Ancora un “ragazzo modello” che sembra aver compiuto una atrocità? Anzi, stavolta una ragazza, e come sempre più spesso succede con una famiglia definita “perfetta”. Sto parlando di Chiara, la 22enne di Traversetolo (Parma) indagata per omicidio volontario e occultamento di cadavere. Non di uno, ma di due neonati che avrebbe partorito anzitempo all’insaputa di tutti, genitori e fidanzato compresi, nascosto in una buca nel giardinetto di casa per poi andare in vacanza a New York (con tanto di foto sui social). No, non è un film dell’orrore. È la realtà. Com’è la realtà quella di Riccardo, 17 anni, che a Paderno Dugnano qualche giorno fa ha prima giocato alla PlayStation e poi ha fatto una strage uccidendo padre, madre e fratello con 68 coltellate (39 sul corpo del fratellino Lorenzo, 12 alla madre e 17 al padre). Il motivo di tanto accanimento? "Volevo vivere libero". Eppure, rispetto ad altri delitti del passato, non sembrano esserci tracce di maltrattamenti, molestie o costrizioni subite. Non poteva sopportare di aspettare un anno e, conquistata la maggiore età, andarsene dove gli pareva? No, ma la famiglia non c’entra, o almeno non è la prima responsabile. Come non c’entra con Chiara e non c’entra neanche con il ragazzo che in Sardegna qualche mese fa ha lanciato un gatto da un ponte (uccidendolo) e pubblicato il video sui social. Forse - sottolineo forse non essendo uno psicologo ma un semplice osservatore - c’entra qualcos’altro che unisce queste storie tremende che hanno per protagonisti giovanissimi senza un movente: la tecnologia.
Per chi non è nativo digitale è più semplice comprendere che, oltre allo smartphone, esiste un mondo reale che può riservare gioie e dolori e, in entrambi i casi, la possibilità di condividerli con persone in carne e ossa, sia che si tratti di emozioni positive che di emozioni negative. Per chi, invece, è cresciuto con il cellulare fra le mani già in tenera età - quanti genitori tengono i figli di fronte ai tablet per ore ed ore (al ristorante è pieno) per ritagliarsi qualche attimo di indipendenza in più? - mi sembra sempre più complesso distinguere ciò che è vero e ciò che è virtuale. I vecchi “cartoni animati” si sono trasformati in anime super complessi dal punto di vista grafico per mantenere costante l’attenzione, ma con trame basiche e prive di insegnamenti morali. Le care e vecchie fiabe, dove un bambino imparava a riconoscere chi erano i buoni e i cattivi - e le conseguenze riservate a entrambi - hanno lasciato prima il posto a supereroi che avevano come unico scopo quello di salvare il mondo (e visto il risultato concreto possiamo dire che hanno fallito nell’insegnamento) e ora a personaggi che spingono a delle sfide continue, o meglio delle challenge, che dagli anime si trasferiscono sui social. La stessa sfida, d'altronde, a cui ci costringono i social stessi, qualsiasi piattaforma utilizziamo: avere più follower, essere più belli (ormai chi è che non usa i filtri?), più performanti (uno che parla tranquillamente di un argomento è rimasto?) e più veloci (se non posti si abbassa l’engagement). Tutto bellissimo, come recita uno dei claim di MOW, ma anche tutto estremamente discutibile. Non ci sono più pause, non c’è noia, è abolito il cazzeggio nei parchetti a sognare di quella o di quello che ci piaceva ma non ci stava, a fumare o bere in compagnia sparando minchiate (spesso creative), nessuno spazio per le imperfezioni, che dalle prese per il culo tra pochi amici si sono trasformate in qualcosa da eliminare con l’IA o in un marchio di infamia rispetto al gruppo di “eletti” in target all’estetica dominante.
Discorsi da boomer? Un po’ sì. Ma fino a un certo punto. Le stragi familiari, gli infanticidi, la violenza sugli animali esistono dalla notte dei tempi, quello che però sembra un fenomeno nuovo, che spetta agli esperti decifrare - e provare a contrastare - è questa indifferenza, questa mancanza di empatia verso gli altri, questa spersonalizzazione che svuota l'anima verso genitori, fratelli, figli o migliori amici (pelosi o meno) degli esseri umani. E cosa possono fare le famiglie, lasciate sole dalle istituzioni e da quelli che una volta venivano chiamati “i corpi intermedi” (sindacati, associazioni, parrocchie) e composte anche da persone che non hanno il tempo di sorvegliare i propri figli perché impegnate in lavori che a malapena gli permettono di arrivare alla fine del mese o che non hanno gli strumenti per comprendere le conseguenze di un uso smodato della tecnologia? Nulla. Così, in un mondo Occidentale dove da tempo hanno perso ogni valore le ideologie e le religioni, ci mancava la mazzata finale: la generazione di “ragazzi modello” per i quali la vita vale meno di un selfie?