Dopo oltre sei mesi di vacanza della propria funzione, un record negativo senza precedenti, si è alla fine insediata la commissione di vigilanza Rai, con la presidenza della senatrice M5s Barbara Floridia. Un’assenza che ha pesato sul servizio pubblico, perché sei mesi di mancata vigilanza hanno allargato ancora di più il rischio che la Rai diventi una nuova Alitalia. Il crollo degli ascolti, i danni anche di immagine per la mancanza di una gestione seria e autonoma dell’azienda, le violazioni del pluralismo, il precipitare della qualità dell’informazione: tutti questi fattori e altri stanno creando le condizioni per una debacle economica, produttiva e informativa che rischia di affondare definitivamente la tv pubblica, che beneficia ogni anno di quasi 2 miliardi di euro dei cittadini. Vedremo se la nuova commissione appena insediata sarà in grado di spingere la Rai a invertire la rotta, c’è da augurarselo.
In questi anni, mentre le altre reti hanno innovato, la Rai ha continuato a rimanere immobile, forte dei miliardi garantiti del canone impiegati in gran parte per mantenere in piedi una struttura elefantiaca che non ha eguali. Ma a fronte del record dei quasi 2mila giornalisti, la Rai ha ormai irrimediabilmente perso il primato giornalistico. Non arriva mai prima sulle notizie, raramente fa notizia e non ha mai riformato seriamente il sistema delle notizie, fermo a decenni fa. L’ultima riforma seria, ovvero il Piano delle Newsroom, elaborato proprio in Rai durante la direzione Gubitosi e quindi ormai quasi 10 anni fa, è stata affossata e giace in un cassetto, sebbene sia stata approvata sia dal Cda, sia dalla commissione di Vigilanza. Avrebbe fatto risparmiare a regime 70 milioni di euro all’anno e portato la Rai al livello organizzativo dei grandi servizi pubblici europei, ma non è mai stata applicata.
Il mancato aggiornamento del sistema organizzativo, il mancato sviluppo dell’informazione online e l’assenza di un portale di news davvero competitivo rappresentano un fardello pesantissimo per la Rai, nel momento in cui si è passati alla misurazione della total digital audience perché la fruizione passa anche, e per certe fasce d’età soprattutto, dalla rete, dagli smartphone, dai digital devices.
In questa Rai non c’è nessun dibattito serio su come riformare l’informazione. Vale per la tv, ma vale anche per la radio, totalmente abbandonata alla lottizzazione e all’inevitabile perdita di porzioni decisive di pubblico. Intanto aumenta il successo di emittenti private, come Radio 24, che ormai hanno stabilmente scippato alla Rai posizioni chiave.
Sorprende che non ci sia alcun dibattito pubblico sul destino della Rai, che riguarda non soltanto un caposaldo dell’informazione, ma anche una quota molto rilevante dei soldi dei cittadini.
Finora il Governo è stato tirato in ballo in riferimento alla Rai solo per presunte richieste di nomine, in particolare nei telegiornali. Se la presidente del Consiglio Meloni considererà la tv pubblica solo un bottino di guerra da spartire, il rischio è che a breve non ci sia più nulla da lottizzare. Se invece, anche grazie alla nuova commissione di vigilanza, si aprirà un dibattito serio, anche partendo dalle battaglie portate avanti dalle precedenti commissioni (penso ad esempio alle risoluzioni sulla Newsroom, sui conflitti di interessi degli agenti, sugli ospiti a pagamento, sui social dei dipendenti), c’è speranza che pagare il canone torni ad essere il pagamento di un vero servizio pubblico e non della nuova Alitalia.