Indipendentemente da come andrà a finire, la morte di Masha Amini, la ragazza curdo-iraniana di 22 anni deceduta lo scorso 16 settembre dopo l'arresto da parte della polizia della morale iraniana per non aver indossato correttamente l’hijab, è stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso del malcontento. Ha difatti innescato nella Repubblica Islamica un'ondata rivoluzionaria non meno rilevante della (controversa) Primavera Araba, scoppiata con l’auto-immolazione di un modesto venditore ambulante tunisino il 17 dicembre 2010, Mohamed Bouazizi, che fece precipitare nel caos tutto il mondo arabo, trasformando - e destabilizzando, come in Libia - il panorama geopolitico della regione.
Ondata di repressione culminata con la morte di Masha Amini
Nell'ultimo anno, in Iran, il controllo del governo sulla vita delle donne si è rafforzato, soprattutto per quanto riguarda la legge sull’hijab. I video virali della polizia morale che applica violentemente la legge hanno generato un'ondata di rabbia e diffuso scontento. La morte di Amini è stata senza dubbio un punto di svolta e di non ritorno. Nei mesi precedenti la morte della ragazza, come notano Zoe Marks, Fatemeh Haghighatjoo ed Erica Chenoweth sulla rivista Foreign Affairs, nel Paese stava crescendo un sentimento di rabbia repressa. Lo scorso luglio, Sepideh Rashno, scrittrice e artista iraniana di 28 anni, è apparsa sui canali della Tv di Stato iraniana per “confessare” di aver violato la legge che obbliga le donne a indossare l’hijab in pubblico, dopo un litigio con un poliziotto avvenuto su un autobus urbano. Un altro episodio che ha indignato le donne iraniane, diffuso sui social con un video virale, mostra una madre disperata che cerca di fermare (invano) un furgone della polizia mentre grida: “Per favore, liberate mia figlia! È malata”.
Il “giallo” dietro l’annuncio dell’abolizione della polizia morale
A quasi tre mesi dall’inizio delle proteste che stanno facendo vacillare la tenuta del regime molto più di quanto non sia accaduto nel 2009 e nel 2019, il procuratore generale Mohammad Jafar Montazeri, in una dichiarazione diffusa dall'agenzia di stampa Isna, ha annunciato lo scioglimento di quella polizia morale che incarna lo spirito repressivo e ultra-conservatore della Repubblica Islamica sorta nel 1979 dopo la rivoluzione di Khomeini, quando la Guida Suprema impose un governo religioso secondo un'ottica sciita duodecimana e allontanò l’antica Persia dalla sfera di influenza statunitense e occidentale. “La polizia morale non ha nulla a che fare con la magistratura ed è stata abolita”, ha detto il procuratore generale, smentito a stretto giro, però, dal capo del centro informazioni della polizia di Teheran, Ali Sabahi, che in un’intervista rilasciata al quotidiano Sharq, ha affermato che “non è il momento di parlare di hijab, e la polizia parlerà della questione al momento opportuno”. “Fareste meglio a chiedere al procuratore perché l'ha detto”, ha spiegato il generale Sabahi, di fatto prendendo le distanze dal procuratore. Dietro al giallo di questo rimpallo di annunci e successive smentite, c’è la prova che il potere degli Ayatollah è decisamente meno granitico di un tempo e il regime vive un periodo di profonda crisi.
Arresti e condanne a morte
Anche prendendo per buone le dichiarazioni del procuratore generale, tuttavia, non ci saranno cambiamenti significativi. Dice bene, in tal senso, un portavoce del governo tedesco quando afferma che l'annuncio dello scioglimento della polizia per la morale in Iran “non cambierà nulla” nella mobilitazione degli iraniani, sottolineando che questi ultimi “stanno scendendo in piazza per difendere i loro diritti fondamentali. Vogliono vivere liberi e autonomi e questa misura, se applicata, non cambierà le cose”. Sembra retorica, è proprio così: l’obiettivo degli iraniani non è più quello di chiedere delle riforme in senso democratico o l’abolizione della legge sull’hijab ma è - a questo punto - il cambio di regime. Come mai prima d’ora, gli striscioni raffiguranti il leader supremo, l'Ayatollah Ali Khamenei, sono stati incendiati, le donne hanno camminato apertamente per le strade senza velo, e i manifestanti hanno sfidato apertamente le forze di sicurezza. Indietro, non si torna. Il regime, dal canto suo, accusa le potenze straniere ostili come gli Stati Uniti e Israele di alimentare le rivolte nel Paese, ma anche i gruppi di opposizione curdi iraniani in esilio in Iraq che Teheran ha preso di mira con ripetuti attacchi missilistici e attacchi di droni. Dall’inizio delle proteste anti-regime, riferisce Al-Monitor, 14.000 persone sono state arrestate secondo le Nazioni Unite, tra cui diverse figure di spicco come il rapper Toomaj Salehi che potrebbe essere condannato a morte se condannato. La magistratura iraniana ha infatti già condannato a morte sei persone, in quelli che l’International Human Rights Network definisce “processi farsa senza accesso ad avvocati e a un giusto processo”.
“Regime mai così vulnerabile”
C’è però una fondamentale differenza rispetto alla Rivoluzione islamica del 1979, quando Khomeini sfidò lo Scià di Persia: non esiste un unico leader identificabile nel movimento di protesta ma diverse figure e attivisti, presi come riferimento. E questo può rappresentare un grande limite, poiché se anche dovesse collassare il regime, ciò renderà altrettanto complesso e caotico un eventuale processo di transizione di potere. “L’atmosfera in Iran è rivoluzionaria”, ha affermato Kasra Aarabi, responsabile del programma Iran presso il Tony Blair Institute for Global Change mentre Karim Sadjadpour, membro anziano del Carnegie Endowment for International Peace, celebre studioso dell’Iran, ha osservato che “mai prima d'ora nei suoi 43 anni di storia il regime è apparso così vulnerabile”, aggiungendo che i manifestanti credono di “essere nel mezzo di una rivoluzione e non si può tornare indietro”.