Ormai è chiaro: tre giorni fa la Corte di Cassazione ha deciso che la trattativa Stato Mafia non è mai esistita. Un processo terminato con un nulla di fatto. Assolti con formula piena tutti gli imputati, demolendo così il piano accusatorio costruito in questi ultimi dieci anni. Assoluzione per i generali Mario Mori e Antonio Subranni, l’ex colonnello del Ros Giuseppe De Donno e l’ex parlamentare Marcello Dell’Utri. Prescrizione per Leoluca Bagarella e per il medico Antonino Cinà. Per la suprema corte i carabinieri non avrebbero commesso alcun reato, tantomeno intavolato una trattiva con Cosa Nostra. Si sarebbero quindi mossi all’interno di un’indagine contro la mafia, e di conseguenza il dialogo instaurato con Vito Ciancimino, sindaco di Palermo introdotto nell’organizzazione mafiosa, rappresentava solo un mezzo per terminare con successo l’indagine. Ma qual è il segnale che arriva da una sentenza simile? In larga parte che lo Stato non è in grado di processare sé stesso, che è consentito istaurare trattative con la mafia, che poi non verranno riconosciute come tali. È un segnale che arriva forte e chiaro. Noi di MOW abbiamo intervistato una delle persone più deluse dall’esito di questa sentenza, la figlia di Luigi Ilardo, Luana, ucciso nel 1996 pochi giorni prima di entrare nel programma di protezione. Dopo dodici anni di carcere, una volta tornato in libertà, aveva deciso di distaccarsi in qualche modo dall’organizzazione mafiosa di cui aveva fatto parte, scegliendo di infiltrarsi e passando le informazioni su ciò che sapeva alla polizia. Questo per un anno e mezzo, aiutando concretamente nell’arresto di 50 mafiosi. I suoi racconti avrebbero potuto condurre all’arresto di Bernardo Provenzano, cattura mancata il 31 ottobre 1995 a Mezzojuso, nella masseria in cui si nascondeva. In quella circostanza i Ros, Subranni e Mori, decisero di non intervenire perché a quanto pare la latitanza del mafioso garantiva il mantenimento di accordi presi con Cosa Nostra. L’arresto di Provenzano avvenne ben 11 anni dopo, nel 2006. Luana da anni si batte per ottenere giustizia per suo padre, che aveva scelto di intraprendere la strada del collaboratore di giustizia. Abbiamo ripercorso con lei la storia di Luigi Ilardo, che si intreccia con la sentenza della Cassazione sulla trattativa Stato Mafia: “Mi è crollato ancora una volta il mondo addosso, perché una parte di me voleva credere che giustizia in qualche maniera potesse essere fatta”.
Tempo fa hai sostenuto che la latitanza di Bernardo Provenzano andava tutelata, cosa significa?
Che c’è stata un’ammissione di colpa. All’epoca dei fatti, sia il colonnello Riccio che mio padre iniziarono a sospettare che c’era la volontà di non procedere con questo arresto, e sono stati presi un po’ per eretici, pazzi o visionari. Mario Mori, Subranni e De Donno nel processo per la mancata cattura di Provenzano non parleranno assolutamente di questa trattativa, ma diranno che non hanno proceduto all’arresto perché pecore e pastori rendevano difficile l’operazione. È un controsenso, nonché una falsa dichiarazione resa. Anni fa ci fu questo processo, e non accennarono minimamente a questa tutela di latitanza che in realtà, con le motivazioni depositate, viene scritta nero su bianco.
Qual è stata la prima cosa a cui hai pensato dopo aver saputo della sentenza di assoluzione?
Mi è crollato ancora una volta il mondo addosso, perché una parte di me voleva credere che giustizia in qualche maniera potesse essere fatta. Perché, nonostante tutto, era doveroso da parte mia continuare a sperare.
Te l'aspettavi una sentenza simile?
Onestamente, visto tutto quello che è successo in Italia soprattutto negli ultimi anni, avevo messo in conto che anche questa volta lo Stato non avesse il coraggio di processare sé stesso, e di affrontare realmente tutte le sue responsabilità. L'ennesima immensa delusione.
Come ti fa sentire la frase “assolti per non aver commesso il fatto”?
