L'Isola dei Famosi ha dato, finalmente, l'annuncio che tutti stavamo aspettando: giunge a conclusione. Il reality di Canale 5 chiude in anticipo, con l'ultima puntata fissata per mercoledì 5 giugno. In Honduras, qui usiamo un'iperbole ma nemmeno troppo, ci saranno ancora una ventina di naufraghi tra i cocchi, ma a causa della fuga dei telespettatori, il carrozzone si vede costretto a farli fuori nel più breve tempo possibile in modo da dimentacare per sempre questa mestissima esperienza. Avevamo già scritto delle principali cause del disastro Auditel, nonché di contenuti, del programma per la prima volta condotto da Vladimir Luxuria. Ne avevamo scritto, però, non tenendo colpevolmente di un dato fondamentale: c'è qualcuno che 'sta roba la scrive. Gli autori e la loro indefessa pigrizia sono l'elefante nella stanza dell'intera sciagura. Tutti di Banijay, casa di produzione dello show, nessuno di questi viene mai citato negli articoli di critica al programma. Eppure, la squadra di penne è lì, monolitica da tre anni, nonostante l'evidente crisi del reality che no, non è cominciata oggidì, nel 2024. Si può parlare di disaffezione del pubblico, di usura del format. Ma il format esiste ancora? Sussiste, almeno, il tentativo di renderlo appetibile? La risposta è no, manco per il cocco. Quando basterebbe dare un occhio a Netflix, nello specifico al reality "Disposti a Tutto" per realizzare che sì, un'Isola decente e godibile sarebbe ancora possibile. Vediamo come mai da noi, invece, non succede. E per colpa di chi.
"Artur si commuove e spende bellissime parole per sua nonna". Già da questa clip social, ce ne sono mille altre dello stesso genere, risulta evidente su cosa il reality voglia puntare: lacrime e buoni sentimenti. Ora, per i tantissimi che non dovessero averne seguito nemmeno una puntata, il concorrente in questione, Artur, è un modello reduce dall'edizione spagnola dello show dove si è piazzato al secondo posto. Grande animale da reality, a lui dal giorno zero interessa solo la vittoria finale e si dice disposto a passare sopra tutto e tutti per ottenerla. Pure belloccio assai, per questo supera tutte le nomination in cui viene implicato dagli altri naufraghi, è un personaggio su cui sarebbe stato possibile costruire molto, nel ruolo di villain. Invece, nulla. Anzi, appena se ne esce con una esternazione egoista o arrogantella, l'intero studio lo blocca, gli dice di cambiare toni per evitare di "mandare un brutto messaggio a casa". Come se i concorrenti di un reality potessero essere, davvero, presi a modello dal pubblico. Pubblico che è lì, al massimo, per sbertucciarli mentre rovinano nel fango. Una retorica insostenibile che castra sul nascere qualsiasi possibile dinamica fumantina in nome della pace nel mondo. Anche per questo, l'Isola è diventata, a livello di scrittura, la wish list di una qualunque finalista di Miss Italia.
Il punto è che questa "wish list" al saccarosio e dalla lacrime facile, qualcuno l'ha pur scritta. E l'ha scritta pensando potesse essere non diciamo avvincente ma, almeno almeno, televisiva. Veniamo, dunque, agli autori. Gli autori di questo reality si sono dimostrati, fin dalla prima puntata, indifendibilmente pigri. Protetti dallo scudo della "nuova linea editoriale imposta da Pier Silvio Berlusconi", hanno scelto di non fare nulla, di non dare alcun apporto concreto alle dinamiche tra concorrenti. Ancora prima, hanno deciso di non raccontare. Quello che più manca a questa edizione dell'Isola, infatti, è un arco narrativo, pure uno qualsiasi, degli sciagurati naufraghi. Stanno tutti lì a ciondolare, in attesa che Luxuria mostri loro la nonna, la mamma, la moglie, i figli, il fidanzato o qualche lontano cugino. In modo da poter frignare a favor di camera. E portare a casa il picco emotional della diretta, la stessa diretta. Non funziona così. Chiaramente un reality non è un film, ma deve avere una narrazione. Una narrazione in grado di far muovere i personaggi, di farli evolvere in una direzione negativa o positiva (non importa). Tutti devono concorrere alla narrazione di una storia che possa appassionare, avvincere, respingere. Se questo non succede, come non è successo, è perché alla base manca la scrittura.
