Lo diciamo subito: si può pensare quel che si vuole su Massimo Giletti e della sua trasmissione Non è l’arena, ma la decisione di ieri dell’editore di La 7, Urbano Cairo, di sospenderla all’improvviso, senza preavviso e, pare, senza neanche comunicarlo allo stesso conduttore, il quale avrebbe appreso la notizia dalle agenzie di stampa, non solo fa a pugni con il rispetto del lavoro altrui, ma getta un’ombra densa di interrogativi sulle motivazioni, che mentre scriviamo restano oscure perché Cairo non ha fornito spiegazione alcuna. Fatto tanto più grave nella misura in cui lo standby è in realtà una cancellazione vera e propria, dato che l’emittente televisiva, nella scarna nota rilasciata ieri, “ringrazia Massimo Giletti” per “questi sei anni” di onorato servizio svolto “con passione e dedizione”, che è la formula di rito quando si dà il benservito.
Sul perché dello stop si possono fare solo ipotesi, già circolate in queste ore di assatanata ma stralegittima curiosità. Quella più, diciamo, “normale”, e che si attaglierebbe maggiormente a un Cairo notorio mastino nella gestione delle sue aziende, rimanda ai rumors non di oggi su un ritorno di Giletti a mamma Rai, sempre nella fascia di prime time della domenica, magari al posto, ambitissimo, di Fabio Fazio che è dato in uscita dalla terza rete per approdare sul Nove. Ma se le voci si udivano da tempo e sono credibili, molto meno convincente è che Cairo, uomo di ferro finché si vuole ma non uno sprovveduto o una testa matta, possa aver optato per una chiusura con modalità punitive e risentite che, a questo punto, avrebbero il sapore della ripicca, e che si sarebbero portate dietro, come infatti sta avvenendo, uno strascico di retroscena e polemiche.
Decisamente più adatto a spiegare tutta questa fretta sospetta è lo scenario che riguarda certe scelte contenutistiche che Giletti ha fatto, e soprattutto che stava per mandare in onda. Non è l’arena si è occupata a più riprese di mafia, e proprio nella puntata di domenica prossima ci sarebbe tornato, a proposito dell’ex capo dei capi Matteo Messina Denaro (i cui “audio” usciti in esclusiva su MOW e nel talk di Giletti sarebbero risultati scomodi) ma anche, stando a quanto scrive il Fatto Quotidiano oggi, parlando della trattativa Stato-mafia, delle stragi del ’93 e del coinvolgimento di livelli politici, tema-tabù da sempre e ancor più in questa fase perché interesserebbe parte dell’attuale maggioranza di centrodestra al governo. Non sapremo mai, a meno che Giletti stesso non lo riveli in futuro, cosa aveva in serbo per l’edizione bloccata all’ultimo momento. A intorbidare le acque, per soprammercato, c’è quell’ambiguo Salvatore Baiardo, favoreggiatore della latitanza dei fratelli Graviano nei ‘90 e “profeta” anticipatore dell’arresto di Messina Denaro proprio davanti alle telecamere di Non è l’arena. Fatalità giusto ieri, su TikTok, Baiardo ha sentito il bisogno di annunciare che d’ora in avanti si potrà vederlo non più su La 7, ma su Mediaset, perché “uno lì può dire quello che pensa e non ti condizionano nel parlare”. Velata allusione a Giletti. Secondo Baiardo “alla fine della fiera non so che gioco faccia anche lui”. Non pago, dopo la news sulla sospensione del programma, ha scritto pure, sempre ispirato da chissà quali fonti, che era “tutto previsto”, e che “anche la Rai non gli farà il contratto”.
Forse il contratto, o comunque un accordo per fare l’ospite, lo hanno preparato a Baiardo, anche se è difficile immaginarsi la berlusconiana Mediaset fiondarsi su temi così spinosi e sensibili, dando spazio a un personaggio che, in sostanza, ha adombrato che dietro la cattura dell’ultimo padrino ci sia stato un gioco di sponda, anche qui, fra Stato e Cosa Nostra. Quel che si sa per certo è che Giletti da tempo vive sotto scorta, incrementata negli ultimi mesi, è stato sentito dai pm di Firenze che indagano sulle stragi dei primi anni ’90 ma che – al contrario di quanto ha asserito Dagospia – Giletti non ha mai subìto una perquisizione a causa delle interviste fatte a Baiardo, fake smentita dall’interessato. Le ospitate sarebbero state pagate e, fanno sapere dalla produzione della trasmissione, regolarmente fatturate, fatto questo di per sé lecito, per quanto passibile di critiche.
Cosa c’è dietro, allora, all’oscuramento apparentemente piovuto come un fulmine a ciel sereno sulla testa di Giletti e delle 35 persone che lavorano al suo programma? A chi recava disturbo? Se diamo per buone le indiscrezioni sul suo passaggio alla Rai, in che rapporto starebbe con le puntate passate e future sull’argomento mafia: è lui ad aver già fiutato per tempo l’aria e ad aver sondato la concorrenza, o si tratta della classica palla colta al balzo per sbatterlo fuori? Perché questo clamoroso autogoal da parte de La 7 sulla trasparenza (tanto che Enrico Mentana, direttore del tg della rete, sui suoi social ha commentato con un evidentemente critico “no comment”)? Com’è possibile che Cairo abbia sottovalutato la portata deflagrante di una rimozione così brusca, spiccia e dai contorni misteriosi? Qualcuno gli ha fatto pressioni? Insomma: a chi dà fastidio Massimo Giletti?