Tira un po’ d’aria da Rivoluzione Francese sul settecentesco mondo dei Ferragnez (nessuno ha ancora indagato la società degli influencer come refolo o reflusso prerivoluzionario, peccato). Il popolo ha fame? Dategli il pandoro. Ovviamente sappiamo che la frase originale, la quale prevedeva brioche, è un falso storico se riferito a Maria Antonietta, ma conserva una verità semantica, se pure di attribuzione discussa, in riferimento a un certo modo di porsi nei confronti della “populace”, del popolaccio. Ma se nel tramontare del Settecento si addobbavano le perversioni ammantandole di valori oramai diventati ornamento kitsch, nella nuova Rivoluzione Francese Mediatica il modello del regnante è fondato esplicitamente sui soldi e sul consenso: il lusso non è più simbolo di un qualche potere politico (anche se i Ferragnez ogni tanto, come dicono nello Stato Pontificio, “ce provano”) bensì è esso stesso valore in sé: il media non è più il mezzo, ma, per così dire, tutto l’intero. È questo il momento, e lo si deduce anche dalla difesa estrema e anche un po’ isterica dei cortigiani (i followers) nei confronti dei loro monarchi, in cui anche chi ha aspirato alla cortigianeria si domanda: “Ma siamo anche noi come loro?”. È il sogno francese del parvenu, del “nuovo arrivato”, che arriva a Corte e trova gli stessi stilemi della plebe dalla quale proviene e vorrebbe fuggire: maldicenze, invidie, sessualità da strapazzo, pitali, sputacchiere, merda sulle scale. Fino ad oggi, sognare di fare parte del mondo della Ferragni era come sognare di essere ammessi in un salòn (specchi, quartetto d’archi, “pas menu”): un belletto, una parrucca, una tuta, una ciavatta firmata. E invece, d’emblée, “eccoallà”: l’accaparramento, l’assenza dell’amore nei matrimoni combinati, la carità esibita per rendere digeribile l’indigenza e l’ingiustizia sociale, i cicisbei, i “puppigni” in cui l’omosessualità non è rivendicazione di una esistenza ma gesto, mignolo, falsetto, slinguatina a Sanremo, sodomia mimata in platea (treschic!, ma come può esserlo una marchetta) e dove ad essere messa in discussione non è la realtà di un rapporto moglie-marito, ma la “scena”: mi hai rubato la scena, restituiscimi la scena, quella scena è mia, acchiappatelo, guardie!
Questo disvelamento mi sembra ancora più sostanziale di quello che portò alla fine della Prima Repubblica: che i partiti avessero bisogno di soldi era cosa nota; qui invece assistiamo alla trasformazione della nobiltà dello spirito (di manniana memoria) nella nobiltà del danaro: è nell’influencer il luogo dove denaro e immagine arrivano a coincidere. Essi non sono più portatori di valori se non di quel valore di “pagare al portatore”, valoroso in quanto “portatore”. E’ qui che l’immagine traballa: perché quando la Ferragni chiede scusa promettendo danaro è come se confessasse – e rendesse manifesta, mai farlo! - la sua visione del denaro come valore morale ed etico. Chiedere scusa, come ha fatto la Ferragni, promettendo soldi e soldi e soldi significa non avere capito nulla di quanto sta (e le sta) succedendo. Significa avere preso una sberla da mondo e non rendersi conto che la sua maniera di vedere l’esistente è fasulla: come il valore della moneta che non ha corrispettivo nella riserva aurea. È come gridare ai quattro venti: “È questo quello che penso, ma perché, non è così?”. Qui lo sbaglio: da geniale imprenditrice digitale a ingenuotta. Queste cose si fanno ma non si dicono: il confine tra carità e truffa è sempre stato labilissimo. È la fine di una illusione: in questo mondo dello spettacolo in cui gli stessi capezzoli della Chiara vengono mostrati sul palco dell’Ariston ma disegnati, “imitati”, e all’improvviso, invece, appaiono i capezzoli non mediati, capezzoli normali, tristi, su seni normali, floscetti. Ed è una beffa profonda e grandiosa che proprio una rappresentante – una delle più importanti - del mondo 2.0 si dimostri come in preda alla “volontà” schopenhaueriana: irriflessa, bestiale, basic, istinto cieco: pensavate fosse moda e invece erano pelliccia e pulci. Cacciare e raccogliere: lo stile dei Ferragnez che si mostra come estetica neanderthaliana. La stessa casa dei Ferragnez adesso appare come una grotta. Forse Guy Debord non si sarebbe ammazzato, ma avrebbe festeggiato con noi, vedendo questa Rivoluzione francese 2.0 nel reame dei social. Forse si sarebbe rallegrato nel vedere cervelli dei fan dei Ferragnez esplodere mentre si domandano: “Ma siamo anche noi come loro?”. Urca, sì! Crolla tutto: il matrimonio reale, la corte, i cortigiani, il mondo che danza nei salòn e che accumula rivestendosi di carità. Ma la carità non è mai stata una buona cosa: un mondo che ha bisogno di carità è un incubo. Una sanità che ha bisogno della Ferragni è una vergogna. Il popolo ha fame. Dategli il pandoro. Il pandoro non gli basta. Dategli le medicine. Come detto: il confine tra carità e truffa è labilissimo. Ma non parlo dei Ferragnez, parlo del nostro mondo.