C’è un aspetto del caso Ferragni-Balocco di cui nessuno parla. Nessuno tranne Camillo Langone, in grado di trovare anche nella notizia più mondana il controcanto raffinato, un motivo di denuncia realmente sociale, che ha a che fare con il gusto, con la cultura gastronomica e con una parola che ormai sembra aver perso qualsiasi connotazione positiva: tradizione. Come diceva Pier Paolo Pasolini, “chi si scandalizza è sempre banale; ma, aggiungo, è anche sempre male informato”. Quindi, messo da parte lo stupore per la multa e le reazioni a catena del tutto prevedibili, possiamo parlare di qualcos’altro: ovviamente dei consumatori. Come nota Langone nella preghiera pubblicata su Il Foglio, “panettoni, pandori, uova di cioccolato sono i dolci del gregarismo consumistico: piccole produzioni in origine locali e artigianali poi esplose a livello globale grazie ai mass media e a una certa facilità produttiva. Chi comprava questo tipo di dolci, a meno che non fosse milanese (per il panettone) o veronese (per il pandoro), già non pensava con la propria testa. Era dunque una vittima designata degli influencer”. Sembra qualcosa di totalmente trascurabile, ma non è così. Per evitare lo scandalo bastava evitare l’influenza degli influencer, cioè evitare di darla vinta al cattivo gusto. Secondo Langone: “Era prevedibile lo scandalo, era evitabile la delusione. Bastava comprare dolci davvero tipici, davvero territoriali. E si può sempre cominciare”.
Di quali dolci si tratta? Dei grandi esclusi dal mercato di massa, mentre panettoni e pandori industriali fanno ormai parte dell’economia di scala dell’Italia prenatalizia. Eccoli, allora: “Dolci come le cartellate baresi (Natale) o il casatiello napoletano, con le uova vere e intere (Pasqua), sono di ambito talmente circoscritto e di lavorazione talmente complicata che nessuna industria ha interesse a produrre, nessuna influencer ha interesse a promuovere. Fate beneficenza a voi stessi: cercateli, comprateli, mangiateli e poi fatemi gli auguri”. La preghiera gastronomica di Langone si estende oltre, per stile e citazioni notevoli di ricette notevoli, la pura polemica di cronaca. Al bisticcio si compensa con un’invettiva artusiana, italica, sì, da conservatore, la cui solitudine etterna dura, evidentemente anche a tavola. Ma a Natale è lecito sperare, poiché la speranza – al contrario delle mode orientaliste che vorrebbero negarle lo status di virtù – è anche una componente cristiana, di quel cristianesimo paolino che oggi viene continuamente contraffatto, ma resta lì: “Spe salvi factum sumus”, nella speranza siamo stati salvati. Che poi è l’inizio dell’enciclica di un papa ancora meno popolare, agli occhi dell’industria dei nuovi paganesimi, delle ricette consigliate da Langone.