È polemica sull’emendamento presentato dal deputato di Azione, Enrico Costa, votato dalla Camera dei deputati, che modifica l’articolo 114 del codice di procedura penale e vieta di pubblicare, in forma “integrale o per estratto”, l’ordinanza di custodia cautelare fino all’udienza preliminare. Abbiamo cercato di capirne di più interpellando Michele Partipilo, giornalista e autore di testi dedicati alla deontologia professionale: “Il quadro è fortemente penalizzante per la libertà di cronaca”. Intanto, l’ordine dei giornalisti ha commentato: “Il divieto di pubblicare anche solo stralci delle ordinanze di custodia cautelare non ha nulla a che vedere con il principio di presunzione di innocenza, ma costituisce una pesante limitazione del diritto di cronaca”. Secondo l’odg, infatti, “ai cittadini viene impedito di conoscere le motivazioni che hanno determinato gli arresti e quindi di sapere i motivi che hanno indotto magistrati e forze dell'ordine ad assumere provvedimenti che limitano la libertà individuale. I cittadini devono sapere perché vengano presi provvedimenti così pesanti per poter esercitare un controllo sull'operato della magistratura”. Il deputato Costa si difende, e spiega: “Col mio emendamento si potrà dare la notizia e spiegare il contenuto dell'ordinanza. Sarà vietato pubblicare testualmente l'atto processuale, zeppo di intercettazioni e informazioni ancora da verificare”.
Michele Partipilo, si sta dibattendo in queste ore sull’emendamento Costa che vieta la pubblicazione, per “integrale o per estratto”, delle ordinanze di custodia cautelare fino all’udienza preliminare. Che cosa comporta questa modifica dell’articolo 114 del codice di procedura penale e qual è la novità sostanziale?
Precisiamo intanto che l’articolo 114 del codice di procedura penale è quello che mette le briglie a tutto ciò che è pubblicabile. Infatti, prevede una serie di divieti, a cominciare da quelli che riguardano le notizie sui minorenni o le immagini sulle persone in manette, oltre al divieto di pubblicare una serie di atti giudiziari. Fino a oggi, l’ordinanza di custodia cautelare era l’unico atto che poteva essere pubblicato, sia citando atto per intero o per estratto, sia facendo un riassunto del contenuto. Con questa modifica che si vuole introdurre, questo atto perde questa caratteristica e pone come condizione per la pubblicazione che avvenga appunto al momento del processo. Di tutta la fase delle indagini preliminare in cui una persona può subire dei provvedimenti di natura cautelare, non si possono citare le parole contenute nell’ordinanza. Quello che si può fare è fare il riassunto di quell’atto. Il cronista giudiziario sarà così costretto a fare un giro di parole per evitare di usare gli stessi termini, poiché altrimenti rischierebbe di violare la norma.
Che ripercussioni ha questo emendamento, dunque?
Questo contribuisce a limitare il diritto di cronaca. Se è comprensibile lo spirito con cui la norma è stata introdotta, cioè difendere la presunzione di innocenza, rivela però alla base un conflitto di fondo. Come al solito i giornalisti si ritrovano a essere tra l’incudine e il martello. Spesso ci si ritrova dinanzi a ordinanze di custodia cautelare che sono redatte utilizzando termini piuttosto crudi e violenti, e soprattutto con una forza accusatoria notevolissima. Allora è chiaro che riportando tra virgolette quelle parole e quei termini il giornalista accentua la capacità accusatoria dell’atto e la presunzione di innocenza ne può risultare compromessa.
Quindi si scarica tutto sui giornalisti?
La questione è questa: se ci sono dei magistrati che, magari, per avere i titoli sui giornali, per fare carriera, o per altre ragioni, forzano il linguaggio dei loro atti, questa responsabilità non può ricadere sui giornalisti che quegli atti non li possono citare e devono fare giri di parole o fare il riassunto con il rischio poi di sbagliare o interpretare male alcune affermazioni.
Non è anche un rischio per la stessa persona oggetto di indagine?
