Sono giorni di grandi scontri per il presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Scontri politici, ovviamente, ma non solo… Infatti, dal programma di Rete 4 Quarta Repubblica condotto dal giornalista Nicola Porro, la Premier aveva attaccato senza mezzi termini la famiglia Agnelli-Elkann (e Carlos Tavares) per quanto riguarda il Gruppo Stellantis e, di conseguenza, anche la Fiat (oltre che il quotidiano la Repubblica); com’è possibile leggere in questo articolo di MOW. Questione che in queste ore è tornata alla ribalta durante il question time alla Camera dei Deputati. Tutto nasce da un’interrogazione del deputato di Azione, Matteo Richetti; ricordiamo anche che il segretario dello stesso partito (Carlo Calenda) in un’intervista rilasciata a il Messaggero non è stato certamente avaro di critiche nei riguardi di Stellantis e John Elkann (parole riportate anche da MOW). Comunque sia, Meloni non abbassa i toni, anzi, anche se in qualche modo cerca di tendere la mano al Gruppo industriale, visto che, dice ha detto il Presidente, “noi vogliamo, come sempre, difendere l’interesse nazionale e instaurare un rapporto equilibrato con Stellantis”. Per questa ragione, continua, “è stato sottoscritto un protocollo d’intesa tra il Ministero delle Imprese e del made in Italy e l’associazione della filiera dell’automotive, è stato istituito un tavolo permanente di sviluppo del settore”, e inoltre “per questo ancora abbiamo previsto degli incentivi, come l’ecobonus (in arrivo a febbraio, ndr) per sostenere la domanda e misure di sostegno per attrarre nuovi investitori e nuovi costruttori”. Inoltre, la Meloni ha reso chiaro anche qual è l’obiettivo del Governo, ovvero “tornare a produrre in Italia almeno un milione di veicoli l’anno con chi vuole investire davvero nella storica eccellenza italiana”; e per questo motivo, ha detto la Premier, “abbiamo modificato le norme, da una parte incentivando chi torna a produrre in Italia e, dall’altra, scoraggiando chi delocalizza, che dovrà restituire ogni beneficio o agevolazione pubblica ricevuta negli ultimi dieci anni”. Insomma, ha continuato Meloni, “se si vuole vendere un’auto sul mercato mondiale pubblicizzandola come ‘gioiello italiano’, allora quell’auto dev’essere prodotta in Italia. Questa è un’altra questione che intendiamo porre, perché con l'attuale governo queste sono le regole, e valgono per tutti”. La polemica a questo punto si infiamma con la risposta di Stellantis (e de La Stampa)...
Nel suo intervento al question time, Meloni è anche tornata sull’argomento della francesizzazione della Fiat. “Il gruppo Fiat e i marchi italiani collegati - detto il Presidente del Consiglio - rappresentano una parte importante della storia industriale nazionale e un patrimonio che merita la massima attenzione, e questo credo significhi avere anche il coraggio di criticare le scelte del management, come lo spostamento della sede fiscale all’estero, o l’operazione di presunta fusione tra FCA e il gruppo francese PSA che celava in realtà un’acquisizione da parte francese dello storico gruppo italiano tanto che oggi nel cda di Stellantis siede un rappresentante del governo francese, e non è un caso - conclude - se le scelte industriali del gruppo tengano conto molto più delle istanze francesi”. La risposta di Stellantis non si è fatta attendere. Il giornalista Paolo Griseri (La Stampa) ha reso noto quanto detto da un “portavoce di Stellantis” che “ha ricordato ieri i numeri della produzione in Italia e il fatto che «il 63 per cento dei veicoli prodotti sia destinato all’esportazione», dunque produca in vantaggio per i conti della Penisola. Stellantis, dicono a Torino, «è fortemente impegnata in Italia dove ha investito diversi miliardi di euro in nuovi prodotti e siti