Le bombe putiniane sui territori ucraini hanno riacceso la minaccia nucleare. Basta infatti andare appena oltre le tematiche gas, benzina e geo-politica internazionale in ebollizione per trovare espressioni di angoscia su scala globale in relazione a eventi che, potenzialmente, potrebbero avere impatti ben maggiori anche delle catastrofiche Chernobyl e Fukushima. La stessa Greenpeace ha parlato di “minaccia nucleare senza precedenti” e di “conseguenze mondiali”. Per comprenderne meglio i motivi, occorre partire da Zaporizhzhia, città ucraina che costeggia il fiume Nipro. Lì c’è il più grande impianto nucleare d'Europa: ospita sei reattori, ognuno dei quali messo in stato d’allerta dagli incendi scoppiati durante i bombardamenti russi. Il fatto che le fiamme si siano estinte molto rapidamente è una testimonianza della professionalità e del coraggio dei lavoratori dello stabilimento, ma con gli ufficiali russi che ora interferiscono nella gestione dell'impianto, il rischio resta elevato. Così come a rischio resta Chernobyl, a seguito dell'altrettanto pericolosa incursione delle truppe russe durante i primi giorni dell'invasione. Per almeno due settimane, la mancanza di elettricità ha messo in stallo l’opera (necessaria) di raffreddamento delle scorie nucleari. Scongiurato il pericolo ed emesse rassicurazioni su scala mondiale, restano però almeno altri sei reattori nucleari sparsi in tutta l'Ucraina, il che significa che lo scenario peggiore rimane una possibilità reale. Il rilascio di materiale radioattivo potrebbe rendere inabitabili interi centri abitati, interi paesi, minacciando milioni di persone non solo nelle immediate vicinanze.
Già alla vigilia dell'invasione russa, Bennett Ramberg, uno dei massimi esperti al mondo di centrai nucleari, ha ricordato come dopo il disastro di Chernobyl nel 1986 “le autorità sovietiche hanno dovuto trasferire centinaia di migliaia di persone e rimuovere vaste aree di terre e foreste dalla produzione per decenni”, evidenziando quindi che tra i tanti modi in cui il conflitto in Ucraina potrebbe riversarsi in Europa e forse oltre, la ricaduta nucleare sarebbe uno più tossici e pervasivi. Peggiore sarebbe un attacco nucleare. Al di là della perdita di vite umane e dello sfollamento di milioni di persone, la caratteristica più inquietante della guerra in Ucraina è stata infatti la reintroduzione delle armi nucleari come componente centrale della geopolitica. Dopo aver avvertito “conseguenze mai sperimentate prima nella storia”, Putin ha risposto alla prima ondata di sanzioni occidentali mettendo le forze nucleari russe in massima allerta. Non si tratta affatto di una mossa banale, perché non vedevamo nulla di simile dagli anni ‘60, quando il mondo vacillò sul precipizio di un olocausto nucleare durante la crisi dei missili cubani, e di nuovo durante la guerra arabo-israeliana. Minacce troppo forti, tanto da spingere, tra il 1965 e il 1968, alla negoziazione del Trattato di non proliferazione (NPT), entrato in vigore nel 1970. Trattato che – come molti analisti hanno sempre sottolineato – ha poco senso di fronte ai ripetuti test sotterranei di India e Pakistan, ai continui sviluppi della Corea del Nord e di Israele e – su tutti – al ritiro degli USA dall'Accordo sulle forze nucleari a raggio intermedio, quello che dal 1987 aveva proibito a Russia e Stati Uniti di dispiegare missili terrestri entro un determinato raggio geografico. Alla luce di uno scenario del genere, quanto è preparato il nostro Paese alla minaccia nucleare?
Minaccia nucleare: l’Italia è preparata?
Negli ultimi giorni, un pezzo diffuso dal quotidiano Repubblica sul piano di risposta italiano alla minaccia nucleare ha scatenato – come da prassi di stampa – una lunga serie di articoli fotocopia pronti a evidenziare come Draghi & Co si fossero mobilitati a predisporre un’agenda di reazione alla luce del conflitto in atto sull’asse Russia- Ucraina. La realtà è che l’aggiornamento del piano nucleare italiano era partita con il governo Conte nel luglio 2020, e l’update arrivato la scorsa settimana non ha quindi nulla a che fare con la guerra in corso. Basterebbe anche solo questa non banale sottolineatura a spiegare che il nostro Paese – come d’altronde moltissimi altri – potrebbe trovarsi a gestire uno scenario emergenziale di portata enorme senza nessuna agenda di reazione contestualizzata. Il nuovo piano, di fatto, non contiene misure diverse rispetto a quello precedente, limitandosi a delineare una prima reazione per incidenti in impianti entro 200 km dai confini nazionali, che prevedono la cosiddetta iodio profilassi, la richiesta alla popolazione di stare al chiuso più le eventuali misure “indirette”, relative alla contaminazione di cibi e circostanze simili.
Va detto, d’altronde, che lo stesso contesto mondiale più informato non si è espresso che in maniera vaga sulla minaccia nucleare odierna, parlando di incidente con effetto calcolato sei volte superiore a Chernobyl. Una (troppo) semplice equazione – come spiegato al Giornale dal direttore dell’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (Isin), Maurizio Pernice – che fa semplicemente riferimento ai sei reattori della centrale di Zaporizhzhia. Il numero uno dell’Isin si tiene ben distante dalle previsioni catastrofiche, parlando di “pochi elementi per ritenere che ci siano rischi di incidenti”. E ha aggiunto:“Un incidente anche gravissimo come quello di Chernobyl avrebbe per l’Italia in linea di massima – ove i venti spingessero la nube radioattiva verso il nostro paese – gli stessi effetti che si registrarono nel 1986, con conseguenze soprattutto sul sistema alimentare e accorgimenti particolari negli allevamenti. Ma sono scenari teorici, ovviamente bisognerebbe vedere il tipo e la gravità dell’incidente per il quale, ribadisco, ad oggi non sembra ci siano rischi concreti”. Ma siamo distanti anni luce – forse per una reale impossibilità concreta di previsione – da scenari davvero contestualizzati. Allineandoci alla tendenza, non possiamo che chiudere con la massima senza tempo dell’ex-presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan, ovvero quella che ricorda come “una guerra nucleare non può essere vinta e non dovrebbe mai essere combattuta”.