Italiani, popolo di santi, poeti e navigatori. E pure di cuochi, specialmente durante il fine settimana. Aldo Grasso ricorda come in questa domenica 21 settembre nelle piazze di molti comuni d’Italia si siano organizzate tavolate comunitarie a sostegno della candidatura della cucina italiana a patrimonio immateriale dell’Unesco. In quell’elenco, scrive Grasso sul Corriere, “già troneggiano la pizza, i pupi siciliani, la transumanza, la dieta mediterranea, il canto a tenore sardo. E un'iniziativa promossa dal ministro Giuli, dal ministro Lollobrigida e dall'associazione dei Comuni. Mogol e Al Bano hanno scritto l’inno: ‘Vai Italia’”. Scenari vanziniani, a cui però siamo abituati da anni di pranzi con le nonne; scenari culinari che rispecchiano “il territorio, quello della Sovranità alimentare ha parlato di antichi saperi tramandati: è Slow Food in salsa Lollobrigida!”. Tempo fa abbiamo intervistato Alberto Grandi, del Doi podcast, che proprio sulla presunta antichità delle ricette italiani ha espresso dubbi legittimi (e fondati). Ecco, di nessuna incertezza sembrano soffrire i promotori di questa “iniziativa sentimentale”.

Occhio però, perché come ricorda Grasso (che cita il Guardian) “la tutela dell'Unesco diventa spesso una sorta di ‘bacio della morte’”. Ma se l’introduzione tra i patrimoni immateriali è una questione sia simbolica sia di immagine (e dunque di marketing), prettamente economica è la questione dei dazi: “Il vero problema è che l'introduzione di dazi al 15% da parte degli Stati Uniti sui prodotti agroalimentari italiani rischia di far perdere oltre un miliardo di euro al comparto: era lì che si doveva scendere in piazza”. Anche perché, chiude Grasso, “l'immateriale è un album dei ricordi, il materiale è il pranzo quotidiano”.

