Purtroppo, mi tocca fare una premessa (l’ennesima), perché quando si toccano alcuni argomenti, come vaccini e guerra, ci sono persone a cui va il sangue al (poco) cervello che si mettono a sbraitare in modo insensato e soprattutto fuori contesto. Quindi, ecco la premessa: non sono filo Putin, non sono filo Biden, non sono filo nessuno: ragiono di parole e non metto etichette. Chi ha abbastanza capacità cognitive per leggere quello che scrivo in italiano e capirlo, si accomodi. Chi giudica a prescindere sulla base dei propri preconcetti, si accomodi lo stesso, purché mi eviti il tedio di spiegazioni ulteriori. Quando ho scritto che il figlio di Biden ha affari importanti con aziende che vendono energia in Ucraina e che gli USA hanno 13 laboratori in cui progettano armi chimiche in Ucraina, apriti cielo: sei filo Russo! Quando ho detto che Putin manipola le parole, apriti cielo: sei filo Ucraino. Insomma, che palle: io sono sempre e solo filo cervello. Meno iodio, più fosforo. Sempre. Detto questo, cominciamo.
La guerra, qualsiasi guerra, si combatte anche e soprattutto con le parole, perché le parole hanno il potere di modificare la percezione della realtà di chi le ascolta e di chi le legge e, di conseguenza, hanno anche il potere di provocare reazioni comportamentali prevedibili e misurabili. Da Goebbles in poi, è chiaro il ruolo della propaganda e quali sono le sue funzioni. Non è un caso che gli americani abbiano da tempo promulgato un “Dizionario dei Termini Militari e di quelli Associati, a cura del Dipartimento della Difesa USA (JP 1-02 DOD Dictionary of Military and Associated Terms)”, in costante aggiornamento, per stare al passo con i tempi s’intendi, in cui fra le altre cose troviamo scritto: “Le operazioni psicologiche sono operazioni pianificate per veicolare informazioni ed indicatori selezionati ad un pubblico straniero, per influenzare le loro emozioni, motivazioni, ragionamenti oggettivi e, in ultimo, il comportamento dei governi stranieri, come di organizzazioni, gruppi ed individui”. Influenzare le emozioni, le motivazioni, i ragionamenti oggettivi e il comportamento di gruppi e individui. Interessante, vero? Noi italiani non siamo da meno, s’intende: forse non tutti sanno (anzi, sono praticamente certo che questa cosa non la sa quasi nessuno) che esiste un reggimento, il 28mo “Pavia” la cui funzione è quella di studiare tecniche e tattiche che riguardano la psicologia della comunicazione, la comunicazione e tutto quello che serve a manipolare l’informazione per ottenere vantaggio prima, durante e dopo un conflitto. Ovvero: esistono istituzioni il cui unico scopo è manipolare le informazioni per renderle utili alla vittoria. Nel 28mo reggimento, la Sezione Corsi, inserita nell’Ufficio OAI (Operazioni Addestramento Informazioni). Il “Pavia” è infatti sia unità di impiego che addestrativa, provvedendo direttamente alla formazione. E’ talmente chiara l’importanza delle parole che il colonnello Steve Collins, ritenendo giustamente che il termine “PSYOPS” ( Psycological Operations) potesse essere un po’ troppo “aggressivo”, ha chiesto di utilizzare “una terminologia più vaga, evitando termini come operazioni psicologiche e optando per quelle che alcuni consideravano delle espressioni più accettabili come “operazioni di informazione”. Quindi, le operazioni psicologiche sono diventate operazioni di informazione. Suona meglio, vero?
Nel conflitto in corso o, meglio, nel conflitto in corso che stiamo seguendo in diretta tv (visto che nel mondo di conflitti in corso ce ne sono a decine, che durano da anni, e che producono una quantità di morti che è semplicemente imbarazzante anche solo pronunciare), abbiamo quindi una ex spia del KGB, un ex attore diventato Presidente e la Nato. Tre personaggi che, dati alla mano, di persuasione e manipolazione se ne intendono parecchio (questa è la parte in cui può servire ricordare al gentile lettore la premessa che ho sistemato a inizio articolo). A tal proposito, Uno dei motivi per cui faccio quello che faccio è insegnare alle persone a proteggersi da chi le parole le usa bene per fare male. Lo sta facendo Putin, quando dice (o fa dire) che quella in corso non è una invasione, ma semplicemente una operazione speciale (e questa è la parte in cui i cospirazionisti filo Putin mi rompono le palle perché dicono che dovrei parlare subito anche di Zelensky, perché anche lui manipola e bla bla bla. Ripeto: rilevare che Putin manipola il linguaggio significa rilevare che Putin manipola il linguaggio, senza entrare nel merito delle teorie politiche che non sono il mio mestiere e che lascio commentare agli scienziati di Facebook). Operazione speciale, sentite quanto suona meglio? Fa lo stesso il ministro Lavrov, quando dice: “Non abbiamo in mente di attaccare altri paesi. E prima di tutto non abbiamo attaccato l’Ucraina”. Nessun attacco: operazione speciale. Wow. Sembra di sentir parlare il Grande Fratello di Orwell, quando dice che “la guerra è pace”. La guerra è pace. Un po’ come dire che oggi serve (sentita con le mie orecchie) che serve la democrazia armata. Democrazia armata è bellissimo.