È tutto un controsenso, perché ad esempio Bagarella e Cinà non vengono assolti per non aver commesso il fatto, ma semplicemente perché è subentrata la prescrizione. Quindi vuol dire che il fatto è stato commesso, perché sennò sarebbero stati assolti anche loro. Queste situazioni all'italiana sono un controsenso impossibile da accettare, soprattutto per me che sono la figlia di Luigi Ilardo. Non potrò mai accettare il fatto che loro, per ragioni indicibili, abbiano mandato mio padre a morire, ovviamente lo consideravano carne da macello. Ma stiamo parlando sempre di una vita umana, che si è trovato in una situazione più grande di lui, ma sicuramente non meritava di andare a morire in questa maniera, soprattutto perché aveva pagato per intero il suo conto con la giustizia. Aveva il pieno diritto di poter riavere una vita nuova, una seconda possibilità.
Lo consideri un tradimento da parte dello Stato?
Sì, ancora oggi sono in attesa di avere delle risposte, ma visto l'andazzo non prevedo nulla di buono. Da un punto di vista processuale, tutto quello che è successo riguardo all'omicidio Ilardo, ci sono ancora diversi punti d'ombra che al momento rimangono tali. A Catania, da 27 anni, c'è un fascicolo aperto per quanto riguarda i mandanti dell'omicidio di mio padre che non appartengono a Cosa Nostra.
Conosci alcuni di questi nomi?
C'è un modulo 21, in questo fascicolo, in cui ci sono persone note però ovviamente non è dato sapere cosa ci sia scritto. Fascicolo che, nonostante le mie pressioni di questi anni, purtroppo rimane a binario morto.
Cosa pensi di chi stai esultando per questa sentenza?
Penso che siano tutte quelle persone che hanno marciato contro il lavoro svolto da Ingroia, Di Matteo, Teresi e Tartaglia. Ho visto anche qualche titolo di giornale dove qualcuno si è permesso di scrivere “la Trattativa non c'è stata, giustizia è stata fatta, non c'è stato nessun accordo”. Queste sentenze per quanto siano amare e contraddittorie, lo dicono chiaramente che la trattativa c'è stata. Lo dicono gli stessi Rossi e Mori: “Sono andato da Ciancimino per cercare un accordo e portare avanti questa trattativa”. Il problema è che lo Stato italiano con questa sentenza ci dice che non è reato andare a trattare con i mafiosi, ed è un principio totalmente sbagliato.
Antonio Ingroia ha commentato la sentenza affermando che giustizia non è stata fatta, che lo Stato non sa processare sé stesso.
Questa è la verità. Ho ascoltato le sue dichiarazioni, in cui spiega da un punto di vista più tecnico questi controsensi. Anche Salvatore Borsellino ha riservato delle parole molto dure riguardo questa sentenza. È chiaro che da parte di chi ha seguito e studiato il processo, possono esserci solamente delle parole durissime.
Come è maturata la scelta di tuo padre di diventare collaboratore di giustizia?
Spesso si dice che il carcere non è riabilitativo, nel caso di mio padre lo è stato. Più che gli operatori stessi, a fargli maturare questa decisione credo siano stati i dodici anni passati dentro una cella. Una detenzione che ha fatto scontare anche a me e mia sorella, che da quando avevamo due anni andavamo ogni quindici giorni a trovarlo. Lui si sentiva molto in colpa per aver trascinato anche noi in questa situazione.
In che modo la tua vita è cambiata dal giorno del suo assassinio?
Mezza vita mia è morta quel 10 maggio del 1996. Lasciando stare le dinamiche violente alla quale abbiamo purtroppo assistito quella sera, per dodici anni abbiamo aspettato che nostro padre tornasse a casa. Per dodici anni abbiamo desiderato di averlo seduto a tavola, presente, che ci accompagnasse a scuola. In realtà ce lo siamo potuti godere solo per un anno e mezzo. Tempo in cui lui è stato infiltrato per lo Stato.
Cosa significa per te essere la figlia di Luigi Ilardo?
Sicuramente è stata una pesante eredità, sotto tanti punti di vista. Soprattutto per il pregiudizio, durante gli anni della maturità, di essere le figlie di un mafioso, motivo per cui spesso io e mi sorella non venivamo invitate alle feste di compleanno dei compagni di scuola. Con il rapporto Grande Oriente, scritto da Riccio dopo la morte di papà, è stata svelata la sua infiltrazione per lo Stato. Noi non ne sapevamo nulla. Abbiamo subito un secondo pregiudizio, quello di essere figlie di un “cornuto e spia” come si dice in Sicilia.
Continua ad essere così anche oggi?
