Tra le tante vittorie del nostro Governo si aggiunge, in data di oggi, il riconoscimento della cucina italiana come patrimonio immateriale dell’UNESCO. Traguardo che, ha puntualizzato il Premier, siamo i primi ad ottenere nel mondo. Forse siamo anche i primi a farne richiesta. Starà ridendo la Mina di fine anni Settanta, quella che faceva la parte della casalinga borghese in grande difficoltà tra bovini della Gallura e vini delle Langhe per poi confondere la merda col cioccolato. Di contro quella casalinga, quella vera, sarà terribilmente infastidita da chi questo nuovo traguardo della cucina italiana non riesce a festeggiarlo. Oggi l'UNESCO è come l’Accademia della Crusca quando inserisce nel vocabolario italiano il termine petaloso, la cucina italiana invece è soprattutto un libro stantio che invade i mercatini dell’usato di una qualunque provincia italiana.
È tutto assurdo, degradato. Lo è il riconoscimento di per sé che non eleva, non tutela e non accresce in alcun modo la nostra cucina né tantomeno si disturba a farlo, tanto che è “patrimonio immateriale” e quindi non c'è neanche bisogno di piantarci un cartello davanti. È un titolo, questo, che vale come il “dottore” con cui ti appellano al bar dell'Autogrill. È degradante il fatto che a far notare questa comica bolla di niente si passi da disertori della patria, residui bellici del partito comunista, sinistrati schierati. Sono anche troppe parole, queste. Per rendersi conto della follia a cui veniamo sottoposti basterebbe questo scatto memorabile col Ministro Tajani mentre festeggia l'ambito titolo: è a Nuova Delhi, circondato da mamuthones sardi, alle spalle ha la scritta UNESCO stampata in Word Art.
Eppure la cucina italiana stessa non sembrava passarsela troppo bene, specialmente a casa di chi fa fatica a praticarla alla fine del mese. Ecco, così scopriamo che non c’è da stupirsi se gli italiani non possono permettersela: è roba raffinata la cucina italiana, è patrimonio dell’UNESCO e finalmente puoi placare quel senso di smarrimento che ti coglie mentre esci dal supermercato con lo scontrino in mano e due sacchetti di nulla.
Eppure noi abbiamo la cucina patrimonio dell’UNESCO. Che fanno questi dell'UNESCO, vengono a mangiare? Prenota Tajani un tavolo per quattro direttamente da lì, dall'India? Che vengano anche loro come le frotte di turisti che invadono le città, scacazzando in ogni angolo con quello che ora si chiama overtourism, una gentrificazione in cui però l’ambiente non fa altro che peggiorare. Vengano a prenotare un altro AirBnb, un altra pizza surgelata fatta con lo scarto, un bel piatto di pesce importato dal Portogallo da buttare giù col cappuccino.
Viviamo nel paese delle prenotazioni. Un paese sprezzante per l’accoglienza delle persone che però si spertica per accogliere il turista con i ristoranti, gli alberghi, le spiagge, le esperienze, i negozi. In televisione abbiamo i programmi per aspiranti cuochi, quelli che valutano il servizio dell’hotel che se non c'è il topper va molto male, talent show su come si organizza un matrimonio. Aspiriamo a diventare il villaggio vacanze della gente perbene. Siamo un paese col parruccone e le smagliature, un paese che ha fame e che aspetta una ciotola da cui nutrirsi, siamo un paese a cosce aperte.
Certo, son due belle cosce. Potremmo candidarle a patrimonio dell’umanità.