A far rumore in questi ultimi giorni sono stati gli scontri tra il Governo Meloni (ma non solo) e il Gruppo Stellantis. La Premier punta il dito contro John Elkann e Carlos Tavares (amministratore delegato), e questi due rispondono per le rime al Presidente del Consiglio. Una baraonda a colpi di accuse, che partono dalle pagine di giornale e dagli studi televisivi, ma anche dalla Camera dei Deputati (come riportato su MOW). E in tutto ciò potrebbe celarsi anche un (insperato) accordo. Infatti, gira voce che Ferrari, di cui Elkann è il presidente, starebbe pensando di riportare la sua sede legale in Italia. Già, perché adesso il Cavallino di Maranello in realtà si trova in Olanda, come tante altre aziende italiane. Lo rivela Stefano Cingolani, giornalista de Il Foglio, in un suo articolo: “La camera di commercio italiana ad Amsterdam ha l’elenco preciso di tutte le società che hanno trasferito in Olanda la loro sede legale”. Si viene a sapere, così, che negli ultimi dieci anni sono state ben tredici le (grandi) aziende che hanno preso il volo per Amsterdam; e adesso, grazie al ddl capitali potrebbero far ritorno in patria, o perlomeno potrebbe Ferrari. Infatti, nonostante i dubbi iniziali, Cingolani rivela che “l’amministratore delegato Benedetto Vigna nel novembre scorso, quando il ddl era stato approvato al Senato, ha dichiarato che non stava pianificando nessun ritorno della sede legale”, adesso tutto potrebbe cambiare dopo che “ci sono stati ritocchi al testo e soprattutto è salito lo scontro del governo Meloni con John Elkann”. E, si legge ancora sul Foglio, “se davvero questo ripensamento diventasse realtà sarebbe letto come un gesto di buona volontà se non di vero e proprio appeasement che Giorgia Meloni non potrebbe non cogliere”. Comunque sia, il ddl capitali (che renderebbe “possibile potenziare il voto maggiorato fino a dieci volte, esattamente come avviene nei Paesi Bassi” spiega il Foglio) viene criticato aspramente da “un vasto fronte della finanza del nord”, come fa sapere lo stesso Cingolani; ma, continua il giornalista, “un eventuale ritorno della Ferrari metterebbe in difficoltà il fronte del no”, e inoltre “sarebbe un esempio importante per un’Italia che ha bisogno di capitali e di grandi imprese”. Infine, c’è chi torna, o comunque potrebbe tornare, ma c’è anche chi resta, come Maserati (sempre parte di Stellantis). Tramite il ceo Davide Grosso, il Tridente di Modena dichiara: “Con la nostra visione e il nostro piano strategico a lungo termine vogliamo lasciare un segno nel mondo del lusso grazie all’eccellenza manifatturiera italiana”. Quindi ci troviamo di fronte a delle prove d’amore tra Elkann e Meloni? Può darsi, ma intanto lo scontro tra i due fronti sembra farsi sempre più aspro...
A prendere le difese del Governo, dopo gli ultimi attacchi arrivati da la Repubblica (quotidiano edito da Elkann) e La Stampa (giornale torinese), ci pensa Libero, che prima passa in rassegna tutti i battibecchi dei giorni passati, e poi parte all’attacco. Tramite un portavoce di Stellantis, che è intervenuto al question time alla Camera, si viene a sapere che “l’azienda ha investito diversi miliardi di euro nelle attività italiane per nuovi prodotti e siti produttivi", ma anche che “oltre il 63% dei veicoli prodotti lo scorso anno negli stabilimenti italiani di Stellantis sono stati esportati all'estero, contribuendo così alla bilancia commerciale italiana”. E a questo punto Libero si chiede: “Caso chiuso?”. Sembrerebbe proprio di no, visto che, scrive il giornalista Sandro Iacometti, “quei «diversi miliardi» investiti dagli Agnelli-Elkann in Italia dovrebbero essere messi a confronto con le vagonate di miliardi che l’Italia ha investito in Fiat-Fca-Stellantis”. La cifra esatta non la conosce nessuno, ma sono molte le valutazioni fatte nel corso degli anni, e il giornale fondato da Vittorio Feltri le cita tutte. Quindi si parte dal dato del “sindacato Cub, che parla di circa 500 miliardi di aiuti concessi dal dopoguerra ad oggi, compresa l’acquisizione del gruppo Alfa Romeo a prezzo di saldo (500mila euro) e lo stabilimento di Melfi pagato dallo Stato per il 50% (1,5miliardi)”. Poi è il turno di “Federcontribuenti, che nel 2012, valutò in circa 220 miliardi il bottino incassato dal gruppo torinese dal 1975 tra contributi a fondo perduto, casse integrazioni, prepensionamenti e rottamazioni”, e nello stesso anno “il deputato di Fratelli d’Italia, Masso Corsaro, quantificava, in una interrogazione parlamentare, in circa 100 miliardi i finanziamenti diretti e indiretti”. Mentre, infine, “ben più bassa, ma sempre assai consistente, è invece la rilevazione effettuata dalla Cgia di Mestre, secondo cui tra il 1977 e il 2012 la Fiat avrebbe ricevuto contributi a fondo perduto per circa 7,6 miliardi di euro”. Inoltre, ricorda sempre Iacometti su Libero, “non c’è bisogno di andare così indietro nel tempo per verificare quanto lo Stato sia stato generoso con il suo principale player dell’automotive”. Si ricordano, così, i “369 milioni con cui il governo supporterà la Gigafactory di Termoli”, ma anche la “maxi linea di credito da 6,3 miliardi concessa dal governo Conte II tramite Intesa Sanpaolo con garanzia Sace a Fca Italy nel 2020, durante la pandemia, per «preservare la filiera automotive italiana»”, prestito “restituito in anticipo da Stellantis” precisa Iacometti, anche se “la produzione non è ancora tornata ai livelli pre-Covid” e “dal 2021 il gruppo ha lasciato a casa quasi 8mila lavoratori”. La pace sembra lontana…