poi la tanta agognata atarassia/aponia per citare l’etica epicurea di cui la massa non è cosciente ma vittima, dove la mettiamo ?
Ecco appunto Rita de Crescenzo è tutto ciò a cui anela (inconsapevolmente) un pubblico assopito in attesa di una fresca novità di cui parlare, perché se parlasse di sé, questo pubblico, non avrebbe nulla da dire e forse non importerebbe nulla a nessuno. In questo scenario la signora Rita è la nostra atarassia, la nostra aponia, soddisfa il senso di bene, edonisticamente inteso, e ci fa raggiungere piacere fisico e mentale senza dolore (fisico e mentale). Vi elenco, dunque i 4 motivi per cui la de Crescenzo, alla fine della storia, è la meno peggio, nonostante tutto:
1) rappresenta un femminismo a suo modo, è l’incarnazione del female empowerment, è indipendente, fattura (si spera), guadagna. In un mondo di mantenute, mogli di, fidanzate di, figlie di, la signora Rita lavora, non ha paura di farlo, e nella sua ignoranza si è creata una realtà, con tanto di management (pardon “managiamènt”)
2) Rita, usa la testa. Non vende bellezza e non vende sesso. Vende il suo talento, a modo suo, ma in un mondo di Of, una donna che usa i social, attira l’attenzione e non guadagna con video a luci rosse, non ha Of, non vende il suo corpo, nè in foto nè dal vivo, non vende promesse, non utilizza gli uomini, e non fa leva sull’ appeal sessuale, fa la differenza francamente, ed è integra nella sua dignità di donna, questo va detto, seppure questo concetto di integrità così raccontato è un po’ da ignoranti pressapochisti, ma il pubblico medio direi che tutto sommato è ignorante e pressapochista, e anche sciatto aggiungerei, quindi l’assunto regge, considerando il postulato.

3) Rita è una donna libera. Questa è una deduzione non immediata, ma vi condivido il mio ragionamento che mi ha portato a questa teoria: premesso che le donne portano sul loro corpo la colpa di essere belle o essere brutte (secondo i canoni della società) Rita è bruttina e non è più giovane, mentre la bellezza sarebbe una forma di potere, che però è concepito solo in relazione ai maschi (è un potere che nega se stesse, non si può scegliere liberamente e non vi si può rinunciare, o almeno le donne non possono farlo senza pagare le conseguenze sociali di questa rinuncia). Così se vogliamo, possiamo sostenere che Rita rinuncia totalmente e felicemente all’esercizio di potere sui maschi, essendo libera di esprimere se stessa, di non negarsi mai, di scegliersi, pagando forse il prezzo di scegliere se stessa, che è comunque meno caro del prezzo per negarsi.
4) Rita usa la sua personalità e la sua ignoranza come brand, ma non usa Napoli come suo brand, e di questo dobbiamo rendergliene atto, in un mondo di trapperini e frapperini che raccontano città come Napoli e Roma, descrivendone una periferia di cui molto spesso neanche ne hanno fatto parte, spacciandola come proprio brand, raccontando immondizia e definendola arte, la signora Rita sarà ignorante, ma non si mette a raccontare di pistole, puttane, gente che si scopa e poi lascia, di collane costose e di soldi, di malavita, e di crudeltà e droga, Rita racconta stronzate che a qualcuno fanno ridere e qualcun altro fanno rabbrividire per la scarsità di spessore intellettivo, ma tutto sommato non condivide merda, e non fa male a nessuno nei termini in cui si hanno gli strumenti per proteggersi dal fatto che non può essere un modello da emulare, ma una simpatica signora di una certa età che nella sua spontaneità può far molto ridere.
Io ho sempre adorato rendere poetiche figure profanissime, e anche di per contro dissacrare figure emblematiche; lo trovo personalmente un gioco molto attraente, dunque fantasticare che Rita de Crescenzo per esempio sia una furia mitologica a cui tocca restituire dignità e giustizia umana e intellettuale, mi ha portato a credere che forse potevo essere l’unica da napoletana vera, ma anche da esperta dei fenomeni della sottocultura e divulgatrice dell’’assurdità della specie, a inquadrare e cristallizzare questa stramba significatività attribuita da qualche anno a questa parte ad un personaggio rozzo e incolto. Così spero di aver contribuito a spiegare il perché (scientificamente, senza curiosità o ilarità) Rita de Crescenzo alla fine della fiera, è tutto ciò che ci fa sentire al sicuro, fin quando penseremo ancora a Rita, allora significherà che va ancora tutto bene e che è ancora tutto sotto controllo, che nulla è cambiato, che poi è tutto ciò che vogliamo, e che non esistono cose più gravi su cui porre l’attenzione, e che forse in fondo in fondo, c’è pure ancora una speranza nel futuro, rimanendo serenamente atarassici e aponici nei confronti della vita, la vostra, la nostra. Poroppoppò!