L'Isola dovrebbe essere, innanzitutto, spietata. I naufraghi non sono lì per le coccole, ma per sopravvivere. L'unico elemento che è rimasto di questo concetto cardine del format è la perdita di peso di tutti i coinvolti che, come si sa, necessariamente si ritrovano a mangiar poco tra i cocchi. Se i comici riescono ancora lavorare nonostante il politically correct, significa che non c'è imposizione, presunta o reale, che possa fermare la creatività di chi sa fare il proprio mestiere. Pier Silvio Berlusconi avrà pure dettato una virata riguardo ai contenuti dei reality Mediaset, ma questa non può essere una scusa valida a giustificare l'accozzaglia di niente subita dai telespettatori negli ultimi due mesi. I naufraghi, nonostante le loro inclinazioni personali, non hanno uno scopo perché non gliene viene dato uno. I reality, tutti i reality, si basano sulla famose "dinamiche" e questi, invece, sono condannati a stare fermi, immobili. Edoardo Stoppa, probabilissimo vincitore, è un santo dal giorno zero e non vacilla mai. Lo stesso si può dire di Samuel Peron. Anzi, appena la sua rettitudine è stata messa in discussione, dalla linguaccia di una compagna di sventura che gli aveva affibbiato un flirt fedifrago con tale Greta Zuccarello, c'è stato grande sdegno in studio. Verso di lei, la spia. "Perché deve imparare a farsi i fattacci suoi", ha tuonato l'opinionista Sonia Bruganelli. Certo, farsi i fatti propri è il sale di ogni reality. Nel mondo degli opposti.
Lo abbiamo già accennato: non c'è un racconto che non sia fine a se stesso e buono per un blocco o due in diretta. Tenuto insieme ai successivi da: niente. Per spiegarlo in parole povere, facciamo un esempio: Raz Degan vinse l'Isola dei Famosi, già Mediaset, nel 2017. È il miglior attore che il nostro bel Paese abbia mai visto recitare? No. Eppure, il suo personaggio honduregno stava in piedi assai: era arrivato come un concorrente qualunque, alla seconda settimana aveva visto qualche cosa non l'aggradava, alla terza ancora di più. Fino ad arrivare alla scelta di barricarsi in una sorta di eremo fra i cocchi e di giocarsi il reality da solo, senza avere più a che fare con il resto della ciurma. Nell'edizione 2024, invece, abbiamo visto i due 'antagonisti', il sedicente poeta Pietro Fanelli e l'intellettuale (?) Daniele Radini Tedeschi, caricati a pallettoni dal minuto zero contro il reality, le telecamere, i compagni di sventura. Macchiette, caricature. Ancora una volta, manca un arco narrativo. E senza quello, non si empatizza. Al massimo, si deride infastiditi da cotanto fintume.
Eppure, non è difficile mettere in piedi un reality "di sopravvivenza" come si deve. Lo sanno bene in Francia dove è in produzione per Netflix, anche Netflix Italia ma senza doppiaggio italiano, "Disposti a Tutto". Un gruppo di sciagurati, di diverse estrazioni sociali, vengono sbattuti su una landa desolata messicana. Al centro, una montagna. Il loro scopo è quello di arrivare in cima dove, ad aspettarli, c'è una splendida villa, la vittoria e un ricchissimo montepremi. Per farlo, devono superare prove, soprattutto fisiche, che li porteranno al livello successivo, più in alto nella scalata. Ossia prove che hanno un senso rispetto all'obiettivo, non è che, come da noi, li fanno giocare per minuti e minuti al tiro alla fune. Sono loro, poi, a scegliere come dividersi in gruppi, con chi allearsi, chi tradire senza troppi complimenti. Hanno un motivo per farlo. Ogni puntata termina con il ballottaggio e il nome dell'eliminato verrà annunciato solo all'inizio di quella successiva. Non c'è trash, nessuno si accoppia malamente a favor di camera (anche perché tengono altri pensieri), al massimo si flirta per strategia (e, spesse volte, dichiarando tale strategia in confessionale). Lo spettatore è così a conoscenza di intrighi di cui gli stessi concorrenti sono 'vittime' ignare. E da casa, dunque, ci si gode l'avventura che, per forza di cose, diventa avvincente. Non stiamo parlando di un programma da Oscar della Tv, chiaro, ma di una via che dimostra come sia tuttora possibile costruire un reality. Sempre che si abbia voglia di scriverlo. Gli autori dell'Isola non ne hanno da almeno tre anni. E i risultati sono sotto agli occhi di tutti. Che disastro.