Dopo l'imbarazzante incidente di Napoli che ha visto come protagonista l'influencer da 3,4 milioni di follower su TikTok, Barbara Gambatesa, rea d'aver pubblicato delle storie dedicate al ristorante di Errico Porzio nel quale stava mangiando per poi toglierle con una spiazzante dichiarazione (“Pensavo fosse una collaborazione col locale, e invece no. Scusate, ma io queste cose le faccio solo a pagamento”), ci siamo posti alcune domande. È davvero necessario monetizzare ogni aspetto della vita online? In un'epoca in cui gli influencer sembrano dominare i social media e le collaborazioni brand-creator sono all'ordine del giorno, ci siamo posti interrogativi fondamentali sulla credibilità di coloro che ci guidano attraverso il mondo digitale. Nel 2023, quanto valore hanno le parole degli influencer? Abbiamo cercato risposte da una voce unica e controcorrente, Maurizia Triggiani che insieme a Marco Bottarelli è il volto di “Disordinary Family”, un profilo molto seguito da mamme e famiglie.
Qual è la tua opinione sull'incidente dell'influencer a Napoli che ha cenato in un locale senza sapere che il pasto non fosse gratuito? Pensi che situazioni come questa possano influenzare la tua decisione?
Il mondo dei content creator e degli influencer è poco regolamentato, e manca una sorta di "galateo". Molte persone si affidano al proprio buon senso. Riguardo a questa vicenda, sono perplessa: ritengo che le intenzioni di entrambe le parti avrebbero dovuto essere esplicitate in anticipo. In generale, se fosse successo a me, se avessi ricevuto un regalo da un'azienda (accetto regali anche per sostenere piccole realtà), che si è poi rivelato non essere un regalo, non rimuoverei mai una storia, poiché lo ritengo onestamente poco etico. In ogni caso il ristoratore coinvolto ha sfruttato molto questa vicenda per ottenere una notevole visibilità.
Perché avete deciso di non monetizzare le collaborazioni online con le aziende, nonostante potreste farlo?
Innanzitutto, la nostra pagina è gestita da due creator, ed è una pagina "family" che riporta i nomi di entrambi i membri della coppia. Abbiamo iniziato con l'intento di scrivere, dato che la scrittura è la nostra grande passione, e di raggiungere il mondo dell'editoria, un obiettivo che da persone non presenti sui social era molto difficile da raggiungere. Scrivevamo libri per passione, ma abbiamo cominciato a condividere la nostra storia sui social per essere letti. Da parte della nostra community, ci aspettavamo che ci leggesse. Quando abbiamo notato che avevamo una buona base di follower e ci sono arrivate diverse proposte di collaborazioni da parte di vari brand, ci siamo chiesti se avrebbe giovato a una pagina che cercava di raccontare in modo autentico la propria quotidianità. Avevamo paura che la nostra community non accettasse questo cambiamento. Pertanto, abbiamo deciso di prendere un'altra direzione: monetizzare diventa necessario ad un certo punto, considerando che il tempo trascorso sui social è un lavoro. Abbiamo quindi creato la nostra azienda e vendiamo solo prodotti che vengono direttamente da noi.
Qual è stato il motivo principale che vi ha spinto a prendere questa decisione? C'è un motivo specifico dietro questa scelta?
Il motivo principale è la credibilità. Personalmente, quando vedo la parola "ad" (advertising) su un profilo che seguo, mi sento tradita. Alcuni creator riescono a comunicare messaggi commerciali con sincerità, nonostante siano sponsorizzati, ma è molto difficile distinguere la realtà quando ci sono aziende coinvolte che pagano per la sponsorizzazione. Noi attribuiamo molta importanza alla nostra credibilità, che deriva dai nostri valori, dove la verità e l'autenticità sono fondamentali. Se vendiamo qualcosa che facciamo noi, possiamo garantire questa autenticità, mentre se pubblicizziamo brand a pagamento, non possiamo farlo.
Quali sono i principali vantaggi che vedi nel non accettare collaborazioni a pagamento con le aziende?
I vantaggi principali non sono di natura economica. Rinunciare a collaborare coi brand equivale a rinunciare a dei guadagni e spesso questa scelta è accompagnata da un "Ma chi me l'ha fatto fare?". Tuttavia, il nostro tasso di coinvolgimento (engagement rate) è più alto rispetto a chi accetta collaborazioni, il che ha un valore significativo: se decido di promuovere qualcosa, è probabile che una percentuale maggiore di persone lo acquisti. Il mio lavoro, su cui sono disposta a investire tempo e fatica, riceve più attenzione. Dai libri, alle consulenze alle aziende (un lavoro old-school, riceviamo i clienti nel nostro ufficio) alla nostra principale azienda, Do-Fit, che si occupa di benessere e fitness. Parlo di poche cose, ma quelle che tratto ricevono più ascolto. Inoltre, le persone e i commenti sono piuttosto severi quando si tratta di collaborazioni a pagamento.
Come gestisci la tua relazione con i follower e la tua credibilità online, considerando la scelta di non accettare collaborazioni a pagamento?
La nostra community è sana e gentile. L'hate speech è praticamente assente. Questo rapporto positivo deriva anche dal fatto che non accettiamo collaborazioni: le persone non gradiscono la pubblicità e lo fanno pesare. Rispondiamo quotidianamente a tutti, e abbiamo un rapporto reciproco e di fiducia con i nostri follower. Accettiamo solo pochi regali per sostenere artigiani e piccole realtà, cercando di promuovere un tipo di commercio più sostenibile e un marketing etico.