Uno dei modi per vincere le guerre, infatti, da sempre, è quello di controllare le parole.
Ad esempio, i morti ammazzati possono essere definiti in modi diversi, a seconda della linea di confine oltre la quale muoiono: se sono dei “nostri”, allora sono vittime civili. Se sono dei “loro”, allora sono “militanti” o “guerriglieri civili”. Ovviamente, “nostri” e “loro” non vogliono dire “nostri della Nato”, possono voler dire “nostri Ucraini, nostri Siriani, nostri Russi, nostri Senegalesi” e così via. Allo stesso modo, “guerra” può essere definita in modi diversi, fino ad arrivare al quasi ridicolo “missione umanitaria di liberazione”, che è il modo che gli Usa di solito utilizzano per descrivere le loro operazioni di alta finanza (no, non sono contro gli USA e non sono filo russo: rilevo fatti che qualsiasi persona che legga libri e quotidiani oltre i riassunti di cronaca che fanno gli esperti su Facebook può agevolmente appurare).
Ma parliamo ancora un po’ di morti, visto che in guerra muoiono le persone vere. Capita, data l’idiozia umana, che ci si ammazzi per sbaglio anche dalla stessa parte, ma visto che fa brutto dire “le nostre armi hanno ammazzato i nostri soldati”, allora si dice “fuoco amico”. Non è bellissimo, nella sua tragicità? Potremmo andare avanti per ore, passando da distorsione a distorsione, senza annoiarci mai. Vi basti sapere che quando leggete di “esiti non previsti delle operazioni di pace in corso”, quel che stan dicendo è che “mentre stavamo ammazzando gente, ne abbiamo ammazzata un bel po’ più di quel che avevamo previsto” oppure “ops, abbiamo per sbaglio colpito un palazzo in cui vivevano civili innocenti”. Vi basti sapere che quando si ripete all’infinito “nucleare” è per farvi arrabbiare tantissimo, farvi scollegare la corteccia dal sistema limbico e farvi approvare l’invio di armi e/o altre cose che altrimenti non approvereste (no, non sono filo Russia, è semplicemente un altro dato di fatto). A proposito di nucleare, vi fareste fare più volentieri una TAC o una Risonanza Magnetica Nucleare? Se reagite come reagisce la maggior parte delle persone, risponderete TAC, perché Nucleare davvero non si può sentire (peccato che la TAC sia come minimo 10 volte più invasiva e faccia 10 volte peggio). Insomma, ci siamo capiti: alcune parole provocano la produzione di cortisolo ("ammazziamoli tutti!!!") e altre parole provocano la produzione di ossitocina ("salviamoli tutti!!!").
E ci sarebbero altre mille cose di cui parlare: le immagini che si mostrano (e quelle che non si mostrano), l’abbigliamento di chi rilascia interviste, le notizie date e quelle relegate al trafiletto… insomma, la guerra è sempre e comunque anche una guerra di parole. Per questo, anche, scrivo e continuo a divulgare: mi piace pensare che possiamo studiare sempre di più, svegliarci sempre di più, padroneggiare l’arte delle parole meglio di chi le vuole usare per friggerci il cervello. Perché la propaganda vince sull’ignoranza ma difficilmente trionfa su chi ne conosce le trame e su chi collega il cervello per scoprire che cosa vogliono dire davvero le cose, su chi non si accontenta della prima notizia che legge e la condivide ad minchiam, in preda ai fumi dell’empatia e del sacro fervore social, su chi si prende la briga di porsi qualche domanda.
Ecco, uno dei motivi per cui faccio questo lavoro: contribuire a togliere fette di salame (o di tofu, se siete vegetariani) dagli occhi. Con l’auspicio che anche questo articolo faccia (almeno un po’) la differenza.