Mentre il dibattito pubblico europeo continua a declamare a gran voce l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea come gesto etico e inevitabile, c’è una domanda che pochi hanno il coraggio di porre: qual è il prezzo di questa scelta? Lo capiamo guardando semplicemente all’agricoltura. E non parlo soltanto di un prezzo morale, diplomatico o di equilibri geopolitici, ma di un costo concreto, in euro sonanti. Un prezzo che potrebbe destabilizzare dalle fondamenta l’intero equilibrio agricolo dell’Unione. Perché l’integrazione del colosso agricolo ucraino nel mercato interno europeo non è un pranzo di gala, è uno tsunami che rischia di travolgere il cuore stesso della Politica Agricola Comune (PAC). Cos'è la PAC e perché è così importante? La PAC è una delle politiche fondative dell’Unione Europea. Nata per garantire la sicurezza alimentare e la sostenibilità del settore agricolo, essa distribuisce fondi pubblici agli agricoltori europei per sostenere la produzione, tutelare l’ambiente e mantenere vivo il tessuto rurale. È anche, non a caso, la voce più pesante del bilancio comunitario: nel settennio 2021-2027, conta 386,6 miliardi di euro. Ma questi soldi non sono infiniti, e per ogni nuovo Paese che entra bisogna redistribuire il piatto, a discapito, inevitabilmente, di qualcuno.

L’elefante nel campo: 42 milioni di ettari. L’Ucraina dispone di circa 60 milioni di ettari di terre agricole, di cui 42 milioni coltivabili, una cifra che da sola rappresenterebbe il 20% di tutta la superficie agricola dell’Unione, se Kiev dovesse davvero aderire. Questo significherebbe che l’Ucraina diventerebbe il più grande beneficiario della PAC, con una potenziale quota di 96,5 miliardi di euro in sette anni. Per avere un termine di paragone, la Francia, oggi primo beneficiario, ne riceve 49,77 miliardi, l’Italia circa 38,7 miliardi di euro. Cosa accadrebbe agli agricoltori italiani, spagnoli, tedeschi? C’è chi ipotizza un taglio del 20% delle sovvenzioni agricole per tutti gli altri Stati membri. Una terra contesa, inquinata e privatizzata? Ma l’integrazione non è solo una questione di bilancio. È anche un problema di realtà sul terreno. Letteralmente. Circa il 25-30% delle terre ucraine sono sotto controllo russo. Altri 55.000 ettari sono contaminati da guerra e mine, con costi di bonifica che possono toccare i 50.000 dollari per ettaro. A chi toccherà pagare questo conto salato che veleggia verso i 3 miliardi di euro? Ai contribuenti europei? Non solo. Negli ultimi decenni, l’Ucraina ha privatizzato massicciamente la sua terra agricola, permettendo a fondi stranieri – americani, europei, israeliani, sauditi – di infiltrarsi legalmente attraverso società offshore registrate a Cipro, Lussemburgo, Paesi Bassi. Oggi quasi il 90% delle terre è in mano privata, e le dieci aziende più grandi possiedono oltre 2,8 milioni di ettari. Insomma, dietro l’apparenza di una Ucraina contadina e povera c’è una giungla di interessi geopolitici e finanziari che poco hanno a che fare con l’agricoltura familiare che si vuole proteggere in Europa.

Il prezzo politico del silenzio. Chi prende le decisioni? Il Commissario europeo al Commercio Maroš Šefčovič ne ha la responsabilità formale, ma tutti sanno che l’ultima parola spetta al gabinetto di Ursula von der Leyen. E qui si entra in un’altra zona d’ombra, quella delle decisioni strategiche mascherate da solidarietà. Perché chi solleva dubbi su questo scenario viene subito zittito come anti-europeo, anti-ucraino o, peggio, filorusso. Ma il vero europeismo è anche trasparenza, responsabilità, difesa dell’interesse comune. E in questo caso l’interesse comune europeo chiede una riflessione seria, pubblica, senza ipocrisie. Per una nuova onestà europea. Integrare l’Ucraina non può significare svendere la terra europea ai fondi speculativi, penalizzare i nostri agricoltori e sottrarre risorse a chi già fatica a sopravvivere. È giusto aiutare un Paese aggredito, ma è altrettanto giusto non distruggere la nostra sovranità alimentare nel nome di un’ideologia espansionista mascherata da umanitarismo. Chiediamoci se l’Europa è pronta a pagare questo prezzo. E se i cittadini europei lo sono. Perché, alla fine, il terreno su cui si gioca questa partita non è soltanto quello del grano ucraino, ma quello dell’anima stessa dell’Unione Europea. E allora, davvero vogliamo barattare la nostra identità agricola per un patto opaco e costosissimo? La vera domanda non è quanto ci costerà. La vera domanda è: perché nessuno ce lo sta dicendo?
