Vanessa Ballan, la giovane mamma uccisa con nove coltellate dall’uomo con cui era stata legata per un breve periodo, il quarantunenne Bujan Fandaj, è l’ennesima vittima di femminicidio di questo 2023 ormai agli sgoccioli. Con il funerale in diretta televisiva di Giulia Cecchettin, celebrato solamente qualche settimana fa, pensavamo che la mattanza delle cadute sotto la mano assassina di partner o ex partner sarebbe finita. C’è stata un’illusione di massa. Non era così. E noi addetti ai lavori sapevamo che quell’illusione sarebbe durata poco. Lo sapevamo perché per il cambiamento culturale ci vorranno decenni. O forse più. Ciò non significa che non dobbiamo continuare a lottare. Anzi. Dobbiamo farlo affinché nessun’altra vita venga spezzata, analizzando il fenomeno disabilitando la modalità struzzo. Discutere sul fatto che Vanessa Ballan fosse incinta non significa affatto rendere meno vittime le altre donne. Qualcuno ha avuto il coraggio di farlo. Disquisire sulla sua gravidanza, e considerando gli accertamenti medico-legali volti ad attribuire o meno la paternità all’assassino, significa eventualmente discutere sul tipo di pena da comminare. Significa comprendere in pieno che è stata uccisa una donna. Per di più incinta, madre già di un bambino di appena quattro anni. Se il figlio fosse stato di Bujan Fandaj sarebbe astrattamente applicabile anche l’aggravante al reato di omicidio volontario. Vanessa poteva e doveva essere salvata. Aveva denunciato il kosovaro per atti persecutori e l’aveva fatto accompagnata in procura dal marito. Forse, questo non era sufficiente? No, non lo era. Come non si sono rivelati sufficienti i messaggi carichi di odio e di disprezzo correlati da minacce di morte. Il procuratore di Treviso, prima in conferenza stampa e poi in un’intervista a mezzo stampa, ha dichiarato che sussistevano i presupposti per il divieto di allontanamento di Bujan Fandaj e che la Procura della Repubblica ha sbagliato a non disporre la misura. Per poi sollevare dubbi sulla reale efficacia della medesima. “In sostanza c'è stata una valutazione di non urgenza della richiesta di misura cautelare del divieto di avvicinamento. Con tutte le riserve sull'efficacia che questa misura avrebbe poi avuto concretamente su un soggetto che quando ha deciso di uccidere lo ha fatto e ha messo un conto di buttar via anche la sua vita, con un lungo periodo di carcere o di latitanza”. Dunque, che cosa se ne dovrebbe ricavare? Che se qualcuno decide di uccidere la propria partner o ex partner non serve a niente denunciare? O ancor peggio è inutile applicare misure di sicurezza? E allora cosa l’abbiamo fatta a fare la legge Roccella? Il ddl dell’omonima legge, entrata in vigore il 9 dicembre dietro la spinta del femminicidio di Giulia Cecchettin, ha previsto misure stringenti. Come la disposizione per la quale se entro trenta giorni dalla denuncia il pubblico ministero non richiede una misura cautelare deve motivarlo. Ora, è vero che la vigenza del Codice Rosso rafforzato è successiva alla denuncia presentata da Vanessa Ballan avvenuta lo scorso ottobre, ma nel nostro Paese, purtroppo, Giulia Cecchettin non è certo stata la prima vittima di femminicidio del 2023. E allora quante Vanessa e Giulia devono ancora morire perché le loro denunce restano pendenti? Ci saranno altre sanguinarie sottovalutazioni del rischio?
La Procura aveva disposto il sequestro dei tre telefoni del kosovaro per comprendere le sue reali intenzioni. Ciò perché Vanessa aveva cancellato alcune chat per non farle leggere al compagno. Una circostanza che, a mio modo di vedere, aggrava se possibile la questione. Forse Vanessa non era del tutto meritevole di essere creduta? Forse perché in qualche modo quella relazione fedifraga poteva mettere in discussione la pericolosità del suo stalker? Sempre dalle parti di chi indaga, ora e per omicidio, è emerso che Bujan Fandaj era un incensurato. Come se questo potesse scriminarlo a priori. Forse ci vorrebbe una maggiore informazione. E ci vorrebbe perché, lo insegna anche lo storico giudiziario, chi si macchia di questi tipi di reati non ha né alcun tipo di storico clinico né precedenti penali per reati contro la persona. Cambiano i volti, i nomi, e talvolta le armi usate per uccidere. Ma lo scenario non cambia e si ripete costante in tutte le sue più drammatiche variabili. Se per Giulia Cecchettin si parlava di omicidio di Stato, a maggior ragione se ne deve parlare per Vanessa Ballan. Vanessa, a differenza di Giulia, troppo piccola per percepire il rischio a cui andava incontro, aveva denunciato il suo aguzzino. Colui che la stalkerizzava e la minacciava con ogni mezzo. Prima di ucciderla nella sua abitazione. Le leggi ci sono, le denunce anche. Di chi è questa volta la colpa? Solo di Bujan Fandaj? Quel che è certo è che siamo un paese che la sera inasprisce le pene ed il giorno conta le morte.