Selvaggia Lucarelli ha contattato direttamente Franco Cannillo, l’imprenditore che ha acquisito Dolci Preziosi da Enrico Preziosi, storico patron e creatore del marchio: “Assolutamente non c’è stata correlazione tra le vendite delle uova e la donazione a I Bambini delle Fate”, ha detto. Sottolineando che, contrariamente a quanto emerso dagli spot apparsi sui social, Ferragni è stata lautamente remunerata per aver ceduto la sua immagine. Mezzo milione di euro nel 2021, 700mila euro nel 2022 per far comparire Ferragni, oggi reduce della donazione al Regina Margherita di Torino volta a chiudere il “Pandoro-gate”, a fianco dell’immagine delle uova di Dolci Preziosi. Un’anticipazione del caso Balocco? Cannillo ci tiene a sottolineare che non è così. “Sosteniamo - dice alla giornalista del Fatto - non vuol dire che se compri vai a sostenere la beneficenza. Significa che noi abbiamo fatto una donazione e lo comunichiamo. Sensibilizziamo!”. Franco Antonello, responsabile de I bambini delle Fate, l’associazione per l’infanzia sostenuta, ha aggiunto che mai la sua onlus ha avuto contatti diretti con Chiara Ferragni ai tempi delle campagne. E che dunque i 12mila euro ricevuti come donazione siano slegati dai 700mila versati alla moglie di Fedez per essere testimonial del prodotto.
Selvaggia Lucarelli, che aggiunge di aver notato le cancellazioni massicce di post promozionali sui social di questa campagna da parte di Chiara Ferragni, prova a ricostruire dunque la matrice. Non è possibile, dunque, che il mood promozionale di Balocco possa essere lo stesso adottato da Ferragni in altre campagne? Possibile. Aggiungiamo noi: non solo per l’ex Blonde Salad vale questo principio. Basta rifarsi alla comunicazione dell’Antitrust per la multa a Balocco e alle società di Ferragni. L’Agcm scrive chiaramente, infatti, che la Ferragni ha ottenuto un ritorno economico come testimonial e donna-immagine, mentre l’azienda, che ha ricevuto un guadagno minore, ha ottenuto dall’accordo sul “pandoro della discordia” un guadagno in termini di brand, svecchiando il marchio. Questo è il centro dell’accordo non scritto tra aziende e influencer. Le aziende si servono dell’immagine degli influencer per motivi d’immagine più che per fini economici: dubitiamo che in due anni Dolci Preziosi abbia avuto dalla linea di prodotto sponsorizzata una marginalità tale da ripagare con gli utili gli 1,2 milioni di euro dati a Ferragni per la sua immagine. Ma certamente il guadagno dell’associazione con l’imprenditrice più nota d’Italia è valso l’investimento. Al contempo, gli influencer ragionano a tutti gli effetti come imprenditori tesi a massimizzare il proprio guadagno.
La leva ottimale per farlo? Il “capitalismo della filantropia”. Tema discusso da tempo nel mondo anglosassone che prova a unire buoni sentimenti morali, immagini virtuose e consumismo. In un intreccio tra visione sociale dell’economia e neoliberismo che ipoteca al consumo il potere di sbloccare i doni per i più bisognosi. Un’immagine che siamo abituati a vedere nelle pubblicità e che il caso Balocco ha, forse definitivamente, infranto. Del resto, legare una campagna di donazioni al successo di una linea di prodotto è quantomeno fuorviante. Meglio, per un’azienda, provare a prendere due piccioni con una fava: ripagare la campagna solidale e migliorare la propria immagine con l’associazione a un influencer. Mentre per figure come Ferragni associarsi a campagne di marketing solidali consente di non compromettere l’idea di purezza associata agli influencer, che nascono proprio contro o in critica al sistema pubblicitario dei marchi come fenomeno indipendente e ne finiscono per diventare parte integrante. Ma è l’illusione di purezza degli influencer a dover essere messa da parte nel discorso pubblico: essi si muovono e agiscono come imprenditori di loro stessi, avendo come arma la visibilità. Lo scoop di Selvaggia Lucarelli è sicuramente ottimale giornalisticamente, ma moralmente finisce solo per confermare i sospetti di tutti. Ovvero la strumentalità della solidarietà. Che oggi imbarazza Ferragni, ma appare come un problema del sistema legittimato dalla scelta dei consumatori. Insomma, l’idolo dei progressisti italiani è simbolo del capitalismo nella sua versione più moderna, quello dell’immagine. E i fatti continuano a dimostrare questa singolare contraddizione. Ma in questo mondo d’oggi non c’è più molto di cui stupirsi. E non è finita, perché anche Fedez è nel mirino di Selvaggia Lucarelli.
Le critiche della giornalista coinvolgono anche le uova Walcor sponsorizzate dal marito di Chiara Ferragni. Su Instagram la giornalista ha promosso un attacco a tutto campo a Fedez, che avrebbe ripetuto lo stesso schema della moglie facendosi testimonial delle uova di Pasqua Walcor finalizzate a una donazione a Fondazione Tor che l'azienda non avrebbe finanziato con il testimonial di Fedez. Stupisce, poi, come Fedez abbia giocato all'attacco di fronte alle accuse alla moglie rivendicando la beneficenza: "Abbiamo fatto una raccolta fondi da 4 milioni di euro e abbiamo costruito una terapia intensiva da 150 posti letto in 10 giorni che ha permesso di salvare centinaia di vite. Al governo e alla Regione Lombardia sono serviti 10 milioni di euro per costruirne una dopo mesi", ha detto Fedez, ricevendo la risposta della Regione: "L'ospedale in Fiera è nato per iniziativa di Fondazione Fiera Milano, è stato interamente finanziato insieme a centinaia di persone e migliaia di benefattori, da importanti nomi dell’economia italiana a Pietro, tredici anni, che decise di devolvere la propria paghetta. Non un euro pubblico è stato utilizzato". Quattordici e non 150 i posti letti ottenuti al San Raffaele con la donazione dei Ferragnez. In questo caso ci limitiamo a invocare l'evangelico motto: "Non sappia la mano destra ciò che fa la mano sinistra". Tanto basterebbe a ricordare che la carità migliore è quella che si fa nel silenzio e che la beneficenza di ieri non cancella i possibili errori e le magagne di oggi e domani. Aggiungiamo: è cattivo gusto rivendicare l'entità delle buone azioni. In quanto tali, dovrebbero essere un atto di gratuità. Non una medaglietta di cui vantarsi. Le migliaia di donatori silenziosi che hanno aiutato case di riposo, ospedali, pubbliche assistenze durante la pandemia, con risorse infinitamente inferiori a quelle della coppia più nota d'Italia, non valgono certamente meno di Fedez e Chiara Ferragni. E spesso la loro donazione può essere considerata più genuina.