produttivi»”. Inoltre, Griseri mette in chiaro la questione della de-industrializzazione, tema caldo in questi giorni. Secondo il giornalista del quotidiano torinese, dunque, “è stata la stessa premier a smentire questa regola assistendo, nel dicembre scorso, all’annuncio del leader serbo Vucic che ha approfittato della visita della collega italiana per dire che la Panda elettrica verrà prodotta nel suo Paese”, questione trattata anche da MOW. E inoltre, riguardo alla questione del made in Italy che deve essere prodotto in Italia, Griseri scrive che “il criterio, del resto, è scivoloso: a Melfi non dovrebbero più produrre Jeep Renegade e Compass. Ed è dubbio che i suv Lamborghini (marchio italiano ma gruppo tedesco) potrebbero continuare ad essere costruiti in Emilia. Perché - termina - l’auto, prodotto globale per antonomasia, sfugge al sovranismo della lamiera”. E infine svela anche la ragione della presenza di un rappresentante del governo francese nel cda di Stellantis: “Questo accade perché al momento della fusione il gruppo francese Psa aveva all’interno rappresentanti del governo di Parigi, come è sempre avvenuto. Perché Fca non aveva un membro del governo italiano in Cda? Perché - continua Griseri - i vari governi di Roma si sono ben guardati dal farlo e perché se lo avessero fatto i liberisti oggi alleati di Meloni e la sinistra radicale oggi nel Pd sarebbero insorti all’unisono. Stupirsi adesso di questa oggettiva disparità tra Roma e Parigi nella stanza dei bottoni di Stellantis rischia di essere un puro elemento di propaganda”. Ma quindi, questa de-industrializzazione c’è o non c’è?
A questa domanda risponde il giornalista Claudio Antonelli de La Verità. In un suo articolo sull’edizione odierna (25 gennaio) del giornale diretto da Maurizio Belpietro, rivela: “Ignorato l’allarme del Copasir su Stellantis”. Insomma, secondo le rivelazioni di Antonelli, “prima delle nozze fra Peugeot e Fca, il Comitato per la sicurezza denunciò il rischio deindustrializzazione. Ma il Conte bis rimase indifferente”, realizzando così “i desideri di Emmanuel Macron e del deep State francese”. Inoltre, si legge su La Verità, “lo Stato francese è azionista (di Stellantis, ndr) assieme alla famiglia Peugeot con il 7%, ma inutile dirlo pesa (a livello politico e strategico) più della Exor degli Elkann”, e in Italia nei giorni della nascita del Gruppo, nato il 16 gennaio 2021, scrive ancora Antonelli, “in quei mesi cruciali si è dormito. Ministro dello Sviluppo economico, se così si può definire, era Stefano Patuanelli. Lui e il premier Giuseppe Conte - continua Antonelli - tacciono o sono distratti da altro”. Strano, visto che “dal nostro comparto di intelligence e soprattutto dal Comitato parlamentare per la sicurezza (Copasir) arrivano allarmi pesanti. Sintetizzabili così: l’operazione Stellantis può deindustrializzare il Paese”. La questione, durante il Governo Draghi, era stata anche affrontata in Aula. A parlare era stato prima Alfredo Urso di FdI, allora senatore e oggi ministro, e poi Giancarlo Giorgetti della Lega, adesso ministro dell’economia e delle finanze. Ma nulla si è mosso. Poi Antonelli riporta alcuni dati piuttosto impietosi: “All’inizio del Duemila Fiat aveva in Italia più o meno 75.000 dipendenti. A fine dicembre 2023 siamo a 45.000, ma di questi solo 26.000 si occupano di produzione di veicoli”. Infatti, continua il giornalista, “da febbraio 2021 a oggi (due anni) Stellantis ha lasciato per strada 7.000 operai. Tutti italiani. Quelli francesi sono tutelati”. Insomma, la situazione è grave, per non dire tragica, e Antonelli, dopo aver azzardato alcuni consigli e aver puntato il dito anche contro il quotidiano edito da Elkann, avverte: “Basta scherzare sull’industria pesante. È il futuro del Paese”.