Il danno è anche per la persona accusata poiché in questo modo l’entità delle sue accuse potrebbe essere falsata in questo meccanismo. E poi c’è un’altra questione: la ragione per cui esiste la cronaca giudiziaria è quella di dare conto dell’operato della magistratura. L’opinione pubblica ha diritto di conoscere se un certo magistrato utilizza un certo vocabolario, un certo linguaggio, un certo modo di fare o se un magistrato, invece, si rifugia o meno dietro certi trucchi verbali. Anche questo è un modo per valutare operato della magistratura. Questo discorso verrebbe completamente meno, perché sarebbe il solo giornalista a essere in qualche modo giudicato dall’opinione pubblica. Quest’ultima avrebbe un filtro molto pesante che è costituito dall’attività del giornalista, il quale peraltro si dovrebbe barcamenare con il rischio di violare la norma, sebbene per il momento non preveda sanzioni particolarmente afflittive, poiché si tratta di una sanzione di natura economica che va dai 58 ai 250 euro. Sono sempre dei piccoli rischi che pesano sull’attività professionale e non rendono serena l’attività del giornalista.
Si parla di “legge bavaglio”. È corretto?
Non è esattamente una legge bavaglio, perché consentendo la pubblicazione del contenuto non fa calare il silenzio - che sarebbe stata una cosa gravissima - su un’ordinanza di custodia cautelare. Ma questa norma si inserisce in un contesto generale, nel quale troviamo anche il decreto sulla cosiddetta presunzione di innocenza. Il quadro che ne scaturisce è fortemente penalizzante per la libertà di cronaca e soprattutto per la possibilità di fornire al pubblico gli atti che produce la magistratura. Siamo di fronte al venir meno del principio di controllo sull’attività della magistratura. Che è la ragione fondamentale per la quale esiste la cronaca giudiziaria. Tutta questa forma di controllo rischia di svanire.
Sembra anche essere in contraddizione con lo spirito con la quale è stata proposta questa misura. Secondo Carlo Calenda (Azione, stesso partito di Costa), questo emendamento evita lo scempio di persone che, neanche rinviate a giudizio, vengono distrutte sulla stampa con la pubblicazione delle intercettazioni. Cosa ne pensa?
Nelle ordinanze di custodia cautelare i magistrati inseriscono quelle che io definisco le “esche per giornalisti”. Dei passaggi, dei documenti come le intercettazioni, che servono a rendere appetibile la cronaca di quell’inchiesta. E noi, devo dire, che spesso purtroppo abbocchiamo e ci dilunghiamo in maniera eccessiva in questi aspetti. In un’ordinanza di custodia possono essere introdotte anche le intercettazioni che poco hanno a che fare con il presunto reato contesto. Qui entra in gioco la nostra capacità di distinguere e fare in maniera corretta il nostro lavoro. Su questo fronte abbiamo qualcosa da farci perdonare. Perché anche riportare fra virgolette le parole di un altro soggetto non ci esime dalla responsabilità deontologica e morale dell’utilità di pubblicare quei passaggi. Sia che noi citiamo per riassunto o che citiamo per virgolette, la nostra deontologia ci impone l’essenzialità dell’informazione: gli elementi forniti al pubblico devono essere indispensabili per capire la notizia. Se non sono indispensabili a questo fine, significa che sono elementi che eccedono e non sono da pubblicare. A prescindere che si tratti di un virgolettato o di un commento, relativo a qualsiasi atto giudiziario. Il problema è il modo di intervenire della politica, che quando ha a che fare con i problemi dell’informazione, riesce sempre a fare danni, a prescindere dal colore politico e dai governi. Ogni volta che si interviene in questo campo l’obiettivo finale è quello di limitare la libertà di informazione che inevitabilmente è un grosso fastidio per chi esercita il potere.
Ultima domanda: si trattava di un emendamento di una legge europea sulla divulgazione degli atti processuali. Che cosa prevede questa normativa, in buona sostanza?
C’è una grossa confusione in merito. La normativa europea, quando fa comodo diventa uno scudo dietro il quale ci si nasconde, come accaduto con il decreto sulla presunzione di innocenza. Di nuovo si tira in ballo la normativa europea, che non pone dei vincoli come quelli indicati dalla legge in Italia. È l’interpretazione che ne viene data dal governo italiano che è in discussione. L’Europa ha in massima considerazione il diritto di cronaca e più volte ha sanzionato l’Italia per violazioni di questo tipo. Il concetto su cui si basa la normativa europea è proprio l’essenzialità dell’informazione. Non solo: l’Ue dice che il giornalista deve poter accedere direttamente agli atti. Per questo si era consentita la pubblicazione dell’ordinanza di custodia cautelare e questo aveva portato a far che sì che l’ordinanza potesse essere fotocopiata e distribuita ai giornalisti. Veniva messa nelle mani dei giornalisti i quali, con la loro capacità di critica e ragionamento, dovevano portarla a conoscenza dell’opinione pubblica. Ora questo meccanismo viene bloccato, interrotto. Questa è la situazione.