Sì. C’è ancora chi vuole farci del male e ci indica come le figlie di un mafioso, piuttosto che le figlie di un collaboratore di giustizia. Quei tre giorni che hanno diviso lo status di papa da pseudo mafioso a collaboratore di giustizia hanno fatto la differenza. È stato ucciso il 10 maggio e il 13 sarebbe entrato nel programma di protezione, questo gli avrebbe permesso di avere lo status di collaboratore.
Perché si è aspettato per farlo entrare nel programma di protezione? Questo lo ha reso un facile bersaglio.
Questo è proprio il cortocircuito che ci riporta al discorso della trattativa. Il 2 maggio del 1996 si era incontrato con i vertici della magistratura a Roma, il dottor Caselli, la dottoressa Principato e il Procuratore di Caltanissetta Tinebra, e non è stato blindato immediatamente dopo che aveva iniziato a parlare di tutte le informazioni che avrebbe dato. Papà in quell'anno e mezzo che ha fatto l'infiltrato si è dedicato a far procedere all’arresto di tutta l’ala mafiosa, con 50 arresti di cui 7 capi province in tutta la regione siciliana, ovviamente è stata una stagnata incredibile per Cosa Nostra. Come dice sempre il giudice Di Matteo “un risultato mai ottenuto sino ad oggi”. Quando si è presentato a Roma ormai aveva già intuito chiaramente che non c'era la volontà di arrestare Bernardo Provenzano, ha fatto un upgrade iniziando a parlare di tutti questi intrecci tra mafia, politica, istituzioni deviate, servizi segreti e destra eversiva. Lì il gioco si era fatto pesante, quindi ovviamente doveva essere fermato prima che tutte queste sue informazioni potessero essere messe nero sul bianco.
Quando hai scoperto che tuo padre voleva diventare collaboratore di giustizia che percezione hai avuto di lui?
Inizialmente è stato uno shock, perché ovviamente tutto ci aspettavamo tranne di questa sua doppia vita. Poi, tra l’altro, l'abbiamo saputo a mezzo stampa dai giornali. Abbiamo poi ricollegato la cosa al suo stato morale, spesso lo vedevamo turbato e pensieroso. Conoscendo questa verità abbiamo capito quello che stava passando dentro, che stava facendo quotidianamente. Lui la mattina si vedeva con i mafiosi, la sera partecipava ai summit per poi incontrarsi col colonnello Riccio, al quale raccontava tutto quello che aveva appreso da queste riunioni.
Tu hai indicato quelli che ritieni essere i mandanti dell’omicidio di tuo padre?
Sì, li ho indicati cercando di fare una ricostruzione su fascicoli e deposizioni di collaboratori di giustizia, dove il quadro a mio avviso è chiarissimo. Ovviamente l'ho fatto in Commissione Parlamentare Antimafia due anni fa.
Pensi che i mandanti siano gli stessi dell’attentato a Paolo Borsellino?
Stiamo parlando di vertici politici che poi hanno demandato questi falsi personaggi pseudo istituzionali. Perché nessun carabiniere si alza la mattina e decide di andare a parlare con Vito Ciancimino, piuttosto che prendere determinate decisioni come la gestione di mio padre, o non arrestare Provenzano. È chiaro che tutto questo sia partito da vertici politici.
Continuerai a portare avanti la tua battaglia?
Sì, farò ogni cosa in mio possesso per far sì che il nome di Luigi Ilardo un giorno abbia giustizia. Io, da figlia, non mi posso rassegnare al fatto che per questi giochi di potere mio padre è morto in questo modo.
Hai mai temuto ritorsioni per questa tua esposizione?
Spesso il fattore umano in queste vicende viene estromesso e dimenticato. Sì, ci sono stati momenti in cui ho avuto paura, e delle paure anche motivate.
Da cosa?
Silentemente qualche avviso mi è arrivato, soprattutto all'inizio. Però l'amore per mio padre è stato sempre più forte della paura. Sapevo che avendo preso quelle decisioni, che ho maturato per una vita intera da quando avevo 16 anni, non potevo più voltarmi indietro. Era quello che volevo, che ho sempre desiderato e che continuo a desiderare ancora oggi. Poi passati i primi periodi in qualche maniera ci inizi a convivere con la paura. Voltarmi indietro vorrebbe dire annullare tutto quello che ho fatto, ovviamente non lo farò mai. Sono gli episodi come questa sentenza che generano ancora più rabbia dentro di me, insieme alla voglia di ribellarmi contro questo sistema e contro queste decisioni perché non si possono accettare. Non solo non le può accettare Luana Ilardo, non le può accettare uno Stato di diritto, e oggi purtroppo non credo più che facciamo parte di uno Stato di diritto.